Giuseppe Cola Giuseppe Cola
 

I primi documenti

Nei documenti medioevali è spesso usato il comune nome di "Centumcellae" per indicare sia Cencelle che Civitavecchia. Questo è il motivo per il quale cronisti, storici e studiosi sono caduti nell'errore attribuendo il documento all'uno o all'altro centro abitato. Anche se l'equivoco non è definitivamente chiarito, una revisione critica della storiografia locale permette di tracciare un profilo storico della medioevale Cencelle. Secondo lo scrivente, il primo documento in cui è possibile riconoscere Cencelle risale al 920. Nell'aprile di quell'anno un tal Acerisio, figlio di Sindruda, dichiaratosi "habitator Castri Centumcellensis" chiese a Rimo, Abate di S. Maria sul Mignone, la locazione di alcune terre per poterle lavorare. Un altro documento è quello del 939 già ricordato. Nel mese di gennaio Campone, Abate di S. Maria sul Mignone, cedette ai figli di Ermengarda, abitatori "in turre" di Cometo, alcune terre situate sulla riva destra del Mignone e poste in "comitatu tuscanensi". In cambio l'Abate ricevette dei Casali situati sulla riva sinistra del Mignone e posti in "territorio Centumcellensi". Durante la contesa tra l'Abbazia di Farfa ed il Monastero dei SS. Cosma e Damiano per il possesso di S. Maria sul Mignone, nel 999 l'Imperatore Ottone III confermò a Farfa i diritti di S. Maria sul Mignone. Nella conferma è detto dei beni situati in "toto territorio tuscano aut cemtumcellensi". La migliore testimonianza è fornita nel 1072 quando cioè fu risolta la contesa tra l'Abbazia di Farfa ed il Monastero dei SS. Cosma e Damiano. Nel giudizio di appartenenza a Farfa è detto dei beni patrimoniali situati "apud Cornetum et Centumcellense Urbem". Nel XII secolo si avviò la formazione delle autonomie comunali come forma di autarchia nei confronti del potere imperiale e papale. Nel 1143 Roma istituì presso il Campidoglio il suo "Libero Comune". Dopo la frattura politica che ne derivò, nel 1188 Clemente III si accordò con il Campidoglio sulla restituzione di terre e città del patrimonio di S. Pietro tolte a Papa Lucio. Il 3 aprile dell'anno successivo Clemente III ottenne da Enrico VI, in rappresentanza di Federico I, la restituzione anche di Cencelle. Dopo aver conquistato Tolfa Vecchia a danno del Conte Guido, il Conte Ugolino, col consenso di sua moglie Sofia e dei figli Rainone e Ranuccio, sottomise al Comune di Cometo: Tolfa Vecchia, Monte Monastero e Civitella. Nell'atto di sottomissione è detto che cederà allo stesso Comune i suoi possedimenti di Cencelle, Insomma dai primi documenti è possibile riconoscere, in attesa di altre attestazioni, Cencelle prima come fortezza, poi come città, con beni patrimoniali situati sulla riva sinistra del Mignone, con altri beni appartenenti al Comune di Corneto e soprattutto come luogo pertinente alla Chiesa.

Sottomissione a Viterbo  Torna su

Se dai primi documenti si può rilevare ancora qualche incertezza, con l'avviarsi del XIII secolo Cencelle si manifesta nella sua vera identità sociale e politica. "Et in quell'anno (1220) li Viterbesi comprarno Cincelle". "Anno Domini 1221. Li Romani posero l'oste ad Viterbo e allogiaro alli Palazzi, poi vennero a combattere la Porta di Santa Lucia et in Fabule furno cacciate, e tomarno ad Roma, e fu per Cincelle. Poi li Viterbesi andarno in assedio ad Cometo, e feroli danno assai". Queste le notizie riportate dalla cronaca ma che sono puntualmente confermate nei fatti e nei documenti. Gli abitanti di Cencelle avevano contratto dei debiti con il Comune di Cometo, per estinguerli si videro costretti a vendere i loro diritti patrimoniali al Comune di Viterbo che, in contesa con quello di Corneto, perseguiva una politica di espansionismo sui Monti della Tolfa. Il formale atto di vendita fu stipulato il 29 settembre 1220 presso la Chiesa di S. Pietro di Cencelle. Da una parte i rappresentanti del Comune di Viterbo, dall'altra Enrico di Accettante nella sua qualità di Sindaco del Comune di Cencelle, furono venduti tutti i diritti patrimoniali ad eccezione di quelli privati e delle parti di terra necessarie all'allevamento del bestiame. Il tutto per la sommma di 2.500 lire senesi, necessaria all'estinzione del debito contratto col Comune di Cometo. Ma l'interesse del Comune di Viterbo non fu solo economico. Viterbo ottenne la sottomissione di Cencelle mediante il pagamento, per ogni famiglia, di 24 denari senesi per il giorno della festa dell'Angelo (29 settembre). Nell'atto politico di sottomissione veniva dichiarata obbedìenza alla Chiesa e al Papa Onorio III, mostrando quindi avversità al Comune di Roma. Fu proprio il Campidoglio che prese l'iniziativa: nel 1221 i Romani si allearono ai Cometani e insieme mossero guerra ai Viterbesì che inizialmente respinsero i primi poi assediarono Corneto alimentando una guerra che durò diverso tempo. Venne decisa dall'intervento di Onorio III che, pagando il prezzo di vendita, riscattò Cencelle alla Chiesa. Il 9 dicembre 1244 Cencelle, adunato il Consiglio col suono della campana maggiore, si liberò da Viterbo prestando atto di omaggio e sottomissione al Papa e ai suoi legittimi successori. Forse fu a seguito di tale sottomissione che Onorio III fece ristrutturare le fortificazioni.

Sotto la giurisdizione della chiesa

Pertanto Cencelle si presenta con un'amministrazione comunale e sotto il controllo politico della Chiesa che si manifesta anche più tardi.. Il 22 gennaio 1227 Onorio III affidò il rettorato del Patrimonio di S. Pietro al Re Giovanni di Brienne assegnandogli tutto il territorio da Radicofani a Roma. Nell'assegnazione sono fatti salvi i proventi di alcune città, tra cui Cencelle, che vengono concessi a Raniero Capocci (fatto Cardinale Diacono di S. Maria in Cosmedin da Innocenzo III). L'amministrazione comunale ed il controllo politico sono ulteriormente convalidati da due lettere: la prima d'Innocenzo IV del 1245, la seconda di Urbano IV del 1264. Con la prima il Papa informò i Viterbesi dalla nomina di Scambio a Vescovo di Viterbo; la stessa comunicazione fu rivolta al clero, al Podestà al Consiglio e al popolo di Cencelle. Con la seconda Urbano IV invitò i Comuni fedeli alla Chiesa ad opporsi al tentativo di Manfredi, figlio di Federico II, di invadere lo Stato della Chiesa, con l'aiuto di Pietro di Vico; tra i Comuni destinatari della missiva figura anche Cencelle. Dal controllo, la Chiesa passò ad una diretta giurisdizione: nel 1287, con decreto di Lituardo, Vicario spirituale dal Patrimonio, venne nominato un Commissario nelle terre di Cencelle, Civitavecchia, Tarquinia, Tolfa Vecchia e Tolfa Nuova. La giurisdizione diretta si evidenzia tre anni dopo: il 25 novembre 1290 Nicolò IV nominò suo Vicario presso Cencelle e Montecocozzone il suo famigliare Frate Paolo dell'ordine dei Templari. L'ulteriore conferma della giurisdizione diretta della Chiesa è fornita l'anno successivo. Da una parte Nicola da Trevi’  in rappresentanza di Nicolò IV, dall'altra Giacomo Sassi, in rappresentanza del Comune di Cencelle, il 2 gennaio 1291 venne firmato un trattato mediante il quale il Comune di Cencelle fu esentato dalla giurisdizione del Rettore del Patrimonio e di altri, con l'obbligo dì pagare annualmente alla Chiesa un censo di 50 libbre di paparini. Il pagamento del censo è documentato sia nel 1299 e sia nel 1302. L'esenzione non dovette essere applicata durante il trasferimento della Sede papale ad Avignone (1305) operato da Clemente V. Con il trasferimento iniziò la serie dei Rettori, quasi tutti francesi, per l'amministrazione del Patrimonio di S. Pietro. Il 2 marzo 1306 Clemente V affidò il rettorato al suo famigliare Amanevo de Lebreto (settimo di tal nome). Al medesimo concesse la facoltà di disporre della nomina dei Castellani e Rettori di alcuni luoghi del Patrimonio, revocando ogni altra precedente autorizzazione. Tra i luoghi a disposizione del Rettore figura anche Cencelle, Il ripristino della giurisdizione diretta della Chiesa si ricava dalla relazione che fece Guitto Farnese, Vicario del Rettore, nel periodo compreso tra il 29 settembre 1319 ed il 2 giugno 1320.  La relazione è che la città di Cencelle è soggetta alla Chiesa e paga annualmente il censo di 50 libbre di paparini. Il pagamento dello stesso censo è ripetuto sia nel 1352 e sia nel 1356.        Torna su

Sottomissione a corneto

Se dunque Cencelle risulta sotto la giurisdizione della Chiesa, è altrettanto documentato che si era sottomessa al vicino Comune di Cometo forse per garantirsi una copertura militare. Il primo atto di sottomissione non è riportato, ma è probabile che risalga al XII secolo, al tempo cioè dell'erezione a "Libero Comune" di Cometo, certamente prima della sottomissione al Comune di Viterbo. Forse ci fu un tentativo di svincolarsi o forse una repressione, di fatto nel 1303 il Vicario Generale del Patrimonio assolse il Comune di Corneto dalle condanne inflitte per i danni arrecati a Tarquinia, Tolfa Vecchia e Cencelle. Per rinnovare l'atto di sottomissione, il 2 agosto 1307 il Sindaco di Cencelle, Maestro Leone, giurò il "sequitamento" (5) nelle mani dei rappresentanti del Comune di Corneto. Il Sindaco di Cencelle promise, tra l'altro, che gli abitanti di Cencelle avranno per amici gli amici di Cometo e per nemici i nemici e che, alla vigilia della festa di S. Maria di agosto, offriranno un cero i 10 libbre. Il Sindaco di Corneto promise di difendere il popolo ed il Comune di Cencelle da ogni nemico ad eccezione della Chiesa, del Capitano del Patrimonio e del popolo romano. L'atto formale della presentazione del cero avvenne il 14 di agosto alla presenza e con il consenso del notaio Gepzio di Egidio, in rappresentanza di Matteo di Bonifacio Vitelleschi (6), Castellano di Corneto in Cencelle. La sottomissione in Corneto è ulteriormente testimoniata nel 1362. E' del 30 di agosto l'atto formale col quale il Consiglio generale e speciale di Cencelle incaricò il Sindaco a consegnare ai rappresentanti del Comune di Corneto il cero di 10 libbre in virtù dell'offerta che Cencelle soleva fare da tempo immemorabile.

Alcune vicende del XIV secolo

Il trasferimento della S. Sede ad Avignone, la discesa del Bavaro e le guerre interne a Viterbo presso cui Faziolo di Vico divenne, nel 1330, arbitro della situazione, alimentarono una tale confusione che il Patrimonio era infestato da ladroni. Il Castellano di Cencelle, in una sola volta, ne prese sette che furono condotti a Montefiascone dal Notaio Matteo. A proposito di Montefiascone, va registrato che nel 1349, cioè dopo la nota peste, alcuni signori di Montefiascone locarono a Tommaso Ione di Cencelle alcuni fondi rustici situati presso Cencelle. Lo stesso Ione fu autorizzato a "castellare Tolfiziole" ( "La Tolficciola", un modesto colle situato tra Tolfa Vecchia e Tolfa Nuova). Innocenzo VI, con l'intento di riformare l'amministrazione della Chiesa, nominò suo Legato Vicario Generale in Italia il Cardinale Egidio Albornoz. Nell'aprile 1354 caddero ad una ad una le città del Patrimonio e il 18 maggio cadde Corneto. Una volta presa la città, il Capitano Salamoncelli chiese all'Albornoz l'ordine di ritirarsi. L'Albornoz diede l’autorizzazione e nel contempo invitò Arturello di Tolfa Vecchia (al quale aveva scritto) a porre, per l'accerchiamento di Cometo, due squadre di cavalieri presso Cencelle e Montalto "pro dampnificando Cornetanos". Dopo l'azione dell'Albornoz, il Campidoglio tentò d'imporre la propria forza sulle terre del Patrimonio inviando le milizie romane. Quando le milizie, al comando di Rainaldo Orsini, si avvicinarono a Sutri (giugno 1357), il Rettore del Patrimonio invitò le seguenti città a stare all'erta e fare buona custodia: Tuscania, Cometo, Cencelle, Bomarzo, Bassano e Bassanello. L'anno successivo, il Rettore del Patrimonio impose agli abitanti di Cencelle di ripararsi presso Corneto per timore dell'avvicinarsi della Compagnia di ventura di Anichino di Bongarden che stava al servizio della Repubblica di Perugia contro la Chiesa. Il timore fu infondato, il danno venne invece dal ritorno delle milizie romane che, il 13 giugno 1360, devastarono le terre di Corneto, Gallese, Bassanello e Cencelle. Il giorno seguente le stesse milizie rubarono alcuni animali di Cometo e Cencelle che poi condussero a Civitavecchia dove si organizzarono per nuove azioni. Nel caos politico e amministrativo in cui versava il Patrimonio durante il periodo avignonese, il Notaio Giacomo dell'Amatrice, nel luglio 1362, estorse al Sindaco di Cencelle quattro fiorini, asserendo falsamente di essere stato inviato dal Giudice dei malifici per certe inquisizioni.      Torna su

La popolazione

Conoscere o stabilire quale fosse il numero degli abitanti di una città medioevale vissuta per diversi secoli e attualmente ridotta a qualche accenno di mura e di torri, è quasi impossibile. Tuttavia, con l'aiuto di due documenti, si tenterà almeno di dare un'idea proponendo una base di studio. E' probabile che il XIII secolo sia stato quello demograficamente più intenso. E' di questo periodo il primo documento che permette la relativa indagine. All'atto formale del 29 settembre 1220 col quale il Comune di Cencelle vendette al Comune di Viterbo i propri diritti patrimoniali, parteciparono tra gli altri: un maestro, un calzolaio, dei fabbri, alcuni addetti ai molini ed altri alle osterie. Un totale di circa duecento persone che certamente non comprendeva l'intera popolazione di Cencelle, non figurando nell'elenco donne e bambini; forse erano i capifamiglia. Moltiplicando il numero dei partecipanti per cinque ( = ad un totale di una famiglia media) si perviene ad un totale di circa 1.000 corrispondente alla presunta popolazione presente nel XIII secolo. L'altro documento che permette di indagare sulla popolazione è del XV secolo e si tratta del registro del sale e del focatico edito dal Tomassetti che, secondo il Pardi, è una copia di un originale redatto tra il 1422 ed il 1424. Dal registro risulta che Cencelle veniva tassata per 15‑10 rubbia semestrali di sale equivalenti a 3390‑2260 chili annuali. Dividendo la quantità annuale per 7 ( = consumo individuale) si perviene ad una popolazione oscillante tra 300 e 500 abitanti. Sarà stata questa la reale popolazione di Cencelle? Di certo nei secoli iniziali la città è più densamente popolata; dopo la metà del XIV secolo si avverte una certa diminuzione, dovuta forse alla peste del 1348 e/o al terremoto dell’anno successivo; dal XV secolo Cencelle è ridotta ad una tenuta agricola che lentamente andrà spopolandosi.

Vitelleschi, di vico e anguillara

Il benedettino Urbano V (forse nel 1368, quando si recò a Montefiascone) concesse alla Mensa Episcopale di Montefiascone i redditi ed i proventi agricoli di Cencelle. Due anni dopo, prima di partire per la Francia dove mori, nominò Castellano di Cencelle Giovanni Conte di Cerchiano. Il Papa ancora ad Avignone ed i soprusi del potere ecclesiastico fecero scoppiare nel 1375 una ribellione nazionale alimentata e condotta dalla Repubblica di Firenze. Nel Patrimonio di S. Pietro il Prefetto Francesco di Vico aderì alla politica fiorentina mentre il cornetano Ludovico Vitelleschi si pose a paladino del papato. L'11 settembre 1376 Gregorio XI, per dimostrare la sua gratitudine per la difesa di Corneto assediata dal Prefetto, concesse al Vitelleschi il godimento di beni confiscati ad alcuni ribelli. Due giorni dopo il Papa parti da Avignone ed il 5 dicembre sbarcò a Corneto da dove si diresse, per via mare, a Roma. Nello sbarco il Papa fu aiutato dal Vitelleschi e molestato da Francesco di Vico. Per l'aiuto prestato, il 7 febbraio 1377 Gregorio XI concesse a Ludovico Vitelleschi i redditi ed i proventi agricoli di Cencelle per un valore di 150 fiorini l'anno, revocando così la precedente concessione di Urbano V. Cencelle dovette poi pervenire a Giovanni Sciarra di Vico, cugino di Francesco. Lo si deduce dal trattato del 5 marzo 1392 tra il Campidoglio e Bonifacio IX dove è detto che i beni del Di Vico vengono assegnati alla giurisdizione del Campidoglio, ad eccezione di Viterbo, Orchia e Cencelle che vengono assegnati alla giurisdizione della Chiesa. Pertanto anche Cencelle aveva fatto parte dei beni del Di Vico e col trattato ritornava alla Chiesa. Per la Chiesa, nel 1394 si trova Castellano di Cencelle Francesco dell'Anguillara che vi teneva un custode in suo nome. Con il mutare degli eventi politici e militari, nel 1396 Bonifacio IX fu costretto a cedere a Giovanni Sciarra di Vico Orchia e Cencelle per un simbolico censo annuo.

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5) Si tratta del giuramento col quale Cencelle s'impegnava a "seguitare" a prestare sottomissione a Cometo. Al medesimo giuramento erano sottoposti Tolfa Vecchia, S. Arcangelo, Monte Monastero, Civitella e Rota a dimostrazione dell'influenza politica‑territoriale che vantava il Comune di Cometo. Al contrario l'influenza del Comune di Viterbo si limitava al Castello di Montecocozzone.

6) Autorevole famiglia cornetana proveniente da Foligno da dove era stata cacciata dalla famiglia Trinci. L'esponente più prestigioso va senz'altro individuato nel Cardinale Giovanni Vitelleschi che, come un secondo Albornoz, fu il braccio secolare di Eugenio IV. Ma caduto in disgrazia e per ordine dello stesso Papa fu fatto arrestare in Castel S. Angelo dove morì il 2 aprile 1440.       Torna su

Tartaglia, di vico e vitelleschi

Soprattutto a causa dello scisma il Patrimonio di S. Pietro era percorso e funestato dalle cosiddette "Compagnie di ventura" che si ponevano al soldo dei personaggi più prestigiosi. Tra i più celebri Capitani di ventura vanno ricordati: Paolo Orsini, Sforza d'Attendolo, Gentile da Monterano, Braccio da Montone e Angelo Broglio da Lavello detto "Tartaglia". Il Tartaglia era Capitano di Braccio nonché Comandante in capo dell'esercito di Ladislao Re di Napoli. Con quest'ultima qualifica nel 1413 favorì l'entrata in Rorna del Re di Napoli. Nello stesso anno il Tartaglia s'impadronì di Cencelle. Nel'1414 Gregorio XII gli riconobbe Tuscania e Cencelle. Nel perdurare dello scisma il riconoscimento di Cencelle avvenne anche da parte di Giovanni XXIII nel 1415 assieme a Tuscania, Canino e Spicciano per il censo di "unius asturis". Lo scisma si chiuse con l'elezione papale di Martino V (un Colonna) che nel 1420 portò il Tartaglia al soldo della Chiesa riconoscendogli Cencelle. Ma l'anno successivo il Tartaglia, che aveva restaurato le vecchie fortificazioni, morì ammazzato ad opera dello Sforza, quindi Cencelle ritornò alla Chiesa. Cencelle dovette poi pervenire nelle mani del Prefetto Giacomo di Vico per il quale fu fatale l'alleanza di Eugenio IV con Giovanna Il regina di Napoli. Infatti nell'inverno 1431‑1432 l'esercito pontificio, comandato dal cornetano Giovanni Vitelleschi, recuperò per la Chiesa diversi luoghi presi al Prefetto tra cui Cencelle. Dopo la tragica morte di Giacomo di Vico, ucciso nella Rocca di Soriano nel 1435, Eugenio IV istituì nel 1436 la Diocesi di Corneto con Montefiascone, separandola da quella di Viterbo‑Tuscania. In quell'occasione Eugenio IV confermò alla Mensa Episcopale i proventi agricoli di Cencelle aggiungendo quelli di S. Maria sul Mignone e S. Savino. Sorsero delle liti, così il 13 febbraio 1451 Nicolò V ripristinò Bartolomeo Vitelleschi, Vescovo della Diocesi di Corneto e Montefiascone, nel possesso dei proventi agricoli di Cencelle, S. Maria sul Mìgnone e S. Savino "con pieno godimento di frutti, redditi, pascolo e altri diritti usurpati per la malizia dei tempi".

La tenuta agricola

Intorno al 1460 iniziò l'industria dell'allume (probabilmente le prime estrazioni avvennero nelle vicinanze di Cencelle) sollevando interessi economici e politici a livello locale, nazionale ed europeo. Tra gli episodi locali più rilevanti va registrata la guerra dell'agosto 1468 tra Paolo Il e i signori di Tolfa Vecchia. Pochi mesi più tardi, il 10 dicembre 1468 lo stesso Papa concesse a Vianesio "protonotario Bononiensis" le seguenti tenute: Terzolo, Monteianna, Santa Maria sul Mignone, Cencelle e Monte Romano. E' evidente quindi come Cencelle sia ridotta ad una tenuta agricola ma pur sempre appetibile in quello straordinario momento dell'industria dell'allume in cui c'era assoluto bisogno di enorme quantità di legname necessaria alle fornaci e doveva essere soddisfatta la necessità alimentare dell'ingente numero degli addetti all'industria. Per cui ogni più piccolo appezzamento di terra veniva utilizzato, disciplinato e finalizzato. Così, a seguito di una supplica dei Cornetani, il 23 aprile 1512 Giulio Il concesse loro il permesso di far pascolare le pecore bianche o nere (dette "mungane") nel territorio oltre il fiume Mignone, ma soltanto fino ai confini di Civitavecchia, Cencelle e Ancarano. Il territorio di Cencelle interessò anche la famiglia dei Farnese che è forse identificabile con quella "lilia gens" indicata sulla lapide (7) che si trovava all'ingresso del Castello di Tolfa Vecchia (ora giacente al Museo Civico di Tolfa). L'esponente più prestigioso di casa Farnese fu senz'altro Alessandro Farnese, fatto Cardinale da Alessandro VI e divenuto Papa nel 1534 col nome di Paolo III. Oltre allo stemma che campeggia sotto la tettoia di un muro del Borgo significativamente chiamato "La Farnesiana", nel 1506 è documentato il Cardinale Alessandro Farnese. In un accordo sull'appalto dell'allume tra Agostino Chigi, Giacomo Migliorini, Vannino d'Antonio e Giovanni d'Antonio è detto: "Se chaso venisse che per il Cardinale di Famese o altri violentemente armata mano fusse fatto danno ala lumiera dela Ternità ("La Trinità") o a l'altre lumiere ... ... Si teme cioè un intervento militare di Alessandro Farnese che evidentemente era interessato all'industria dell'allume o quanto meno al suo territorio (8). Non casualmente nel 1532 la Camera Apostolica affittò la tenuta di Cencelle al Cardinale Alessandro Famese. Non casualmente nel 1537 sotto Paolo III, la Camera Apostolica vendette al figlio del Papa, Pierluigi Farnese, la tenuta di Tolfa Nuova. Non casualmente nel portico di Palazzo Farnese a Caprarola è visibile la torre (9) di Tolfa Vecchia. Sono tutte circostanze che testimoniano il ruolo storico svolto dalla famiglia Farnese. Per ritornare direttamente a Cencelle, nel 1561 fu alienata dalla Camera Apostolica. La Mensa Vescovile di Corneto e Montefiascone rivendicò i propri diritti sulla tenuta per cui venne ad una vertenza con la Camera Apostolica. Nel 1578, tra i capitoli dell'appalto dell'allume concesso a Bernardo Olgiati e Gio. Francesco Ridolfi è detto: "La Camera sia obbligata fare che il Vescovo di Cometo affitti fino di adesso alli Appaltatori tutta la tenuta di Cincelli per il medesimo prezzo che s'affitta hoggi, né si possa scusare con dire che promette il fatto d'altri". Il 6 febbr; 1582 Gregorio XIII risolse la vertenza la Camera Apostolica ed il Vescovo Corneto e Montefiascone sulla tenuta Cencelle che, veniva compresa nell' appalto dell'allume. Con apposito Breve venne decretato che la tenuta di Cencelle apparteneva alla Camera Apostolica. Nel 1780, nella suddivisione dei terreni in comunali (di Tolfa), camerali annessi all'appalto delle "Allumiere" e camerali annessi all’appalto della Dogana del Patrimonio, la tenuta di Cencelle è elencata tra i beni camerali annessi all'appalto delle "Allumiere". Assieme a Cencelle facevano parte delle tenute camerali: "Banditella, Monte Sassetto, Piano di Gallo, Puntone di Carnevale, Monte S. Angelo, Casale, Campo della Mola, Campo d'Asco, Campo Sicuro, Campo Reale, Campo Sallustio, S. Maria sul Mignone, Campo Riccio, Monte Rotondo, Montigiana, Puntone d'Asco, Puntone S. Angelo, Puntone di Ridolfo, Prati delle Bufale, Poggio Vivo, Spizzicatore, Spinacceta, Prati di S. Maria, Prati della Mola, Montecocozzone, Palano, Quarto delle Bufale, Selvato". Cioè un complesso di tenute che, tolte alcune e con l'aggiunta di altre, andrà a formare il patrimonio comunale di Allumiere. Col declinare dell'industria dell'allume, nel 1826 il Paese di Allumiere ottenne l'autonomia comunale. Le fabbriche d'allume furono convertite in attività agricole ma la crisi economica era così profonda che nel 1831 furono vendute le prime tenute. Nel 1836 la Camera Apostolica, tramite il Tesoriere Monsignor Antonio Tosti (che darà il nome alla cava "Tosti”) vendette al Monte di Pietà altre tenute agricole tra cui quella di Cencelle. Attualmente la tenuta di Cencelle è sotto la giurisdizione politica e territoriale del Comune di Tarquinia. E' di proprietà del Signor Pio Stendardi che l'ha acquistata dalla Marchesa Carolina Sacchetti. Torna su

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7) La lapide riporta la seguente iscrizione: "CUI DEDIT NOMEN CUI FELSINA MUROS LILIA GENS ORIUNDA DOMUM". La traduzione del testo è soggetta a diverse interpretazioni secondo la costruzione che si propone e quindi l'autentico contenuto risulta ancora enigmatico. Un contributo alla risoluzione della traduzione può provenire dalle vicende storiche dei Monti della Tolfa tramite le quali è possibile riconoscere nel Medio Evo alcuni esponenti della famiglia Farnese e ipotizzare concretamente un ritorno  della "lilia gens" in epoca rinascimentale.

8) Dopo la morte di Agostino Chigi (1520) l'omonimo casato esaurì la sua parabola ascendente perdendo temporaneamente di prestigio sia nel campo politico che in quello economico. I successori si trovarono coinvolti in vertenze giuridiche che contribuirono notevolmente al dissesto dell'impero economico creato dal "magnifico" Agostino. Al contrario, il casato dei Farnese, con l'elezione papale di Paolo III, visse il suo momento di gloria più gratificante. Nel 1580 i successori del Papa, dopo pressioni ed insistenze iniziate dal Cardinale Alessandro Farnese, riuscirono ad acquistare dai Chigi l'artistico palazzo fatto costruire a Roma da Agostino Chigi su progetto di Baldassarre Peruzzi. E' il palazzo famoso per gli affreschi del Raffaello e che, dopo il forzato acquisto, prese il nome di "Farnesina". L'acquisto dovette provocare un certo risentimento da parte dei Chigi, risentimento che si manifestò in tutta la sua asprezza dopo la distruzione del 1649 di Castro, la città capitale dell'omonimo Ducato e appartenente ai Farnese. Al tentativo di Ranuccio Farnese di riprendersi Castro, pagando il debito contratto, si contrappose la ferma opposizione di Alessandro VII (un Chigi, 1655‑1667) che nel 1659 rese inalienabile il Ducato di Castro. Sembra inoltre che prima di morire, il Papa invitasse i suoi successori a respingere tutte le pretese di Ranuccio. Evidentemente perdurava un rancore personale, e Alessandro VII, esperto conoscitore, della storia della sua famiglia, intendeva rifarsi anteponendo o facendo prevalere gli interessi personali a quelli politici.

9) La torre rappresenta il simbolo della famiglia Frangipani della Tolfa. Sembra la medesima torre, a tre piani, che è riportata nel testo di Don Ferrante della Marra (Discorsi delle famiglie estinte, 1641) e che è indicata nello stemma di Scipione Frangipani della Tolfa, Arcivescovo di Trani (+1595). All'origine, la torre era d'argento su campo rosso; i Frangipani della Tolfa la usarono col campo mutato in azzurro. Nel 1469 i fratelli Ludovico e Pietro, Signori di Tolfa Vecchia, vendettero alla Chiesa il Feudo di Tolfa Vecchia con le annesse miniere per il prezzo di 17.300 ducati e si trasferirono nel Regno di Napoli dove acquistarono la Contea del Serino per 12.000 ducati. Pur trasferendosi, i fratelli mantennero il predicato di Tolfa e la loro discendenza sarà chiamata dei "Frangipani di Tolfa". Esula dal tema la loro genealogia, per quanto concerne la parentela con i Farnese è utile riportare il seguente brano: "Da Ludovico III Signor di Serino, e da Elisabetta sorella di Papa Paolo IV, nacquero G. Battista, Paolo e Pietro e ne nacquero ancora molte femmine; la prima fu Vittoria la quale maritata a Pardo Orsino Marchese della Valle Siciliana, fu madre di quella unica (sic) figlia, che erede di gran facoltà fu scelta da Papa Paolo III per sposa di Pierluigi Farnese primo Duca di Parma, e Piacenza, suo figlio, in grazia, della quale sposa creò Cardinale Gio. Pietro Carrafa, zio carnale di sua madre, che fu poi Papa Paolo IV".

 

Bibliografia    Torna su

 

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