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Paolo Franchi I Falconiformi dei MOnti della Tolfa
 
Gheppio Lodoaio Nibbio Bruno Poiana adulta

 

PAOLO FRANCHI
I FALCONIFORMI DEI MONTI DELLA TOLFA

 

RINGRAZIAMENTI
Voglio ringraziare in primo luogo l'amico Pietro Tidei che ha favorito i miei contatti con l'Amministrazione Provinciale di Roma, il cui contributo è stato determinante per la realizzazione; l'Amministrazione Comunale di Tolfa che si è assunta l'onere della presentazione; tutti quanti Enti o persone hanno contribuito in maggiore o minor misura alla realizzazione di quest'opera.
PREFAZIONE
Sono nato qui, tra queste colline, in questa zona dal paesaggio così vario, un tempo tutta foresta, poi pascolo, ora, in parte, terra lavorata. I boschi, anche se numerosi, non sono molto estesi: l'alto fustosta scomparendo. Anche le siepi, un tempo di rovo e di pruno selvatico, lasciano il posto a recinzioni metalliche sostenute da paletti in cemento. I versanti che guardano il mare sono ricoperti di piante sempreverdi; i restanti, di querce, pochi castagni, molti roveti. Caratteristiche e inconfondibili sono le cime del Monte della Rocca, della Tolfaccia, del Marano. Su queste volteggiano i falchi. Ogni momento di libertà ho cercato sempre di viverlo all'aria aperta, nella solitudine della campagna, solo anch'io, per essere quanto più simile a loro, ai falchi. A questi ho dedicato molto tempo: gli animali non hanno fretta. Chi va in cerca dei rapaci non porti l'orologio: l'unità di misura temporale non è l'ora, ma il giorno segnato dal sole che cala. Per anni ho osservato questi uccelli descrivere larghi giri nel cielo, di primavera, senza capirli. Ho cercato, quindi, di farmi accettare. Chi non viene accettato dai falchi, non li potrà mai capire. Il falco teme l'estraneo, la novità, i contorni non ben definiti, ciò che non riesce immediatamente a capire. Per essere accettati bisogna sempre indossare lo stesso vestito, fare sempre gli stessi gesti, percorrere la stessa strada alla stessa ora, penetrare a poco a poco nel loro mondo, connaturarsi quasi nel loro habitat. Bisogna essere soli, imparare a nascondersi agli occhi indiscreti avere la stessa paura che ha il falco. Inoltre non si deve camminare a testa bassa, curvo, con fare circospetto perché ciò lo metterebbe in allarme. E' necessario anche imparare a fotografare con gli occhi il paesaggio: una macchia scura che ieri non c'era potrebbe essere lui. Il continuo osservare i falchi aguzza la vista. Ho incontrato molti rapaci e li ho seguiti nella loro vita di tutti i giorni apprendendo sempre qualcosa di nuovo, e sono proprio queste mie esperienze, le mie conoscenze, che ho inteso mettere per iscritto un po' per farne partecipi altri appassionati ma anche e soprattutto per chiarirle a me stesso, per rifletterci sopra e arrivare a capire meglio questo mondo ancora abbastanza sconosciuto. Non starò a ripetere ciò che è possibile trovare su tutti i testi di ornitologia: cercherò di dare dei rapaci una immagine forse non troppo scintillante, ma spero abbastanza vera.Torna su
L'autore
INTRODUZIONE
Questo lavoro che è frutto di osservazioni giornaliere, protrattesi per molti anni saltuariamente dal 1965 e sistematicamente dal 1976 ad oggi, vuole dare un quadro abbastanza esatto e completo dei rapaci presenti nella mia zona e preminentemente di quelli nidificanti. Le escursioni sono state effettuate da maggio ad agosto e durante i vari appostamenti sono stati raccolti numerosi dati che, confrontati fra loro e rielaborati, hanno permesso di trarre conclusioni più generali. I rapaci oggetto di questa ricerca sono stati osservati nel territorio tolfetano-cerite, formato da colline di origine vulcanica, compreso fra le province di Roma e Viterbo e racchiuso dal corso del fiume Mignone a N, dalla Braccianese-Claudia edE, a S dalla strada Bracciano-Cerveteri, e ad W e SW dal mare Tirreno. E' un territorio abbastanza esteso (70 mila ettari circa), dal paesaggio estremamente vario: i boschi (cerro, leccio, lentisco, castagno, faggio ecc.) si alternano infatti con i pascoli, la macchia mediterranea lungo la fascia costiera, i roveti, la terra coltivata (foraggio, cereali, ortaggi). Questa zona, per certi aspetti ancora incontaminata anche se minacciata e pressata dal cemento, è interessante dal punto di vista naturalistico per la presenza di molti uccelli rapaci nidificanti. Schede (Cartina) (Morfologia esterna dei falconiformi)
I RAPACI IN GENERALE.
Gli uccelli rapaci, per il loro aspetto fiero, la forza, il loro coraggio, hanno sempre colpito la fantasiapopolare; antiche raffigurazioni, insegne, stemmi gentilizi rappresentano questi uccelli. I rapaci hanno sempre avuto uno strano destino: di essere amati da tanti e da tanti altri odiati. Per alcuni misteriosi, per altri crudeli e sanguinari nemici; per altri ancora simbolo di regalità e potenza, questi uccelli sono sempre stati oggetto di interesse ma raramente di studi approfonditi. Ci si è limitati, spesso, a descrivere il loro aspetto fisico desunto da esemplari morti, ci si è fermati a giudizi superficiali (rapaci = nocivi predatori), senza considerare i vari aspetti della loro vita, i rapporti con gli altri animali, la loro funzione nella natura. Raramente e solo per alcune specie è stato fatto uno studio etologico, cioè l'analisi del comportamento e delle abitudini nel loro ambiente naturale. Questa ignoranza ha fatto sì che Avvoltoi, Nibbi e Albanelle, innocui divoratori di carogne fossero considerati invece sterminatori di selvaggina. Allo stesso modo la fantasia popolare è arrivata a costruire improbabili leggende su rapaci rapitori di bambini. Abbastanza comodo e semplice è osservare i falchi che volteggiano alti nel cielo; più difficile è cogliere gli altri momenti della loro vita di ogni giorno.
L'alba trova il rapace appollaiato su un albero o uno spuntone di roccia dove ha passato la notte. Il falco dorme con la testa reclinata da una parte, generalmente a sinistra, le penne arruffate e sostenendosi su una gamba sola. Appena sveglio con il becco ravvia eventuali piume del petto fuori posto e compie dei brevi voli fino a svegliarsi completamente. A secondo il tipo di alimentazione e di conseguenza di prede, il falco può cominciare subito la caccia, oppure indugiare presso un ruscello o una pozza di acqua limpida a fare il bagno. Diverse fra i rapaci sono le tecniche per bagnarsi. Il Nibbio Bruno entra in acqua immergendo soltanto i tarsi e gettandosi addosso l'acqua con il becco. Il Gheppio invece si immerge fino all'addome e, messe le ali semichiuse e la coda a ventaglio con questa percuote l'acqua provocandodelle piccole onde dalle quali si lascia cullare. Anche il modo di cacciare è diverso fra le varie specie e ciò è dovuto a molti fattori quali la mole del rapace, la conformazione del becco e degli artigli, in definitiva a tutte quelle differenziazioni che ogni specie ha acquistato in secoli di adattamento e specializzazione nei confronti delle specie cacciate. Su queste diversità di struttura fisica e di conseguenza di comportamento si basa appunto la classificazione scientifica dei rapaci nelle famiglie dei Falconidi, degli Accipitridi e dei Vulturidi che saranno oggetto della nostra trattazione particolareggiata.Torna su
Caratteristica comune è quella di afferrare la preda e ucciderla con gli artigli o aiutandosi con il becco. Alcuni catturano la preda al volo, oppure scendendo in picchiata la urtano con la forza di un proiettile facendola precipitare. Altri stanno a lungo in agguato, posati su un posto di osservazione da cui si lanciano all'improvviso, altri ancora sorvolano instancabilmente prati e margini di boschi aspettando che la loro presenza faccia alzare qualche animale. Catturata la preda, la consumano sul luogo, oppure, se è grande, la afferrano con un artiglio e la trascinano sul terreno in un posto più tranquillo. Se è leggera e facilmente trasportabile si sollevano con essa e si portano sul loro posatoio abituale dove con comodo compiono le varie operazioni che precedono il pasto vero e proprio. Postasi la preda sotto di loro in modo da gravare con tutto il peso del corpo, tenendola ferma, con gli artigli, cominciano a mettere a nudo l'addome strappando piume o ciuffi di pelo a secondo che la vittima sia un uccello o un mammifero. Successivamente, con potenti colpi di becco, si aprono un passaggio e danno inizio al banchetto cominciando dagli organi interni, poi attaccando i muscoli e lasciando soltanto le ossa maggiori, il cranio e le estremità. Se capita loro di ingerire qualche parte non digeribile la eliminano coi così detti boli che vengono rigurgitati e che hanno la forma di pallottole compatte. E' l'analisi dei boli alimentari oltre alla osservazione diretta delle prede catturate che ci permette di sapere quale è il tipo di alimentazione del rapace. Le ore più calde del giorno sono da lui trascorse nello stesso posto dove consuma il pasto. Passa questo periodo a liberare accuratamente gli artigli da ogni residuo di carne rimasta attaccata, a pulirsi il becco strofinandolo contro la corteccia dell'albero o la superficie ruvida di un sasso, ed a lisciarsi le penne che devono essere sempre in ottimo stato. Proprio per la vita che il falco conduce, una vita di caccia, estremamente difficile, deve essere sempre in forma perfetta; la muta avviene in lui gradualmente perdendo si può dire una penna alla volta e non prima che la nuova sia ricresciuta. Nel tardo pomeriggio il rapace riprende la caccia fino a che la sera non lo costringe a ritirarsi nel suo rifugio notturno nell'attesa che il sole annunci l'inizio di una nuova giornata. I rapaci in genere, non sono gregari, anzi sono portati dalla loro stessa natura ad essere aggressivi, la qual cosa però non si verifica durante il periodo della riproduzione ed è logico che sia così. La coppia, una volta formata si mantiene molto unita almeno finché ci sono i piccoli. Giunta la primavera, i due rapaci trascorrono alcuni giorni alla ricerca di zone adatte alla riproduzione e ad affermare la loro supremazia sui territori prescelti. Ingaggiano così furibonde lotte, principalmente con le cornacchie, fatte di lunghi inseguimenti, schermaglie aeree che si concludono sempre in modo incruento. Quindi quelli che sono riusciti a scacciare i concorrenti ed assicurarsi un posto, iniziano la fase del corteggiamento. La coppia, sfruttando le correnti ascensionali con grandi giri concentrici si innalza altissima nel cielo fin quasi a scomparire, poi, improvvisamente uno dei due si stacca dall'altro scendendo in picchiata per poi risalire velocissimo. I due infine si posano a molti metri da terra, sulla cima di un grande albero o roccia; per prima si posa la femmina subito seguita dal maschio e dopo qualche breve inseguimento avviene l'accoppiamento. Il nido per molte specie di rapaci è sempre lo stesso, utilizzato per anni di seguito. Quelli posti sulla roccia non hanno bisogno di manutenzione alcuna; per quelli sugli alberi, qualche piccola riparazione basta a renderli di nuovo efficienti ed a questo pensa la coppia con sollecitudine. Diversa è la grandezza di questi nidi e ciò è dovuto al tatto che, non costruendolo loro, utilizzano strutture preesistenti, in massima parte nidi di Cornacchia. Ho notato quindi che il nido occupato per la prima volta è molto più piccolo di quello che è servito più anni perché in quest'ultimo c'è grande accumulo di materiale. Le uova, deposte a distanza di poco tempo l'una dall'altra giungono tutte a schiudersi a meno che l'uovo non sia fecondo. Ciò capita se un uovo viene deposto dopo alcuni giorni, cioè con ritardo rispetto alle altre. L'incubazione dura circa un mese portata avanti in massima parte dalla femmina che però abbandona qualche volta il nido per andare a caccia. Durante la cova è possibile arrivare fin sotto l'albero dove la femmina sta covando senza che questa si alzi in volo. Se la sosta e l'osservazione si prolungano, il rapace abbandona il nido e descrivendo larghi giri nel cielo si allontana. Immediatamente si unisce nel volo il maschio che prima se ne stava nascosto fra la chioma di un albero. Insieme più volte sorvolano il nido, ma non vi fanno ritorno se non quando il disturbatore non se ne sia andato. Cessato il pericolo, inizia l'avvicinamento: prima i falchi volano su un albero, distante una cinquantina di metri dal nido e su questo restano a lungo. Poi a piccoli voli, tenendosi nascosti tra il fogliame, raggiungono il loro albero. Per seguire le varie fasi della riproduzione non è necessario salire sulla pianta per controllarne lo svolgimento. Finché c'è sopra la madre, e questo è facilmente accertabile dal fatto che sporgono in fuori la testa e la coda, è chiaro che le uova non si sono ancora dischiuse; la nascita dei piccoli è annunciata dal fatto che il nido viene lasciato molto spesso incustodito e che i rapaci cacciano in coppia. Il numero dei giovani falchi e la loro età è facilmente controllabile dalla quantità di escrementi che si trovano alla base dell'albero, molto visibili perché bianchi.Torna su Fin da piccoli i rapaci non sporcano il nido, dal quale si sporgono per far cadere fuori gli escrementi; i genitori cominciano abbastanza presto la ricerca del cibo e compiono i loro viaggi tesi a nutrire i piccoli con più frequenza al mattino finché la temperatura si mantiene fresca. Durante le ore più calde consumano all'ombra gli ultimi resti del pasto. I genitori insegnano ai figli a starsene appiattiti sul fondo del nido ed a restare immobili se avvertono qualche pericolo. Durante la riproduzione le prede migliori vanno ai figli, mentre l'alimentazione dei genitori è quasi esclusivamente composta di coleotteri. Se si sale fino al nido non si provoca nessuna reazione negli adulti che si limitano a sorvolare il nido e a tenerlo sotto controllo. Se i nidiacei sono già abbastanza grandi alla vista della persona reagiscono con un istintivo moto di fuga arrivando a gettarsi nel vuoto. Fino a che i genitori visitano frequentemente i piccoli, questi se ne stanno buoni, poi, quando gli intervalli si fanno più lunghi, incominciano a dare segni di impazienza. In principio è il più grande che solleva la testa e comincia a ruotarla da una parte all'altra, poi si mette in piedi, quindi allunga un'ala poi l'altra, e successivamente le batte simulando il volo. A imitazione del fratello incominciano anche gli altri, poi, improvvisamente si nascondono come se si fossero ricordati in quel momento degli insegnamenti materni.
Un giorno mentre stavo riprendendo un giovane Nibbio Bruno che faceva bella mostra di sé sull'orlo del nido, la madre, incurante del pericolo rappresentato dalla mia presenza, è piombata sul nido e dopo averlo costretto ad abbassarsi, se ne è andata precipitosamente Probabilmente i falchi credono che tolta l'immagine dagli occhi, questa venga cancellata anche dalla memoria e forse per gli animali è proprio così. Lo struzzo insegna! I nati, dopo un altro mese circa, abbandonano il nido, ma restano ancora nelle vicinanze se non sono disturbati. Quando i piccoli spiccano i primi voli hanno già appreso i primi rudimenti dell'arte del cacciare. Ancora implumi la madre porta loro piccole prede intere da dilaniare o spennare. Successivamente, superato questo primo stadio di conoscenza, i genitori talvolta lasciano cadere dall'alto piccoli uccelli o rettili per abituarli ad afferrare al volo. Altro utile esercizio in questo periodo di addestramento è quello di far sì che i piccoli tirino via con forza la preda dal becco della madre per sviluppare la loro combattività. Nel periodo successivo sembrano scomparsi, salvo farsi rivedere in grande numero quando una particolare circostanza per esempio la bruciatura delle stoppie rende una zona ricca di prede. Una volta ne ho contati più di sessanta, e probabilmente era un gruppo costituito da questi giovani unitisi ad altri in fase migratoria. Scheda (3)Torna su
I FALCONIDI: FALCONIDAE.
I rapaci presenti sui Monti della Tolfa, appartenenti alla famiglia dei Falconidi sono il Gheppio, il Grillaio, il Falco della Regina, il Lodolaio, il Lanario e il Falco Cuculo. Di questi, soltanto il Gheppio e il Lanario sono nidificanti. Caratteristica comune a tutti i Falconidi è quella di non uccidere la preda con gli artigli, ma con il becco. Il colpo mortale viene sferrato alla nuca della vittima in modo da spezzare le vertebre cervicali. Cacciano volando velocemente o restando immobili nel cielo; non si nutrono di carogne. Nessuna specie è in grado di costruirsi il nido. Genere Falco e Gheppio

GHEPPIO. FALCO T. TINNUNCULUS, L.
Insieme al Nibbio Bruno è il rapace più comune nella zona ed è sempre reperibile durante tutto l'anno. In inverno passa la maggior parte del tempo appollaiato su una sporgenza di una parete rocciosa o tufacea, luogo dove consuma anche il pasto e facilmente riconoscibile per la macchia bianca degli escrementi. Questo luogo è scelto in modo che per la particolare conformazione serva anche da riparo contro le intemperie. Da questo punto posto in posizione dominante il Gheppio si stacca per fare brevi giri di perlustrazione, portandosi su terreni puliti dove riesce meglio a scorgere la preda rappresentata da topi, lucertole, e insetti. Durante la caccia assume spesso la caratteristica posizione detta « spirito santo ». Essa è comune anche al Biancone ma con tale uccello non può essere confuso per la diversità della mole e del colore. Questa posizione consiste nel restare immobili nel cielo con le ali aperte ma non completamente e nel farle vibrare velocemente, un po' come fa l'allodola, cosa che consente al Gheppio di restare sospeso nell'aria. Da questa posizione scende in breve picchiata fino a posarsi sul terreno dove artiglia la vittima designata. Se il luogo osservato non offre nessuna preda, con un rapido volo si sposta di un centinaio di metri e riprende la posizione che si definisce « spirito santo ». In estate lo troviamo presso rocce esposte a mezzogiorno e che offrano possibilità di nidificazione o più spesso vicino a casali o ruderi. E' un rapace di piccole dimensioni con la groppa rossiccia e il sotto delle ali biancastro argenteo. Il maschio ha nuca e coda grigia a differenza della femmina che ha una colorazione uniforme. Vive solitario, a coppie durante il periodo riproduttivo, a gruppi durante la migrazione, ed è facile osservarlo in questo periodo sui fili della luce. Quanto alla riproduzione, la femmina appena avverte tale stimolo si sceglie il territorio ed il nido che, come abbiamo detto può essere fatto in una cavità di una roccia o in un buco di un vecchio edificio. Quindi comincia a volare, a simulare picchiate a sfiorare con il petto il nido lanciando alti e ripetuti richiami. Il maschio non tarda a venire e comincia così il corteggiamento fatto di fughe, inseguimenti, e soste che si concludono con l'accoppiamento; la femmina depone generalmente cinque o sei uova incubate per circa un mese. Durante la cova il Gheppio rimane al suo posto se non è direttamente infastidito, altrimenti fugge. Se invece ha i piccoli nel nido, diventa temerario ed aggressivo e tra forti grida compie numerose picchiate che si concludono con virate ad angolo retto a tre metri dal viso del disturbatore. I giovani Gheppi restano nel nido un mese. Quindi cominciando dai più maturi, lo abbandonano allontanandosi dalla zona che non è mai abbastanza grande per nutrirli ancora tutti.
EVOLUZIONE DELLA SPECIE NEL CORSO DEGLI ANNI.
La popolazione dei Gheppi sia stazionari e nidificanti che nidificanti soltanto sui Monti della Tolfa, è rimasta pressoché invariata negli ultimi anni. Qualche perdita del tutto irrilevante che subisce la specie in inverno a causa della caccia è compensata ampiamente in primavera dalla grande prolificità della specie.
Nidi costruiti su roccia 10; su fabbricati 34, metà dei quali abitati o frequentati in qualche modo da persone. Numero delle covate portate a termine in media all'anno: 23. Numero delle uova deposte per ogni nido: 6 (5-7).
Giovani involati nel 1976, 102 circa; nel '77, 95; nel '78, 90; nel '79, 80.
Altezza dei nidi su fabbricati 7-8 metri (anche 4 m.); su pareti di roccia o tufo 15-20 m. Esposizione dei nidi su roccia prevalentemente a Sud; su fabbricati tutte le direzioni.
GRILLAIO. FALCO NAUMANNI, FLEISCHER Grillaio
Facilmente confondibile con il Gheppio, se ne differenzia per il colore rosso mattone del groppone ed il volo interrotto molto spesso da brevi soste su alberi e cespugli; in questo ricorda un po' l'Upupa. La sua presenza sui Monti della Tolfa è limitata alla stagione primaverile. E' specie gregaria. L'ho osservato solo rare volte in questa stagione: 1 individuo il 5-5-1973, un altro il 30-4-1974.
FALCO DELLA REGINA. FALCO ELEONORAE, GÉNÉ Falco della regina
Non è comune, anzi direi accidentale sui Monti della Tolfa; ne ho osservato uno ucciso da un cacciatore e successivamente fatto imbalsamare. La sua cattura è avvenuta in autunno presso un capanno per colombacci ai quali probabilmente il rapace si era unito insieme a degli Sparvieri. Il suo aspetto è paragonabile a quello di un Gheppio tranne nel colore che è molto più scuro.
LODOLAIO. FALCO S. SUBBUTEO, L. Lodolaio
E' presente sui Monti della Tolfa come migratore in primavera e in autunno al seguito degli stormi di uccelletti di passaggio. Si può osservare in piccoli gruppi di quattro-cinque individui che a volte sostano anche più giorni se le condizioni generali sono favorevoli. Durante le ore calde se ne sta nascosto tra il fogliame di grandi alberi e la sua presenza è tradita dai forti e ripetuti richiami. Nelle prime ore del mattino e nel pomeriggio sorvola il bosco con volo rapidissimo, poi prende quota portandosi su terreni aperti dove, avvistata la preda, compie spettacolose picchiate. E' riconoscibile per la piccola mole, per il colore scuro, la testa nera, le ali appuntite che lo fanno assomigliare ad un Pellegrino in miniatura. Non l'ho mai visto all'inizio dell'estate e non credo che sia nidificante, nella zona, mentre è molto numeroso in agosto e ciò può spiegarsi, o con una precoce migrazione o con il fatto che nidifichi in altre regioni vicine e poi si irradi raggiungendo la nostra zona.Torna su
FALCO CUCULO. FALCO V. VESPERTINUS, L. Falco Cuculo
E' un piccolo rapace molto simile ai Gheppio per forma, dimensioni e volo. Sui Monti della Tolta è accidentale durante il periodo della migrazione. Ha istinto gregario, si nutre di piccole prede che cattura sul terreno e di insetti presi al volo.
LANARIO. FALCO BIARMICUS FELDEGGII, SCHLEGEL Lanario
E' reperibile in una sola zona dei Monti della Tolfa dove nidifica regolarmente su una parete rocciosa esposta a sud. Conosco altre due coppie ma non nidificanti e per esse vale lo stesso discorso fatto per il Lodolaio. Si riconosce per la colorazione scura del piumaggio e per la testa marrone rossiccia. In assenza del falcone Pellegrino (qualcuno sostiene che ci sia — Di Carlo —), è il rapace che caccia con maggiore maestria riuscendo a catturare uccelli e mammiferi di piccola e media mole. In marzo-aprile la femmina depone tre o quattro uova. L'ambiente preferito è quello sassoso e desertico. Nelle vicinanze del nido è molto aggressivo. Cattura anche insetti al volo e se ne ciba immediatamente, tenendoli con una sola zampa.
EVOLUZIONE DELLA SPECIE NEL CORSO DEGLI ANNI.
A quanto mi risulta una coppia occupa una sola zona dei Monti della Tolfa che si trova al limite est della parte di territorio da me esplorata e oggetto di questa trattazione; altri quattro esemplari si trovano in altra zona, ma non credo abbiano nidificato, perché li ho osservati solo in agosto.
ACCIPITRIDI. ACCIPITRIDAE.
Sono tutti rapaci che catturano e uccidono la preda con gli artigli. Sui Monti della Tolfa sono presenti specie migratrici e nidificanti. Migratrici sono le A!banelle, il Falco di Palude e l'Aquila Reale; nidificanti la Poiana, il Nibbio Bruno, il Nibbio Reale, il Biancone, lo Sparviero e il Falco Pecchiaiolo. Abanella minore
ALBANELLA MINORE. CIRCUS PYGARGUS, (L) Albanella Minore
E' un rapace che appare in gran numero alla fine dell'estate durante la migrazione e si trattiene solo alcuni giorni preferendo terreni aperti e non molto distanti dal corso dei fiumi. Vola a bassissima quota sfiorando la vegetazione con un volo irregolare e caratteristico posandosi spesso sui cespugli. E' molto confidente e questo fa sì che vada a riempire molto spesso il carniere di apertura di cacciatori delusi per la mancanza di selvaggina. L'Albanella ha ali strette e lunghe, una colorazione che va dal marrone bruciato della parte superiore al giallo della inferiore. La testa e gli occhi, posti in posizione frontale fanno assomigliare questo rapace ad uno Strigide. La coda è barrata di bianco. La specie è abbastanza numerosa in agosto, reperibile tutti gli anni lungo il basso corso del fiume Mignone: osservati alcuni individui il 10-8, il 13-8, il 24-8, il 3-9, il 15-9 del 1979. Meno frequente in primavera: osservazioni il 23-4. Non ne ho mai rinvenuto il nido; altri Autori ne hanno constatato tuttavia la nidificazione nel comprensorio ed anche in territori vicini, sia a Nord che a Sud. Torna su
FALCO DI PALUDE. CIRCUS AE. AERUGINOSUS (L) Falco di Palude
E' presente durante la migrazione, facilmente confondibile con le Albanelle ma di mole maggiore e corporatura più pesante. Vola a pochi metri dal suolo e si getta sulla preda improvvisamente; molto spesso si posa sul terreno.
ALBANELLA REALE. CIRCUS C. CYANEUS (L) Albanella Reale
L'Albanella Reale l'ho osservata in primavera estate sorvolare dei campi di grano non allontanandosi mai però dall'acqua dei corsi dei fiumi. Anch'essa non credo che nidifichi sui Monti della Tolfa dato che poco più a Nord la maremma toscana offre un habitat più favorevole. Quei pochi individui che giungono da noi provengono quasi sicuramente dalla laguna di Orbetello dove le Albanelle sono numerose. Si distingue dall'Albanella minore per la colorazione bianca che più di una volta mi ha provocato fortissime emozioni credendo di riconoscere in lei il Capovaccaio che è stato oggetto di un mio lungo studio. Osservata in primavera – estate, ma non credo che nidifichi sui Monti della Tolfa.
1 individuo visto in volo fra Tarquinia e Montalto il 6-5-1976; un altro in località Farnesiana il 9-8-1977.
AQUILA REALE. AQUILA CH. CHRYSAETOS (L) Aquila Reale
Una coppia di Aquile Reali forse proveniente dal Parco Nazionale d'Abruzzo è transitata sui Monti della Tolfa nell'inverno di pochi anni fa ed un esemplare è il caso di dire che « ci ha lasciato le penne »: un cacciatore vistosi posare davanti al capanno questo grande animale che egli nella sua semplicità o ignoranza non conosceva, come in seguito ha dichiarato, preso dal panico, e forse suggestionato da racconti di mostri alati, ha sparato uccidendolo. Quindi, tornato in paese con l'esemplare ucciso lo ha ceduto ad una trattoria in cambio di cinquemila lire. Fino a poco tempo fa l'esemplare imbalsamato faceva bella mostra di sé presso l'osteria sopra detta. L'altro esemplare superstite io l'ho potuto osservare per una intera mattinata mentre svolazzava visibilmente spaesato da un albero all'altro. Non potevo sapere che l'altra aquila fosse stata uccisa, e che quella fosse l'infelice compagna dell'altra, l'ho scoperto più tardi.
POIANA. BUTEO B. BUTEO (L) Poiana
Un tempo comune e stazionaria sui Monti della Tolfa, oggi è in lieve diminuzione. E' un rapace di grande mole con ali arrotondate alle estremità e coda anch'essa rotonda e breve. Volteggia alta nel cielo ad ali aperte ed immobili mantenendo questa posizione a lungo ed esplorando il terreno sottostante in cerca di topi, serpi ed altri piccoli animali. Se viene catturata e tenuta in cattività si dimostra goffa, impacciata e codarda tanto che basta la sola presenza dell'uomo per farla fuggire a nascondersi. In primavera dopo i soliti voli di corteggiamento per riprodursi costruisce o riadatta un nido vicino al tronco principale di un albero e la femmina vi depone due o tre uova; durante la cova se è disturbata abbandona immediatamente il nido. L'alimentazione dei piccoli è costituita in massima parte da topi e lucertole. Questi lasciano il nido dopo cinquanta giorni. In inverno è facile vedere la Poiana posata su pali o cespugli o inseguita da uno stormo di uccelletti.
EVOLUZIONE DELLA SPECIE NEL CORSO DEGLI ANNI.
Un tempo molto numerosa, oggi è ancora facile vederla ma non come prima. Una causa di questa diminuzione è senz'altro la competitività con altre specie più combattive quali Sparvieri e Nibbi. Le aree occupate dalla Poiana nella nostra zona e da me visitate nei vari anni ammontano a 29. Distanza fra i nidi: minima km 1, massima km 4,5.
Il numero dei nidi occupati nei vari anni:

 

1976
1977
1978
1979
12
10
8
7

 

Distribuzione dei nidi per ambiente: alberi grandi, anche in boschi tagliati sulle cosiddette « guide ». E' presente tutto l'anno, come dimostrano le date di osservazione del 1979: 19-1 loc. Tramontana, 2-2 Cava del Ferro, 27-3 Cava del Ferro, 8-4 Colle di mezzo, 4-5 Casalavio, 12-6 Monte Cozzone, 24-7 La Roccaccia, 14-8 Freddara, 17-9 Monte Cozzone, 20-10 Cava del Ferro, 2-11 S. Pietro, 13-12 Rota. Nidi costruiti su ceduo: 21; su alto fusto 8, di cui 3 su castagno e 5 su cerro o quercia. Numero delle covate in media all'anno 10; uova deposte in un singolo nido 2 e qualche volta 3; giovani involati nel '76, 30; nel '77, 18; nel '78, 18; nel 79, 16. Altezza dei nidi su quercia 7-8 m.; su castagno 15 m. Esposizione dei boschi: 16 verso Sud-Sud-Ovest, 13 verso Nord.
NIBBIO BRUNO. MILVUS M. MIGRANS Nibbio Bruno
E' un uccello molto comune sui Monti della Tolfa. Arriva i primi di aprile in piccoli gruppi formati da sei o più individui che rimangono insieme un giorno o due. Successivamente si dividono ed ogni coppia si irradia su tutto il territorio alla ricerca di un angolo tranquillo dove incominciare il delicatissimo periodo della riproduzione. Probabilmente nel loro volo di migrazione si servono della Sardegna come di un ponte gettato attraverso il Mediterraneo. Giungono infatti nelle prime ore del mattino e fanno la loro prima tappa presso l'immondezzaio dove cercano di arrangiarsi e di racimolare qualche cosa durante questo primo giorno di permanenza sul continente. Non tutte le coppie arrivate si fermano sui Monti della Tolfa. Infatti alcune proseguono per il lago di Bracciano, altre decisamente verso il Nord. Ho notato che i Nibbi che volteggiano sul lago di Bracciano hanno una colorazione più chiara delle penne ventrali. Il loro colore è bruno-rossiccio uniforme, contrariamente alla colorazione nero fumo di quelli che stanno sui monti. Esclusa l'ipotesi di trovarsi alla presenza di una sottospecie, le cause di questa diversa colorazione possono attribuirsi alla particolare alimentazione o al contatto della zona ventrale con l'acqua. Ciò trova conferma nel fatto che anche le anatre sono soggette a questa diversa pigmentazione. Nell'entroterra i Nibbi Bruni preferiscono le colline ricoperte da boschi di alto fusto circondati da grandi radure incolte. In volo si riconosce per le dimensioni grandi, la colorazione scura, la coda leggermente forcuta. Nei suoi voli di spostamento batte ritmicamente le ali portandole molto in alto sopra la schiena, mentre è in cerca di preda mantiene le ali immobili dirigendo il suo volo con impercettibili movimenti della coda. Per la caccia preferisce campagne aperte e incolte ma nella tarda primavera e inizio dell'estate sorvola molto spesso i campi falciati di fresco o le stoppie dove trova abbondanti coleotteri e piccoli rettili. Le ore più calde del giorno le trascorre appollaiato sui rami di un grande albero ombroso ad una cinquantina di metri dal nido. Il nido è posto su alberi di alto fusto, un po' inoltrato nel bosco. La sua alimentazione è costituita quasi esclusivamente da piccoli animali catturati sul terreno o da resti di animali morti. Caratteristici sono due Nibbi Bruni che hanno scelto come territorio di caccia l'autostrada Civitavecchia-Roma. La percorrono per un po' in una direzione, poi invertono la rotta e fanno marcia indietro fino a che non avvistano un riccio o un passero schiacciato sull'asfalto che si affrettano a raccogliere. (E c'è chi dice che le autostrade non servono a nessuno). Non è però questa coppia, né quella che si è stabilita nei pressi dell'immondezzaio che può offrirci un ritratto autentico del Nibbio Bruno dei Monti della Tolfa.Torna su
EVOLUZIONE DELLA SPECIE NEL CORSO DEGLI ANNI.
Poco meno di una decina di anni fa il Nibbio Bruno non era affatto comune nella zona. C'è stata una vera e propria invasione nel 1970 che ha provocato come conseguenza l'abbandono di alcune zone da parte delle Poiane molto meno adattabili dei Nibbi Bruni. La specie, anche se non ha più toccato le punte massime è molto numerosa e in continua espansione. Di questa specie ho trovato sui Monti della Tolfa almeno 29 aree occupate. Il numero dei nidi occupati nei vari anni sono cosi ripartiti:

 

1976 1977 1978 1979
20 15 10 8

 

La distanza dei nidi è: minima km 1 circa; massima idem. Distribuzione dei nidi per ambienti: alberi grandi in boschi a ceduo. Nidi costruiti su alberi in boschi a ceduo: 20; in boschi di alto fusto 9 di cui 2 su castagno e 7 su quercia. Numero delle covate in media all'anno: 13; uova deposte in un singolo nido, 3; giovani involati nel '76, 50 circa; nel '77, 30; nel '78, 28; nel '79, 20.
Altezza dei nidi 8-10 m da terra. Esposizione dei boschi dove si trovano i nidi: 5 Est-Nord-Est, 24 Sud-Sud-Ovest. Le date di arrivo da me registrate oscillano tra il giorno 20-3 e il 28-3; gli avvistamenti per i vari anni sono infatti:

1976 1977 1978 1979 1980
21-3 20-3 25-3 28-3 28-3

 

La partenza avviene nella seconda quindicina di agosto: in questo periodo si notano concentrazioni sino a 60 individui che sorvolano le stoppie appena bruciate, es. il 17-8-1977.
NIBBIO REALE. MILVUS M. MILVUS (L) Nibbio Reale
E' un rapace più comune da noi di quanto possa sembrare ad un osservatore superficiale che forse lo confonde spesso con il Nibbio Bruno più piccolo, più scuro e con la coda molto meno forcuta. Dopo il Nibbio Bruno e il Gheppio è il rapace più numeroso sui Monti della Tolfa ed è distribuito uniformemente su tutto il territorio. Arriva in primavera e si trattiene tutta l'estate riproducendosi, poi è presente in autunno come migratore; quindi possiamo dire che si trova nella zona quasi tutto l'anno. E' un uccello di grandi dimensioni, con ali strette e lunghe, coda che presenta una biforcazione molto accentuata, di colore marrone rossiccio il dorso mentre sotto le ali presenta due macchie bianche che servono ad individuarlo facilmente. L'habitat è quello del Nibbio Bruno con in più una maggiore preferenza per i luoghi aperti anche abitati. Cattura la preda sul terreno, la sua alimentazione è composta in prevalenza di carogne, lucertole e insetti. Per la riproduzione la coppia occupa ogni anno lo stesso territorio che a secondo l'abbondanza o meno di cibo può estendersi per un chilometro di raggio o molto di più. Il corteggiamento, come per tutti i falchi d'alto volo, avviene a grandi altezze ed è fatto di giri, picchiate, improvvise risalite che si concludono con la sosta sulla cima di un albero per permettere l'accoppiamento. Il Nibbio Reale non costruisce un proprio nido ma utilizza quello abbandonato da un qualsiasi uccello di una certa dimensione. Ambedue i componenti la coppia lavorano alla sua riparazione o ristrutturazione nelle prime ore del mattino o verso sera quando la temperatura è più fresca. Le uova, generalmente due, deposte spesso a distanza di molti giorni l'una dall'altra, non si schiudono simultaneamente e quindi è possibile osservare dei piccoli molto diversi fra loro per mole e stadio del piumaggio. Questa particolare situazione fa sì che i giovani Nibbi rimangano a lungo nel nido: la loro permanenza infatti si protrae per circa due mesi, dato che il più grande aspetta il più piccolo. Ormai maturi, non abbandonano ancora l'albero su cui sono nati perché sanno che in caso di bisogno i genitori sono pronti a correre in loro aiuto.
EVOLUZIONE DELLA SPECIE NEL CORSO DEGLI ANNI
La specie in questi ultimi anni è progredita adattandosi meglio di altri rapaci alle mutate condizioni ambientali.
Numero dei nidi occupati nei vari anni:

 

1976 1977 1978 1979
8 8 6 9

 

Distanza dei nidi fra loro: minima km 3; massima km 4, Distribuzione dei nidi per ambiente: boschi di alto fusto. Aree di nidificazione conosciute 29. Numero delle aree occupate: 13; nidi su ceduo: 10; alto fusto 3, di cui 2 su castagno. Numero delle covate in media all'anno: 8; uova deposte in ogni nido 2; dove è presente anche il terzo uovo è nella quasi totalità infecondo.
Giovani involati nel '76, 14; nel '77, 13; nel '78, 12; nel '79, 15. Altezza dei nidi molto variabile da 3 m a 15 m, Esposizione dei boschi: 9 verso Est; 4 verso Sud.
BIANCONE. CIRCAETUS G. GALLICUS Biancone
Questa splendida aquila è presente nella campagna brulla e disabitata dei Monti della Tolfa con poche coppie nidificanti. E' un animale tipicamente estivo e contrariamente agli altri rapaci che se ne stanno nascosti nel bosco, è possibile vederlo volare nelle prime ore del pomeriggio. Dal momento che gli animali non fanno niente senza un motivo preciso questo comportamento è spiegabile col fatto che le sue prede usuali sono i rettili e questi per muoversi aspettano le ore più calde. Ha un volo maestoso ma pesante e spesso avvistata la preda si libra immobile nella posizione definita « spirito santo ». Da questa posizione piomba sulla vittima designata, la stringe fra gli artigli e dopo averla uccisa con un preciso colpo alla nuca comincia a divorarla sul terreno, oppure, sollevatala in alto e postosi contro vento per restare sospeso nell'aria, consuma in questa posizione il suo pasto. Molto belli sono i voli nuziali dei Bianconi dato che si tratta di uccelli maestosi che rivelano in aria una insospettata agilità ed eleganza. Anche il Biancone come i Nibbi arriva in primavera e comincia subito a costruirsi il nido. E' questa di costruirsi il nido un'altra caratteristica del Biancone. Inoltre, contrariamente agli altri rapaci che nidificano sugli alberi e preferiscono porre il nido presso il tronco principale, il Biancone lo costruisce sulla biforcazione di un ramo secondario dove più folto è il fogliame e più facile è la sua mimetizzazione. Mentre i nidi degli altri rapaci si sviluppano in senso orizzontale, questo invece, in verticale; mentre quelli presentano all'esterno stecchi rudemente intrecciati, questo è rivestito di foglie che fino a quando si mantengono verdi lo rendono invisibile dal basso. Peccato che poi si seccano ed allora la mimetizzazione scompare. Terminata la costruzione del nido la femmina depone generalmente un uovo dal quale non si separa mai anche se si cerca di spaventarla battendo le mani. In questo periodo è alimentata dal maschio. Il piccolo viene nutrito i primi tempi con lucertole e orbettini, poi con prede via via più grandi. Certa propaganda ha descritto il Biancone come grande mangiatore di vipere, affermazione che io contesto sulla base di mie esperienze personali, osservazioni e riflessioni.
EVOLUZIONE DELLA SPECIE NEL CORSO DEGLI ANNI.
La popolazione di Bianconi è sempre stata molto esigua probabilmente perché ogni coppia ha bisogno di molto spazio a disposizione per reperire i rettili di cui è composta il 90% della sua alimentazione. Il fatto stesso che allevi un solo piccolo è molto eloquente. Le aree occupate dal Biancone a me note sono 5 (Felcetello, Poggio Ombricolo, Ripa majale, Monte Janna, Stigliano).

Il numero dei nidi occupati per la nidificazione nei vari anni:

 

1976 1977 1978 1979
3 3 3 2

 

Distanza dei nidi fra loro: minima Km 2,5; massima Km 3. Distribuzione dei nidi per ambiente: boschi a ceduo. Nel 1979 arrivo il 31-3: osservazioni presso i nidi per tutto il periodo della riproduzione: 23-5, 25-5, 12-6, 11-7, 12-7.
Aree di nidificazione conosciute: 5. Nidi su ceduo: 2, alto fusto: 3.
Numero delle covate in media all'anno 3; uova deposte in ogni nido 1, se 2 il secondo non è fecondo; giovani involati nel 76, 3; nel '77, 3; nel '78, 3; nel '79, 2. Altezza dei nidi 10-15 m. Esposizione dei boschi Sud.
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SPARVIERO. ACCIPITER N. NISUS (L) Sparviero
Questo rapace mal si presta ad essere osservato con il binocolo o in incontri fortuiti perché il suo regno è il bosco ed il suo volo velocissimo e sempre nascosto dai rami degli alberi. Molto accentuato, tra maschio e femmina è il dimorfismo sessuale: la femmina è infatti quasi il doppio di statura del maschio e presenta una colorazione grigia omogenea mentre il maschio ha le parti inferiori rossicce. Nel bosco resta in agguato pronto ad avventarsi sulla prima cosa che gli capita a tiro sia essa un uccello, un insetto o un topo. Molto spesso si apposta vicino all'acqua dove sa che gli animali debbono recarsi a bere. Catturata la preda, la divora sul posto oppure la trasporta su un albero dove, messosi al sicuro, con le spalle contro il tronco principale, dà inizio al pasto. Nidifica sugli alberi in un nido abbandonato da corvidi dove la femmina depone quattro o cinque uova che cova per poco più di un mese. I piccoli appena nati sono già aggressivi e se si sentono in pericolo assumono la posizione di difesa che consiste nel rigirarsi sul dorso presentando al disturbatore gli artigli e il becco in posizione minacciosa. La madre nelle vicinanze del nido è molto aggressiva e cerca di tener lontani gli intrusi lanciando acuti e rapidi richiami e volando velocissima a pochi metri di distanza. L'unico segno certo della sua presenza nel bosco è dato dal suo richiamo alto e ripetuto udibile in primavera e nei pressi del nido. La sua temerarietà nell'attaccare, anche se a distanza, l'uomo, si ritorce a suo danno in quanto permette di individuare il nido se fosse passato inosservato.
EVOLUZIONE DELLA SPECIE NEL CORSO DEGLI ANNI.
Subentrato alle Poiane, insediandosi nelle zone un tempo abitate da queste, ne è stato scacciato dall'uomo che ha disboscato, lottizzato e costruito strade. Oggi la sua area di nidificazione si è molto ristretta e ciò non consente alla specie di espandersi. L'arrivo in primavera si desume dal richiamo che emette standosene nascosto nel bosco, Nel 1979 l'ho udito la prima volta il 24-4. Abbastanza frequente in autunno al seguito degli uccelli di passo: visto il 3-10 e il 10-10. Conosco 10 aree occupate.

Il numero dei nidi occupati nei vari anni:

 

1976 1977 1978 1979
5 4 3 3

 

La distanza fra i nidi è: minima Km 0,5 massima Km 7. Distribuzione dei nidi per ambiente: alto fusto, castagneti. Nidi su ceduo: 7; su alto fusto: 3; su castagno: 3. Numero delle covate in media all'anno: 3-4; uova deposte in ogni nido, in media 4; giovani involati nel '76, 15; nel '77, 13; nel '78, 11; nel '79, 10. Altezza dei nidi 8-9 m. su ceduo; su alto fusto 10-15 m. Esposizione dei boschi Est-Sud-Est; 1 castagneto è a Nord.
FALCO PECCHIAIOLO. PERNIS APIVORUS (L) Falco Pecchiaiolo
Non è un rapace molto comune sui Monti della Tolfa e la sua specie appare ancora più rara per la difficoltà che presenta la sua identificazione in quanto è facilmente confondibile con la Poiana. La colorazione del piumaggio e le sue dimensioni sono infatti simili a quest'altro rapace da cui il Pecchiaiolo si diversifica per la coda più lunga e barrata trasversalmente e la testa più piccola. Frequenta terreni cespugliati e aperti e si lascia osservare a lungo posato su pali della luce. Per catturare la preda corre e saltella sul terreno inseguendo piccoli rettili e coleotteri. Il cibo principale è costituito da api che cattura sia al volo che negli alveari selvatici. Per la riproduzione occupa nidi in prevalenza di cornacchie che riveste all'interno e all'esterno di foglie strappate all'albero stesso dove è costruito. La femmina depone due uova che cova per circa un mese. Per molti giorni dopo la nascita dei piccoli la madre rimane ancora nel nido dove viene nutrita dal maschio; nel nido restano dei pezzi di cera. Il Pecchiaiolo non fugge se non è minacciato da vicino; quando lo fa, si allontana lentamente senza un grido. Durante le ore calde del giorno, invece di starsene in una posizione dominante preferisce posarsi su un sasso o addirittura sul terreno. Pur restando sempre nella stessa zona, ogni anno cambia nido.
EVOLUZIONE DELLA SPECIE NEL CORSO DEGLI ANNI.
La sua presenza sui Monti della Tolfa è scarsa e ciò è dovuto al fatto che sono poche le zone adatte dove si possa riprodurre, e possa trovare gli insetti che servono al suo sostentamento. In una località particolarmente favorevole si riproducono regolarmente due coppie con nidi molto vicini fra loro. Il numero di individui si mantiene stazionario. Aree occupate: n. 3.
Numero dei nidi occupati nei vari anni:

 

1976 1977 1978 1979
2 2 2 2


Distanza fra i nidi: minima Km 6; massima Km 8. Distribuzione dei nidi per ambiente: su querce, in boschi di alto fusto. Nidi su quercia in alto fusto 3.
Numero delle covate in media all'anno 2; uova deposte in ogni singolo nido 2; giovani involati nell'anno 1976, 4; nel '77, 4; nel '78, 4; nel '79, 4. Altezza dei nidi: 1 è posto a 7-8 m gli altri 2 a 13-15 m. Esposizione dei boschi Sud-Est-Ovest.
VULTURIDI. AEGIPIIDAE
Sono uccelli di dimensioni molto grandi, con ali lunghe e coda corta; il loro cibo è costituito in massima parte di carogne, e rifiuti di ogni genere. Volano a lungo ad altissima quota e per questo è difficile seguirli ad occhio nudo. L'unico Vulturide presente sui Monti della Tolfa è il Capovaccaio.
CAPOVACCAIO. NEOPHRON P. PERCNOPTERUS (L) Capovaccaio
E' il più piccolo degli avvoltoi, il suo collo non è nudo completamente come nelle altre specie e questo lo rende inconfondibile. Ne abbiamo notizia sin da epoca antichissima; è infatti raffigurato nei geroglifici egizi e in bassorilievi indiani. In India è venerato come animale sacro perché dalla morte ricava la vita ed è presente nelle vicinanze di molti templi. Qui riceve il cibo dalle mani degli uomini. Nelle regioni meno progredite la presenza del Capovaccaio e degli avvoltoi in genere è indispensabile per eliminare i rifiuti che senza questi spazzini inquinerebbero ben presto l'intero territorio. E' riconoscibile facilmente per il colore dominante bianco, con le estremità delle ali nere. Nei giovani la colorazione è scura. Un tempo molto numeroso e stazionario sui Monti della Tolfa, oggi è presente come migratore e in numero ridottissimo. Arriva a metà febbraio, inizio di marzo, e raggiunge i luoghi consueti che sono terreni aperti, non lavorati, e popolati da bestiame brado che fornisce involontariamente la quasi totalità del nutrimento a questo Vulturide. Il Capovaccaio, infatti, si nutre di animali morti e nel periodo primaverile estivo è molto facile che una bestia muoia di parto, oppure muoia il piccolo appena nato. In mancanza di questi si nutre di placente o sterco addirittura. Nella tarda estate è facile osservarlo presso qualche fontanile dove trova abbondanza di rifiuti per la maggior concentrazione di bestiame e dove si disseta nelle ore più calde. Se un animale muore, le prime ad accorgersi di ciò sono le Volpi che cominciano a farsi strada nella carogna cominciando dalla apertura anale fino a praticare un largo foro nell'addome da dove estraggono i visceri. A giorno fatto, le volpi abbandonano momentaneamente la preda per ritornarvi nel pomeriggio, e il loro posto viene preso dalle Cornacchie. Quando anche le cornacchie se ne sono andate ed è quasi mezzogiorno, arrivano i Nibbi e con essi il Capovaccaio. Contrariamente a molti altri animali il Capovaccaio è più attivo durante le ore calde. Si solleva dalla carogna che sono le tre pomeridiane e dopo essersi dissetato riprende a volare coprendo distanze grandissime. Mentre è intento a mangiare si lascia facilmente avvicinare — fino a una distanza di trenta metri: su una cavalla morta lo ho osservato per cinque giorni di seguito. Il nido è sempre lo stesso, utilizzato per moltissimi anni finché una causa esterna non ne provoca l'abbandono. Gli ultimi due nidi occupati nella nostra zona si trovano (tutti e due) su pareti a strapiombo, mentre non c'è traccia di nidificazione sugli alberi. La coppia sorvola a lungo il nido prescelto compiendo varie evoluzioni specialmente al tramonto. L'accoppiamento avviene su una roccia o sul terreno. Il nido viene rivestito di stecchi e lana raccolta presso gli ovili o in qualche passaggio obbligato del gregge, dove essa rimane attaccata ai fili spinati o ai cespugli più bassi. In un nido da me visitato dopo l'abbandono della cova, ho rinvenuto anche molte pelli di volpe. Come abbia fatto a procurarsele non mi è chiaro. Le ipotesi che possono essere fatte sono tre: 1) ha catturato le volpi lui stesso; 2) le ha trovate già morte, avvelenate, ma in questo caso non sarebbe sopravvissuto; 3) ha aspettato che altri animali ne mangiassero la carne e ha preso per sé la pelle. Tutto invece sarebbe più chiaro se si provasse che le volpi uccise con la stricnina non sono letali per i rapaci che ne mangiano la carne. Il Capovaccaio depone una o due uova che cova per quaranta giorni. I giovani impiegano quasi cinque anni per arrivare a completo sviluppo ed assumere la colorazione bianca degli adulti.Torna su
EVOLUZIONE DELLA SPECIE NEL CORSO DEGLI ANNI.
Occupa ancora quattro zone distinte dei Monti della Tolfa, ma sfortunatamente con individui singoli, che conducono esistenze separate e si precludono così ogni possibilità di riprodursi. L'ultima nidificazione portata a termine risale al 1969-1970. Nel 1971 erano presenti soltanto tre individui adulti. Una coppia si è riprodotta ma la cova non è giunta a termine. Nel 1972 erano presenti ancora i tre individui, senza tracce di nidificazione. Nel 1973 sono stati avvistati due o tre individui, sempre isolati, e così pure nel 1974-1975. Anche quest'anno ho osservato tre individui isolati. La specie è in diminuzione per trasformazione di ambienti.
CONSISTENZA NUMERICA, DISTRIBUZIONE SPAZIALE, PREFERENZE DI HABITAT PER LA NIDIFICAZIONE DEI FALCONIFORMI SUI MONTI DELLA TOLFA.
Numero di nidi rinvenuti nell'arco di tempo 1965-1975.
Territorio Km2' 500.

 

Specie: Nidi: Densità: Distanza dei nidi fra loro: in Km:
GHEPPIO 41 1 x 12 Km² Minima: 0,5 Massima: 5
NIBBIO BRUNO 30 1 x 16,6 Km² Minima: Massima: 1
POIANA 29 1 x 17,2 Km² Minima: 1 Massima: 4,5
NIBBIO REALE 13 1 x 38,5 Km² Minima: 2-4 Massima: 3
SPARVIERO 10 1 x 50 Km² Minima: 7 Massima: 0,5
BIANCONE 5 1 x 100 Km² Minima: 2,5 Massima: 3
PECCHIAIOLO 3 1 x 166 Km² Minima:6 Massima: 8
CAPOVACCAIO 3 1 x 166 Km² Minima: 4 Massima: 16
LANARIO 1 1 x 500 Km² Minima: Massima:
Totali: 135 1 x 3,7 Km²  

 

RAPACI CHE SPESSO OCCUPANO LA STESSA « NICCHIA »
NIBBIO – BIANCONE POIANA – SPARVIERO POIANA – CAPOVACCAIO NIBBIO - PECCHIAIOLO - BIANCONE POIANA - NIBBIO – GHEPPIO LANARIO - GHEPPIO - CAPOVACCAIO GHEPPIO - SPARVIERO - NIBBIO
Queste tavole sono desunte da una carta topografica della zona dove ho individuato e contrassegnato con colori diversi i nidi da me rinvenuti e che non posso rendere pubblica per evidenti fini protezionistici.
Numero di nidi occupati per la riproduzione nell'anno
1976.

 

GHEPPIO 25 1X20 Km²
NIBBIO BRUNO 20 1X25 Km²
POIANA 12 1X41,6 Km²
NIBBIO REALE 8 1X62,5 Km²
SPARVIERO 5 1X100 Km²
BIANCONE 3 1X166 Km²
PECCHIAIOLO 2 1X250 Km²
CAPOVACCAIO   1X Km²
LANARIO 1 1X500 Km²
Totali 76 1x6,5  

 

DISTRIBUZIONE DEI NIDI PER AMBIENTE
GHEPPIO – Nido su rocce, ruderi, casali;
NIBBIO BRUNO – Su alberi grandi, in boschi a ceduo;
POIANA – Anche in boschi tagliati, sulle così dette <<guide>>;
NIBBIO REALE – Boschi di alto fusto;
SPARVIERO – Alto fusto, castagneti;
BIANCONE – Boschi a ceduo;
PECCHIAIOLO – Pareti di roccia o tufo;
LANARIO – Pareti rocciose.
ALCUNE PARTICOLARITÀ SUGLI UCCELLI RAPACI:
La prima riguarda il territorio di nidificazione: se una coppia, per un qualsiasi motivo abbandona una zona favorevole, un'altra è pronta a sostituirla. Certi nidi vanno letteralmente a ruba. Un anno, ad esempio, una Poiana aveva deposto le uova in un nido non molto alto da terra, su un albero facile a scalarsi così che c'era tutto il giorno una processione di bambini che andavano a visitarlo. Ben presto il rapace, costretto ad involarsi in continuazione, lo ha abbandonato. Le uova, diventate fredde, non attraevano più i visitatori che finirono per dimenticarle. Dopo qualche tempo sono passato da quelle parti e, con mio grande stupore mi sono accorto che il nido era nuovamente occupato e conteneva quattro Sparvieri. Un'altra volta, una coppia di Nibbi Bruni aveva nidificato molto in anticipo e dato che il bosco non era ancora vestito di foglie e il nido era visibilissimo, la cova fu disturbata e abbandonata. Dopo pochi giorni il nido era di nuovo occupato, ma questa volta da una coppia di Nibbi Reali che portarono a termine regolarmente la cova. Questi fatti ci inducono a pensare che gli uccelli siano molto più numerosi di quelli che si riproducono e ciò è dovuto al fatto che i luoghi adatti per nidificare sono pochi e ne restano sempre meno, e quindi chi arriva prima li occupa e agli altri non rimane altro da fare che aspettare il loro turno nel caso che una zona favorevole venga lasciata libera. La mia stessa osservazione l'ha fatta Bruno Massa dell'Istituto di Zoologia dell'Università di Palermo. Egli afferma: « ... che se per un motivo viene a mancare una coppia in una determinata zona, non tarda ad insediarsi un'altra coppia nella stessa zona, per cui c'è da ritenere che vi sono individui in cerca di territorio... ». (II fatto che molte specie di uccelli non nidificano più per trasformazione o scomparsa di habitat favorevoli non penso possa imputarsi ai cacciatori!). Lo stesso fatto lo « notarono per la prima volta gli zoologi M. M. Hensly e J. B. Cope, quando decisero di mantenere un boschetto sgombro di uccelli. Non appena una coppia annunciava col canto di aver occupato un territorio di cova, mettevano mano al fucile; ma il giorno dopo il territorio era nuovamente colonizzato. Evidentemente esisteva in ogni momento nei recessi del bosco una riserva di uccelli, numerosi ma condannati al silenzio e all'astinenza sessuale; e, quando nella zona si liberava un posto, un uccello poteva farsi sotto ad occuparlo ». (Droscher « Il cosiddetto animale », Garzanti, pp. 96297). Tutto questo dimostra che il numero delle coppie che si riproducono e permettono così l'accrescimento della popolazione, è direttamente proporzionale ai territori utili disponibili. Anche vietando la caccia in modo assoluto, si otterrebbe un aumento della popolazione adulta, rimanendo invariate le nascite e dopo poco tempo si finirebbe col provocare uno smisurato aumento di popolazione con individui che sfruttano intensamente i territori per procurarsi il cibo senza apportare niente di buono.
Un'altra caratteristica degli uccelli rapaci è quella di occupare sempre lo stesso nido. Ci sono delle eccezioni: vengono riutilizzati i nidi posti sulle rocce o presso il tronco principale dell'albero sul quale sono posti. Quelli che si trovano sui rami esterni vengono cambiati ogni anno. Una causa di ciò può essere individuata nel fatto che i nidi posti presso il tronco sono meno esposti agli agenti atmosferici quali pioggia e vento e quindi si conservano più solidi e in migliore stato. La sensazione che si prova quando si scopre un nido di falco è che esso sia facilmente individuabile: la zona abbonda di punti di riferimento che balzano prepotentemente alla vista. Eppure, quante ricerche, quanti appostamenti prima di arrivare alla cova; dopo viene da domandarsi il perché non è stato visto subito. Il rapace, forse per ritrovare più facilmente il nido, usa dei punti di riferimento, come alberi più alti degli altri, o con una forma particolare, pali della luce ecc. Si può dire che il falco per far ritorno al nido segua delle frecce direzionali solo a lui note: basta che impariamo a riconoscere questi « cartelli indicatori » e i falchi non avranno più segreti per noi. E' questa una mia personalissima teoria, comunque sperimentata con successo, e che non posso esporre più diffusamente in questa sede per motivi protezionistici. Dirò che per arrivare a ciò, ho percorso il cammino a ritroso, trovando prima il nido e poi osservando il falco nei suoi giri per arrivarvi. Abbiamo visto infatti in precedenza che il rapace non punta mai direttamente sul nido, ma compie dei giri viziosi e si posa a lungo su altri alberi, manovra questa che nelle intenzioni del rapace serve a confondere l'osservatore e ogni altro ipotetico nemico. Una leggenda da sfatare e quella che vuole i rapaci temibili aggressori di chiunque si avvicini al nido e ai piccoli: di tutte le specie citate in questo lavoro, soltanto il Gheppio, il Lanario e lo Sparviero reagiscono con gridi e false picchiate che si concludono a distanza di quattro o cinque metri dal disturbatore, mentre tutti gli altri rapaci fuggono e si limitano ad osservare dall'alto. Non si è mai verificato che un falco abbia attaccato una persona. Un'altra leggenda da sfatare è quella relativa al Biancone mangiatore di vipere: ciò è completamente falso e per molti motivi:Torna su
1) Se le quattro o cinque coppie di Bianconi presenti sui Monti della Tolfa si cibassero esclusivamente di vipere, tutte quelle esistenti sull'intero territorio non basterebbero a sfamarne una sola; quindi mangiano altro.
2) Non essendo il Biancone immune al veleno perché dovrebbe rischiare quotidianamente la vita? Da esperimenti fatti, risulta che sono proprio i genitori ad insegnare ai piccoli a distinguere le vipere dalle serpi, onde non incorrere in qualche spiacevole incidente. Dopo lunghi studi e osservazioni condotti presso i nidi, si è giunti a stabilire che le serpi rappresentano il novantacinque per cento delle vittime; le lucertole il quattro per cento e i mammiferi il resto. C'è stato qualcuno che evidentemente ha sostituito il termine serpi con vipere per scopi che niente hanno a che fare con una disinteressata ricerca naturalistica. Il prof. Bullini, titolare di ecologia ed etologia all'Università di Roma, ha dichiarato che le vipere non sono affatto in aumento, ma addirittura in lieve diminuzione e che il Biancone non mangia vipere.
3) E' noto che il Biancone come tutti i rapaci d'alto volo caccia a vista e per questo preferisce gli spazi aperti dove è più facile avvistare la preda e catturarla. Ebbene, in venti anni di vita in campagna, allo scoperto in un prato, ne ho trovate soltanto due e nel particolare periodo della riproduzione. Le vipere fino a prova contraria, se ne stanno nascoste in luoghi freschi e ombrosi, dentro cespugli, sotto le pietre, sotto le cataste di legna e sono perfettamente mimetiche e non credo che il Biancone oltre ad avere una vista acutissima possieda pure delle antenne radar rivelatrici di vipere.
I RAPACI IN CATTIVITÀ
Ormai molte leggi regionali proteggono i rapaci e la parola nocivo è stata tolta dall'uso comune: non è più consentito ucciderli o detenerli vivi in voliera. Nonostante ciò può capitare di dovere prendersi cura di un giovane falco o di un adulto ferito e per questo ritengo utile fornire un ritratto della sua vita in cattività e alcuni consigli per ben tenerli. L'allevamento non presenta molte difficoltà dal momento che i rapaci sin dalla nascita sono in grado, se posti vicino al cibo, di alimentarsi da sé. E' necessario però che la carne sia tagliata a pezzettini in modo che ne possano fare un sol boccone. La quantità deve essere però regolata dall'uomo, perché i falchetti sono molto voraci e potrebbero fare indigestione e addirittura morire se irrazionalmente alimentati. In questo periodo mangiano di tutto e per rendere più facile l'ingerimento del cibo è meglio che questo sia bagnato. Quando sono piccoli è bene che i pasti siano due, uno al mattino e l'altro la sera, poi si può arrivare ad uno solo al mattino ed infine è consigliabile somministrare il pasto ogni due giorni. In mancanza di prede vive, come uccelletti e piccoli mammiferi, si può somministrare cuore di bue e colli di pollo con tutte le penne, le quali servono ai rapaci per tenere pulito l'intestino. Ai Nibbi possono essere date anche carogne o animali deceduti per malattia mentre ai rapaci più delicati come Gheppi e Sparvieri questi provocano malattie e morte. Ho avuto dei Gheppi in passato che dopo aver mangiato un coniglio morto hanno presto manifestato strani sintomi come vomito, inappetenza, perdita delle penne del capo e dopo breve agonia sono tutti morti. Un Nibbio Reale e un Nibbio Bruno che stavano nella stessa voliera ed avevano mangiato la stessa carne erano più vivi del solito. Probabilmente i rapaci che si nutrono di carogne sono immuni da queste malattie. Sempre a proposito del cibo, la preferenza dei rapaci che vivono in voliera va senz'altro agli uccelli, poi ai piccoli mammiferi, al cuore di bue ed infine ai rettili. Se il pasto è rappresentato da un serpente aspettano molto prima di cominciare, poi, svogliatamente, cominciano a beccuzzare la testa, l'addome da dove estraggono le interiora, infine strappano qualche pezzetto di carne e lasciano tutto il resto. Se il rapace in voliera è uno solo incomincia a mangiare sul terreno, poi senza fretta afferra la carne con ambedue gli artigli e si porta nel luogo abituale del suo pasto. Se i rapaci sono più di uno e i pezzi di carne sono abbastanza per tutti ognuno prende la sua parte e inizia a mangiare. Quindi il primo che finisce talvolta comincia a molestare gli altri riuscendo spesso ad impossessarsi di una parte o di tutta la carne rimasta loro. Per evitare di venir derubati, essi, tengono la preda con un solo artiglio in modo che con l'altro libero possono difendersi o fuggire sia sui rami che sul terreno. Qui usano anche difendersi mettendosi sopra la preda con le ali e la coda aperte nascondendola alla vista dell'avversario e facendo scudo col proprio corpo. Se il cibo è cuore di bue il falco postosi sul suo abituale posatoio, lo afferra con tutti e due gli artigli gravandoci sopra con tutto il suo peso e strappando dei bocconi a colpi di becco. Se deve mangiare un uccello, prima lo spenna parzialmente, poi affonda il becco nelle parti molli dell'addome estraendo i visceri che mangia per primi. La stessa cosa fa con i mammiferi. Se il cibo viene somministrato saltuariamente, cioè non tutti i giorni, il rapace ne mangia una parte e il resto lo nasconde anche se poi molto spesso non ricorda più di avere fatto ciò o dimentica dove è il nascondiglio. E' indispensabile somministrare ai nidiacei insieme alla carne del calcio puro per prevenire il rachitismo molto frequente in animali allevati in cattività. Nella voliera basta che ci sia un comodo posatoio e una vaschetta con l'acqua per permettere ai falchi di fare il bagno. Essi infatti bevono raramente ma amano fare il bagno tutti i giorni nella buona stagione. In cattività l'ora preferita per le abluzioni è mezzogiorno, quando cioè la temperatura è più calda. I falchi non riconoscono la persona che si prende cura di loro se non per il fatto che porta loro del cibo: più grande è la fame e più sono mansueti e trattabili: è infatti su questo che si basa l'addestramento del falconiere. Se il falco ha mangiato il giorno prima, all'ingresso del falconiere in voliera, rimane impassibile e immobile, limitandosi a seguire con lo sguardo le mosse di questo; se ci si avvicina il falco fugge. Se è digiuno da due giorni, all'arrivo del cibo comincia a dare segni di impazienza, cammina avanti e indietro sul posatoio, emette ripetuti richiami e appena gli viene offerta la carne si precipita a ghermirla e cerca di portarsela via; non riuscendovi, prova più volte ma non accetta di mangiare stando sul pugno. Inutile dire che questo comportamento varia inoltre da specie a specie. I rapaci di minor mole sono i primi ad apprendere quello che si cerca di insegnar loro; dei falchi che ho avuto, se dovessi fare una graduatoria metterei al primo posto lo Sparviero, seguito dal Gheppio. quindi i Nibbi delle due specie e ultima in assoluto metterei la Poiana che definisco con il Savi, Falco Cappone, più cappone che falco. Il Gheppio e lo Sparviero se molestati si pongono sul dorso e, protendendo becco e artigli diventano inattaccabili; i Nibbi sempre volgendo il petto al pericolo, si difendono accanitamente con colpi d'ala e di becco; la Poiana, al solo cenno di voler alzare una mano, si appiattisce, fugge e va a rincantucciarsi in un angolo dove si lascia prendere e sollevare senza che manifesti reazione alcuna. In compenso però in qualcosa eccelle: nel mangiare, essendo un uccello veramente insaziabile. Finché i rapaci non sanno badare a se stessi ma sentono di dipendere in tutto dall'allevatore, sono molto docili e se liberati fanno prima o poi ritorno alla voliera, ma non appena il piumaggio è ben sviluppato, immemori di tutto, fuggono e non fanno più ritorno. In questa loro fuga molti trovano la morte, specialmente i grossi rapaci come Nibbi e Poiane; qualche possibilità di sopravvivere ce l'ha il Gheppio in quanto trova facile preda fra i passeri dovunque presenti. I falchi si adattano facilmente alla vita in cattività perché essi, come molti altri predatori sono pigri ed accettano volentieri il cibo che viene loro porto e che non fanno fatica a procurarsi. La molla che li spinge a muoversi è la fame. Se il falco non ha fame niente può indurlo a cacciare. Tutto sommato in gabbia non si trovano male, non si sentono alienati come scimmie, pappagalli, volpi ecc. Cosa succede se all'improvviso decidiamo di liberarli? Ho fatto personalmente questi esperimenti che ora illustro dettagliatamente. I primi giorni di aprile del 1969 ho liberato un Gheppio che detenevo da alcuni anni, il quale mi aveva impressionato favorevolmente perché nella voliera posta in campagna riusciva a catturare insetti e lucertole. Le afferrava con gli artigli, le portava sul suo posatoio da dove le lasciava cadere divertendosi a riprenderle. Questo gioco, che a me sembrava un vero e proprio allenamento alla caccia, durava qualche minuto e si concludeva con la fuga del rettile che il falco non uccideva e tanto meno mangiava. Alle lucertole preferiva il cuore di bue e gli uccelletti che gli procuravo. Dopo averlo addestrato a catturare la preda e averlo abituato pian piano alla libertà gli ho dato il via. Appena libero il Gheppio è andato a posarsi sul tetto di un casale poco distante e lì è rimasto per tutto il giorno a fare da zimbello ai passeri che ogni tanto lo assalivano con grande clamore. A sera, gli ho gettato della carne sul tetto. Il giorno seguente l'ho trovato che beccava la rete della mia voliera nella quale era rimasto un Nibbio Bruno. La sua era una fuga alla rovescia: una fuga dalla libertà. Torna su L'ho ripreso, rimesso in gabbia e ho liberato al suo posto il Nibbio, anche questo preparato ad essere indipendente. Dopo un breve volo si è posato su un albero rimanendovi a lungo; poi, di albero in albero si è allontanato. Il giorno dopo essendomi stata segnalata la sua presenza su una pianta che costeggia la strada provinciale, sono andato e ho cercato di spingerlo in un posto molto meno frequentato. Dopo una settimana era ancora nella zona e precisamente sul tetto di un casale identico per forma e colore dell'intonaco a quello presso il quale era stato liberato. Dopo un periodo di libertà, non resistendo oltre alla fame, si è avvicinato quindi al luogo che egli credeva di riconoscere e dove sapeva di trovare ospitalità. L'ho ripreso porgendogli un pezzo di carne issato sulla punta di un bastone. Passato un po' di tempo ho deciso di ritentare: l'ho messo di nuovo in libertà. Questa volta il volo era più sicuro ed il rapace è scomparso alla vista. Per alcuni giorni non ne ho avuto notizie, poi è corsa voce in paese che alcuni gitanti avevano avvistato un aquilotto che non sapeva volare. Si è scatenata la caccia all'aquila ed un « signore » non ha trovato di meglio che offrire al rapace ormai stremato una bella scarica di legnate. In seguito a ciò l'animale ha perso un'ala: sono stato costretto ad amputarla perché l'ho ritrovato con l'arto quasi completamente staccato in una officina di carrozziere. In seguito ho tolto alla voliera il tetto ma il Gheppio che era il solo che potesse volare non ne ha approfittato per circa un mese, poi un giorno non l'ho trovato più. Spero proprio che sia riuscito a sopravvivere. Prima di questi fatti, ero convinto che i rapaci tenuti in gabbia e poi liberati riuscissero a reinserirsi facilmente nel loro ambiente naturale e forte di questa convinzione allevavo nidiacei che poi mettevo in libertà alla fine dell'estate. Alla luce di queste esperienze mi sono ripromesso di non allevarne più.
CONCLUSIONI
Dall'osservazione e dal confronto dei dati suddetti si possono trarre delle conclusioni generali, in particolare è rilevabile la tendenza ad una leggera flessione nella presenza di quasi tutte le specie nidificanti sul territorio preso in esame. Una delle cause, come dovunque, è l'inquinamento in particolare sulla costa mentre nelle zone interne questo è piuttosto basso. La stessa cosa può dirsi dell'uso di anticrittogamici e diserbanti molto comune in pianura (S. Severa, S. Marinella, basso corso del fiume Mignone) ma non in collina dato che gran parte del territorio non è coltivato ma utilizzato per l'allevamento brado del bestiame. Una delle cause della scomparsa di alcune coppie nidificanti va individuata nel taglio dei boschi: è chiaro che il rapace il quale torna dai quartieri invernali per riprendere possesso del suo territorio, non trovando più né il bosco, né l'albero, né il vecchio nido, è incoraggiato a proseguire. II taglio dei boschi oltre all'effetto primario di togliere al falco la possibilità di nidificare, non permette il formarsi di boschi di alto fusto che costituiscono l'habitat ideale dei rapaci. Per meglio consentire il trasporto della legna vengono anche tracciate strade che permettono di penetrare in luoghi prima raggiungibili solo con ore di faticoso cammino. Accanto a queste vie di penetrazione, che hanno una qualche giustificazione, ne sono sorte moltissime altre non sempre motivate e necessarie. Le strade si sa attirano le macchine e con queste arrivano i turisti della domenica che sono un altro importante fattore di disturbo. Pochi sono gli amanti della natura e rispettosi dell'ambiente, molti formano quella massa di chiassosi predatori, di razziatori di castagne, frutta, legna e maialetti. Accanto a questo tipo di turismo che definiremo transitorio, e che interessa alcuni periodi dell'anno, ce n'è un altro più pericoloso e deleterio: il turismo di « elite » rappresentato dai proprietari di villette immerse nel verde e dai loro chiassosi amici. Anche la falconeria e il collezionismo sono la causa della razzia e del commercio dei rapaci vivi o naturalizzati con grave danno per tutte le specie e in particolar modo per quelle più rare. La caccia, che comunque è chiusa durante tutto il periodo della riproduzione, è un altro fattore di disturbo per i falconiformi in migrazione.Torna su

RIASSUNTO
L'Autore espone i risultati di ricerche personali compiute, dal 1965 al 1980, nel comprensorio dei Monti della Tolfa (Alto Lazio), sui Falconiformi (Falconidae Accipitridae, Aegipiidae). Vengono forniti dati particolari per le varie specie osservate, riferite con dettagli ad iniziare dal 1976: per le specie nidificanti sono riportate le aree di nidificazione occupate nei diversi anni, il numero dei nidi, la distanza dei nidi fra loro, la distribuzione per ambiente. Note ecologiche e etologiche da osservazioni da campo completano il lavoro.


SUMMARY
The author, using the results of his persona! research, aims at outlining a short survey of the birds of prey (Falconidae, Accipitridae, Aegipiidae) he has been studying for fifteen years (1965-1980) on the « Monti della Tolfa ». He mentions every nesting species giving information concerning particularly the areas chosen by each bird to build nests during the aforesaid period, the generally decreasing number of the nests he could find in each area every year, the distance of each nest from the others, their habitat and arrangement. The article includes also personal remarks about the behaviour of the above named birds and ecological notes as the author tries to point out the reasons why a species is now rare and absent while another one is still present and numerous in the observed area.

P. Franchi: Via dei Castagni, 8 00059 Tolfa

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