Giuseppe Cola Giuseppe Cola
 

Dai Monti della Tolfa considerazionie proposte

In fondo è abbastanza semplice descrivere le bellezze della propria terra innaffiandole con un po' di storia passata e magari stuzzicando la sensibilità archeologica verso le testimonianze antiche, più arduo invece diventa il compito di stimolare il dialogo e l'interesse sulla storia presente senza essere tacciati di faziosità o quanto meno di partigianeria. Comunque mi permetto di esprimere alcune considerazioni, del tutto personali, onde avviare un dibattito sui temi e problemi che coinvolga i due Paesi di Allumiere e di Tolfa. Quattro chilometri di strada, ovvero una salutare passeggiata tra i boschi che nascondono le gole dell'escavazione alluminifera, questa è la distanza che separa i due Paesi mentre le costruzioni abitative si avvicinano sempre di più in barba a chi fomenta uno sciocco campanilismo che dovrebbe essere ormai superato dal più elementare senso della ragione. A parole tutti ammettono che il campanilismo non esiste più, ma in effetti lo si avverte in tante piccole manifestazioni fino a divenire in qualche caso veramente di bassa lega. La distanza quindi è davvero insignificante specie con la moderna motorizzazione, tuttavia bisogna ammettere che le formazioni culturali sono profondamente diverse: il Paese di Tolfa è arroccato sulla sua radice storica che si perde nella notte dei tempi, quello di Allumiere è sorto nel XVI secolo, è cresciuto ai margini delle industrie estrattive ed ha ottenuto l'autonomia comunale nel secolo scorso. Conservatore, artigianale e pastorale il primo, il secondo con una mentalità industriale e pronto a recepire i messaggi moderni; in sostanza per intenderci, l'Europa il primo, l'America il secondo. E’ vero pertanto che le radici culturali sono diverse, ma è altrettanto vero che dagli scontri iniziali, causati prevalentemente dalle divisioni comunali, sono nati gli incontri e che oggi entrambi i Paesi vivono la medesima realtà sociale formando di fatto un'unica comunità.  I giovani della comunità devono recarsi a Civitavecchia per prendere un Diploma, a Roma o a Viterbo per la Laurea. Al mattino entrambi i Paesi si svuotano a causa del pendolarismo  quando nel passato avveniva esattamente il contrario. L'emergenza sanitaria e la degenza ospedaliera sono distanti dalla popolazione (circa 9.000 abitanti) una ventina di chilometri mentre è documentato che sui Monti della Tolfa era presente un Ospedale sin dal XIV secolo. E’ sufficiente una “goccia” oppure un “soffio amoroso” per causare il “Blackout" generale quando la nocività delle centrali generatrici di energia elettrica, è a due passi e si riversa anche sui monti. Da parte sua Tolfa ha già risolto il problema dell'approvvigionamento idrico, invece il territorio allumierasco, che pure in passato è stato la fonte idrica di Civitavecchia e di Tolfa, ha vissuto e in parte vive ore drammatiche nel periodo estivo. Questi sono alcuni dei problemi più gravi che, uniti ad altri, hanno consentito all'I.R.S.P.E.L. (Istituto per le Ricerche Sociali ed Economiche del Lazio) di definiresubminimale la zona dei Monti della Tolfa per quanto concerne i servizi resi al cittadino. Non c'è davvero da stare allegri tanto meno si potrà rinfocolare il campanilismo, ai giovani importa ben poco, consapevoli come sono che, passata ormai la forma del pensionamento giovanile, il futuro dovrà essere costruito assieme nella diversificazione, usando la testa e le mani. E’ proprio per il futuro che desidero avanzare alcune considerazioni nate dallo studio della nostra terra, da sottoporre all'attenzione di chi gestisce la cosapubblicaoppure di quei privati attenti e sensibili alla salvaguardia di certi valori. La prima spetta allo spreco di denaro pubblico causato dalla costituzione di due autonomie locali per un'unica necessità derivante da alcuni servizi sociali che, unificati, sarebbero più efficienti e graverebbero meno sullo stillicidio fiscale. Indubbiamente la considerazione maggiore investe l'impiego e l'uso a fini turistici del vasto territorio comunitario con tutte le sue risultanze archeologiche. Accettata una migliore imprenditorialità per l'allevamento del bestiame e un più efficace inserimento in campo commerciale dell'artigianato locale, va osservato che in pratica viviamo sopra un potenziale naturalistico‑archeologico ancora integro. Da una parte ciò è molto bello, da un'altra però occorre soddisfare le esigenze più elementari per cui alcune proteste potrebbero accelerarne la soluzione: elaborazione di itinerari naturalistici con visite guidate a piedi o a cavallo; medesimi itinerari per le aree archeologiche etrusche; ristrutturazione e riuso dei Castelli Medioevali; promozione dell'archeologia industriale per le cave, le gallerie ed i fabbricati delle passate industrie estrattive; recupero a fini sociali di quelle Chiese e di quei Monasteri del tutto abbandonati. L'insieme organizzato e diretto non da divisori campanilistici, ma da un comune Centro che possa altresì coordinare la politica culturale. Il breve spazio a disposizione non mi consente che chiudere con l'invito di sfruttare oggi, come e quanto ieri è stato operato da altri senza attendere la “manna” o accettare le briciole di una torta che ci appartiene.

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