|   Nel 1826 vengono 
                annotati dagli amministratori dell'Ospedale i giorni di degenza per 
                ogni malato e riportate alla 
                  fine dell'anno il numero complessivo delle giornate di ricovero che 
                  per quell'anno sono 1324.Dopo un controllo positivo effettuato nel 1810 sulla contabilità 
                  dell'Ospedale da parte dei Sindaci, che infatti riscontrano nel bilancio 
                  consuntivo un attivo di 85 scudi e 58 baiocchi, gli anni a venire l'amministrazione 
                  lasciò probabilmente a desiderare ed anche la gestione stessa 
                  dell'Ospedale tanto è vero che il Vescovo di Sutri in una sua 
                  Visita Pastorale effettuata a Tolfa nel 1827 si vide costretto a dettare 
                  nuove norme per la gestione dello stesso.
 Nell'esortare gli amministratori a rendere i conti consuntivi anno per 
                  anno, impone che venga tutto registrato e vengano redatte copie di " 
                  locuzioni, ordini, biglietti, lettere, inventari, catasti, piante, terreni, 
                  memorie, strumenti, di legati pii, di censi ipotecari, appartenenti 
                  a questo Ospedale ed il Canonico Bartolomeo Pucilli, cancelliere foraneo 
                  nominato in qualità di computista, non solo per il buon regolamento 
                  di questo Ospedale, ma ancora dell'altri luoghi pii e confraternite, 
                  con l'assegnamento di scudi annui cinque da ripartirsi come in appresso:
 
 OSPEDALE scudi 2
 CONFR. SUFFRAGIO 1
 CONFR. S. GIOVANNI DECOLLATO 1
 CONFR. S. SALVATORE baiocchi 20
 UNIVERSITA' DEI VACCARI 50
 SCUOLA PIA 10
 SCUDI 5
 
 Inoltre il Vescovo, dopo aver nominato il computista, per una migliore 
                  vigilanza sui vari organi ecclesiali raccomanda di vigilare seriamente 
                  sul buon funzionamento dell'Ospedale affinché " quest'opera 
                  così pia e santa sia bene amministrata, che si usi carità 
                  ai poveri infermi, che siano ben trattati nelle loro malattie, insegnandoci 
                  quanto la carità cristiana e la legge evangelica...." .
 Nelle pagine successive vengono adottate norme riguardanti la gestione 
                  dell'Ospedale in merito all'approvvigionamento del pane " che sia 
                  regolato come al presente, servendosi del grano dei terratici dello 
                  stesso Ospedale, con darlo al fornaro al prezzo stabilito e provvederlo 
                  a tempo debito, quando si riconosce mancante, e lo stesso 
                  dicasi per i medicinali in quanto è riconosciuto vantaggioso 
                  e molto economico in molti ospedali della Diocesi, che almeno si provvedessero 
                  dei medicinali semplici, e questi con l'intelligenza del medico si distribuissero 
                  ai poveri infermi, secondo i gradi d e l l a malattia " ( 49) 
                  .
 Sicuramente negli anni precedenti l'Ospedale aveva avuto una gestione 
                  abbastanza allegra sia dal punto di vista amministrativo, che anche 
                  morale, se il Vescovo é costretto a ribadire nelle sue premure 
                  della Visita Pastorale, che " è proibito all'Ospedaliere 
                  e Ospedaliero di dare ricetto nel locale dell'Ospedale medesimo, e casa 
                  di sua propria abitazione a persone di cattiva fama tanto uomini che 
                  donne, tanto di giorno che di notte ricordandosi non essere questo un 
                  asilo di gente infami, ma bensì di poveri infermi....", 
                  e se il personale si riconoscerà colpevole delle mancanze di 
                  cui sopra " sia immediatamente espulso senza veruna riserva ".
 Continua lo scritto di Mons. Vescovo che " venga immediatamente 
                  formato l'inventario di tutto ciò, che si ritiene e si consegna 
                  all'Ospedaliere, tanto di sanitaria che di altro tutto venga segnato 
                  in un libro a tale effetto destinato, sotto il controllo del Computista 
                  e del Priore...»
 Evidentemente la gestione degli anni precedenti alla visita del Vescovo 
                  era risultata piuttosto carente e superficiale.
 Nella parte finale della relazione il Vescovo tratta del lascito di 
                  Buttaoni che avrà negli anni a venire una grande importanza per 
                  il futuro economico dell'Ospedale (50 ).
 Mentre sia il Vescovo della Diocesi che la Congregazione si sforzavano 
                  di dare una gestione lineare e corretta all'amministrazione dell'Ospedale 
                  nel 1845, a seguito della morte dello speziale, viene assegnato il servizio 
                  della farmacia al signor Antonio Bertini che promette agli amministratori 
                  " di detrarre un terzo del prezzo dei medicinali rispetto a quanto 
                  in precedenza era stato fatto "
 L'assegnazione della gestione della farmacia a codesto signor Bertini 
                  creò una lunga serie di difficoltà sia alla Congregazione 
                  che all'Ospedale stesso, nel 1846 il Bertini aveva acquisito i diritti 
                  della seconda farmacia esistente in Tolfa, fino ad allora appartenuta 
                  ai fratelli Bonizi, e l'aveva chiusa, pertanto si trovava a gestire 
                  la propria in ragione di monopolio.
 Questo fatto aveva creato gravissimi problemi alla comunità e 
                  soprattutto all'Ospedale che, in una congregazione del 17 gennaio 1847 
                  si rileva l'abuso del farmacista Bertini che "profitta del luogo 
                  Pio (Ospedale) per sottometterla a durissima condizione ", prosegue 
                  poi la nota " infatti spaventa la spesa dei medicinali e di soldi 
                  bastano a provvedere per poco altro tempo " .
 La Congregazione a questo punto chiede un intervento molto duro al Vescovo 
                  cioè " di dare una giusta lezione al signor Bertini perché 
                  l'Ospedale si provvegga di una spezieria da servire per gli ammalati 
                  e per i poveri del paese " prosegue poi la richiesta con queste 
                  considerazioni di carattere economico, " si spenderà il 
                  quarto di quello che presenta oggi il Bertini e con poco più 
                  della metà della spesa, l'Ospedale avrà la sua spezieria, 
                  pagato un farmacista e un giovane che lo assista " .
 Evidentemente la supplica della Congregazione trovò una giusta 
                  risposta da parte del Vescovo che autorizzò l'apertura della 
                  spezieria dell'Ospedale, tanto è vero che nel marzo del 1848 
                  il Bertini reclama avverso la Congregazione affinché l'Ospedale 
                  non somministri i medicinali ai poveri del paese, ma soltanto agli infermi.
 A tale rimostranza rispondono gli amministratori che il Bertini non 
                  deve sollevare reclami in quanto non ha I'iscrizione della matricola 
                  per fare il farmacista e che l'Ospedale ha rilevato la spezieria per 
                  far fronte alle necessità dei poveri infermi 
                  del paese ai quali somministra vitto e tutto ciò che occorre 
                  per le malattie, previo documento del parroco che più di ogni 
                  altro conosce le miserie del paese (51 ).
 A questo punto si interrompono le riunioni della Congregazione, evidentemente 
                  anche a Tolfa si sente il riflesso degli avvenimenti nazionali e soprattutto 
                  di quelli dello Stato Pontificio che daranno vita alla Repubblica Romana.
 Le congregazioni susseguenti riprendono dal febbraio 1850 quando ormai 
                  tutti gli avvenimenti straordinari accaduti si sono normalizzati.
 Negli anni susseguenti sia la vita della comunità che quella 
                  dell'Ospedale non subisce forti variazioni, infatti troviamo che resta 
                  quasi sempre invariata con piccole differenze sia di numero dei ricoveri 
                  che quello dei morti, infatti varia tra le 120 e le 150 unità, 
                  i morti non raggiungono mai la decina; la stragrande maggioranza dei 
                  forestieri ricoverati come già abbiamo visto in precedenza, è 
                  marchigiana e umbra, segno della presenza dell'attività agricola 
                  e dell'allevamento rispetto a quella mineraria dei secoli XVII e XVIII.
 Riprende invece con veemenza la diatriba, che già abbiamo visto 
                  iniziata nel 1847, tra il farmacista Bertini e la farmacia dell'Ospedale, 
                  soprattutto dopo l'arrivo a Tolfa delle suore di San Giuseppe ed in 
                  particolar modo di suor Carolina Lassalle che svolge le funzioni di 
                  farmacista dell'Ospedale.
 Infatti nel 1858 il Bertini scrive al Vescovo un reclamo con il quale 
                  si chiede di porre fine da parte della farmacia dell'Ospedale al rilascio 
                  dì medicinali per le persone non ricoverate, in quanto ciò 
                  crea a lui un grave danno economico, ed inoltre fa presente che la suora 
                  non ha ancora la matricola.
 Interviene in questa faccenda in difesa sia delle suore ma soprattutto 
                  in difesa dei poveri del paese il medico condotto dottor Valeriani che 
                  nella lettera che invia al Vescovo di Civitavecchia sostiene che " 
                  la farmacia dell'Ospedale soccorrendo i poveri non danneggia gli interessi 
                  del signor Bertini perché se gli stessi trovassero credito, non 
                  avrebbero di che soddisfarlo, trattandosi di famiglie che giacciono 
                  nella più profonda miseria ". II dottor Valerianí rileva inoltre che " qualora fossero accettati 
                  i reclami del Bertini, egli non ne trarrebbe nessun vantaggio in quanto 
                  costoro abbandoneranno alla Provvidenza la loro vita e che inoltre le 
                  ricette gratuitamente elargite non superano il numero di tre o quattro 
                  al giorno " (52 ).
 Comunque i reclami del Bertini ottengono qualche risultato tanto che 
                  la suora che gestisce l'Ospedale è costretta a sostenere un esame 
                  per poter prendere la matricola in modo da poter svolgere il suo lavoro 
                  senza più noie.
 Il Bertini evidentemente non soddisfatto delle risposte, avute alle 
                  sue lamentele, da parte del Vescovo di Civitavecchia scrive alla Congregazione 
                  Speciale di Sanità dello Stato Pontificio nella condizione di 
                  ottenere giustizia sia nei confronti della farmacia dell'Ospedale che 
                  continua a dispensare i medicinali sia agli ammalati che ai cittadini 
                  poveri, che nei confronti del parroco di Tolfa che rilascia con grande 
                  facilità certificati di indigenza.
 Il farmacista allega alla sua lettera un elenco di persone con vicino 
                  i beni di loro proprietà, che avevano ottenuto da parte del parroco 
                  la dichiarazione di indigenza convinto così di ottenere soddisfazione.
 A questo punto c' è un intervento estremamente pesante e molto 
                  determinato da parte dell'Arciprete Bartolomeo Pucilli che ritiene che 
                  non si sia " assolutamente abusato a pregiudizio del pubblico farmacista, 
                  ma si é avuto riguardo di soccorrere a tanti capi di famiglia 
                  che soccombevano in tante calamità fisiche e morali " continua 
                  il sacerdote nella sua lettera " che io non mi sarei potuto esentare 
                  in niun caso senza incorrere la pubblica indignazione ad essere sottoposto 
                  a qualche insulto profondo " si allega poi un elenco ben determinato 
                  di famiglie indigenti che sono in numero abbastanza elevato .
 Il Bertini non ottiene soddisfazione alcuna anzi, qualche tempo più 
                  tardi, scrivendo ad un amico fa presente che il Vescovo ha ordinato 
                  che vengano dati i medicinali dell'Ospedale ai poveri del paese e questi 
                  " sono i quattro quinti della popolazione e quindi 
                  togliendone i quattro quinti della popolazione mi conviene domandare 
                  l'altrui soccorso, per alimentare me e la mia povera famiglia " 
                  ( 53 ).
 Comunque la farmacia dell'Opedale anche negli anni a venire continuerà 
                  a dare praticamente i medicinali agli ammalati e ai poveri, con buona 
                  pace del farmacista Bertini.
 Tra il 1862 e il 1867 l'amministrazione dell'Ospedale è molto 
                  carente tento è vero che nella congregazione del 1867 si fa presente 
                  che la situazione del paese è drammatica infatti mancano i letti 
                  nell'Ospedale ed altre cose necessarie, inoltre da tempo non c'è 
                  più una stanza riservata alle donne " da tale situazione 
                  derivano tanti sconcerti ed inconvenienti che fanno ribrezzo , per cui 
                  bisogna prendere opportuni provvedimenti " (54) 
                  non siamo riusciti però a conoscere quali provvedimenti in realtà 
                  siano stati presi in quanto non vengono più registrate le decisioni 
                  della Congregazione, infatti nei registri vengono riportate esclusivamente 
                  le elezioni degli amministratori e dal marzo del 1870 si passa al 1873 
                  e di lì in poi non sappiamo più quanto venne deciso per 
                  la gestione dell'Ospedale.
 E evidente qui che la fine dello Stato Pontificio ha determinato grandi 
                  cambiamenti anche a Tolfa, pertanto di detti cambiamenti ne subirono 
                  le conseguenze anche quegli Enti e quegli organismi che nel passato 
                  avevano reso un così alto servizio per la popolazione.
 E risaputo che la storia si ripete, e così come la Venerabile 
                  Confraternita, nata solo per l'esaltazione del Nome di Dio, fini per 
                  patrocinare un ben organizzato Ospedale, anche le suore, nella loro 
                  più che centenaria permanenza a Tolfa, ampliarono le loro opere 
                  e da semplici ospedaliere, divennero maestre di vita spirituale.
 L'Ospedale nel secondo decennio di questo secolo fu trasportato in un 
                  nuovo imponente edificio in posizione panoramica e la vecchia sede fu 
                  trasformata in casa d'abitazione. Ma il nuovo ospedale non fu mai attivo, 
                  perché con il miglioramento dei trasporti la comunità 
                  tolfetana finì per fare capo al più grande e meglio attrezzato 
                  Ospedale di Civitavecchia.
 
 Cap. 5 - PATRONATO DELLA CONFRATERNITA SUL SANTUARIO DELLA ROCCA
 
 a) Cenni storici del Santuario mariano
 La 
              Confraternita fin dalla sua fondazione si prese cura di un antica chiesetta 
              dedicata alla Madonna.Prima di evidenziare il rapporto tra la Confraternita del Nome di Dio 
              e il piccolo Santuario tolfetano abbiamo voluto premettere una sintesi 
              dettagliata della storia del tempio mariano. Questo per un duplice motivo, 
              innanzitutto perché oggi è l'unica vera eredità che 
              ci è stata lasciata dalla Confraternita e perché 
              si tratta di una Chiesa celebre e meta di pellegrinaggi, le cui vicende 
              storiche sono state poco approfondite rispetto ad altri Santuari del territorio 
              (55 ).
 La Margarita Cornetana registra un atto del 13 marzo 1201 in cui compaiono 
              due chiese tolfetane: S. Egidio e S. Maria.
 Dice il Morra: " Con la chiesa di S. Egidio, adeguata all'esigua 
              comunità e pertanto assai più piccola di quella che vediamo 
              adesso, ne appare anche un'altra citata sotto il titolo di S. Maria; viene 
              spontaneo pensare che si tratti del piccolo santuario dedicato all'Addolorata 
              ( S. Maria della Pietà ), tuttora esistente sull'alto del Monte" 
              (56 ).
 E' possibile dunque identificare la chiesa in questione con quella della 
              Rocca; del resto lo stesso titolo latino Santa
 Maria de Arce e l'attribuzione popolare hanno sempre collegato la piccola 
              chiesa al castello sullo scoglio che per i tolfetani rappresenta il comune 
              distintivo di appartenenza e la sintesi della loro storia.
 Per amor del vero, bisogna affermare che il documento della Margarita 
              Cornetana, non ubicando chiaramente la chiesa denominata S. Maria, può 
              riferirsi anche ad un' altra chiesa le cui origini per ora non sono state 
              ancora rintracciate.
 Si tratta della chiesa detta " S. Maria della Misericordia”, 
              intimamente collegata ai fatti prodigiosi della invenzione 
              della Madonna della Sughera (Novembre 1501) e ubicata nell'omonimo prato 
              ora Giardino Comunale. La chiesa, ora sconsacrata, nel `500 era una delle 
              chiese principali di Tolfa Vecchia; oggetto di Visita Pastorale, compare 
              in quella più antica del 1560 ( 57) 
              ; fu sede di alcuni importanti sodalizi di Tolfa (la Confraternita di 
              S. Giovanni Decollato o della Misericordia, Compagnia dei Cavallari di 
              Tolfa e delle Lumiere, la Confraternita del Suffragio...).
 Sul finire del cinquecento i Padri Predicatori del convento 
              di S. Maria di Civitavecchia chiesero di potervi stabilire nelle adiacenze 
              un piccolo convento per esercitarvi attività di insegnamento e 
              di culto.
 La proposta domenicana non fu attuata ma, nel seicento, vi si stabilirono 
              alcuni religiosi detti Fratelli della Misericordia, i quali costruirono 
              dei locali sul lato orientale dove tennero scuole, insegnando anche filosofia 
              (58 ).
 Secondo noi, resta però giustificata l'ipotesi del Morra che la 
              chiesa di S. Maria citata dalla Margarita Cornetana sia quella della Rocca, 
              non solo, ma alcuni indizi sembrano convalidare l'ipotesi che si tratti 
              della chiesa del castello.
 a ) Se confrontiamo il più antico documento relativo alla Rocca 
              esistente nell'Archivio Storico del Comune di Tolfa, 
              notiamo che esso parla di un restauro quasi totale da apportare al consiglio 
              della comunità (congregato consilio secreto more solito) stabilisce 
              che si faccia "coperire et bene adaptare dictam ecclesiam sumptibus 
              et pecuniis communitatis " (59 ).
 Nel registro di amministrazione si trovano elencate tutte le spese sostenute 
              dal comune ( per il muratore, canali, porta...) per un rifacimento quasi 
              totale dell'antico edificio che alla chiesa sullo scoglio. 
              II 2 aprile 1567 versava in uno stato pietoso.
 Del resto ciò corrisponde alla descrizione che del castello fa 
              Annibal Caro in un sonetto dei 1532: " La Tolfa é Giovan Boni 
              una bicocca - tra schegge e balze d' un petron ferrigno, - ed ha n cima 
              al cucuzzol d'un macigno - un pezzo di sfasciume d'una rocca "... 
              (60 ).
 A ciò fa eco un documento seicentesco dell'Archivio di Stato: " 
              La Rocca della Tolfa... si gode presentemente alla Camera Apostolica, 
              benché inutile per se stessa per qualsiasi abitazione, et altro 
              essendo quasi del tutto diruta come appare" (61) 
              .
 La chiesa deve aver seguito le vicende del castello, Tolfa Vecchia fu 
              assediata con la sua Rocca nel 1468 per ordine di Paolo II; egli inviò 
              le milizie pontificie al comando del Governatore di Roma onde riportare 
              alla sottomissione con la forza delle armi i feudatari contrari alla proposta 
              del Papa che intendeva acquistare il feudo.
 Era stato ritrovato nel 1462 l'allume sui Monti della Tolfa e il Pontefice 
              perseguiva il fine di avocare alla Chiesa tutto il territorio delle miniere. 
              I feudatari Ludovico e Pietro rifiutarono l'offerta del Papa che decise 
              allora di privarli della Signoria del feudo.
 domandatene pur Cecco Lupini
 Noi ci stiam per aver di quei catolli,
 da farle patacche e de' fiorini,
 poiché tu con gli tuoi non ci satolli.
 Capre, pecore e polli
 Ci cacan per le vie fagiuoli e ceci,
 E noi co' piè ne facciam soldi e beci ".
 ( riportato nel libro di Ottorino Morra, Tolfa..., op.cít.,pag.75
 
 Il conflitto militare si concluse tramite la mediazione del cardinal Lantino 
              Orsini e il Papa divenne proprietario assoluto del territorio delle miniere.
 Dopo aver patito l'assedio, la Rocca di Tolfa verrà ristrutturata 
              nel 1472 e nel 1479 (62 ).
 Sarà però Agostino Chigi a determinarne l'iniziale smantellamento 
              quando nel 1502 fece trasportare i pezzi di artiglieria della Rocca a 
              Porto Ercole.
 L'appaltatore delle miniere di allume si fregiava infatti del titolo di 
              Castellano.
 Si legge infatti nel citato documento dell'Archivio di Stato: " E' 
              questa situata sulla cima d'un alto monticello di sasso vivo fatto dalla 
              natura, fabbricata per difesa della Tolfa che alla falda di esso in 
              parte si dilata, et in quei tempi che non era in .pratica l'uso del cannone; 
              e benché presentemente detta Rocca sia la maggior parte caduta, 
              riserba il titolo di Castellano, quale suol darsi dalla Camera Apostolica 
              all'appaltatore pro tempore delle Lumiere" (63) 
              .
 b) II Catasto delle tenute delle Allumiere da cui abbiamo tratto quanto 
              riguarda il titolo di castellano attribuito all'appaltatore, ci offre 
              un secondo indizio per affermare che la chiesa mariana di cui ci interessiamo 
              è stata anticamente la chiesa del castello.
 Sembra infatti che la denominazione " Chiesa della Rocca " non 
              sia solo di origine popolare, ma per il catasto la chiesa e il castello 
              sono inscindibilmente uniti sia per la posizione geografica, che per la 
              proprietà spettante alla Rev; Camera Apostolica.
 Nel catasto si offre una " descrizione della chiesa et Rocca della 
              R. Camera Apostolica posta dentro la Tolfa " facenti parte delle 
              tenute delle Allumiere, non si descrive solo il castello, ma anche la 
              chiesa segno evidente che veniva inclusa in queste tenute spettanti alla 
              Camera Apostolica e affidate all'appaltatore pro - tempore 
              che aveva il titolo di Castellano.
 Mentre della Rocca si asserisce: " Non si é presa la misura 
              dé muri... né dei vani di detta Rocca, conforme all'altre 
              fabbriche, per non essere fabbrica coperta, né da doversi coprire 
              o mantenere se non fino a quel tempo che sarà permesso dal tempo 
              " ( 64 ); della chiesa si dà 
              una descrizione precisa, una pianta tanto dell'edificio sacro che dell' 
              abitazione eremitica annessa.
 Quanto viene affermato in questa dichiarazione del catasto ci fa intuire 
              che la Camera Apostolica e per essa l'appaltatore avevano pressoché 
              abbandonato il castello di Tolfa, considerandolo inutilizzabile per qualsiasi 
              abitazione o opera; di conseguenza intuiamo anche il 
              motivo dell'intervento di restauro alla vecchia chiesa fatiscente che 
              fu sostenuto non dalla Camera Apostolica, ma dalla Comunità di 
              Tolfa (65) .
 c) Un terzo indizio ci viene offerto dalle memorie di Alessandro Bartoli 
              riportate da O. Morra (66 ).
 Il raccoglitore di memorie storiche tolfetane afferma : " Il paramento 
              esteriore nel muro orientale della chiesa della Rocca formato con pietre 
              bislunghe e parallelepipede (sic) a corsi verticali e l'altro con simili 
              pietre più pulimentate nell' orticello dell'eremita, ivi et arroge 
              l'apparecchio policromo a filari alternati di tufo giallo e nero che si 
              rese visibile nella demolizione della Porta del Castello sono date per 
              argomentarne l'esistenza prima del sec. Xl " ( 67 ).
 Pur essendo difficile dare un giudizio sull'interpretazione delle vestigia 
              strutturali e murarie offerta dal Bartoli, la notizia da lui riportata 
              resta una traccia per asserire l'antichità della chiesa della Madonna 
              della Rocca e congiungerla sempre più alla storia del Castello.
 Avendo presentato le più antiche testimonianze rintracciabili sulla 
              chiesa tolfetana, possiamo trarre alcune conclusioni utili ai fini della 
              nostra ricerca.
 Rifacendoci al citato documento dell'archivio storico del Comune di Tolfa, 
              individuiamo nel 1567 un anno fondamentale per la storia del santuario.
 Del periodo storico precedente a questa data possiamo affermare che con 
              tutta probabilità la chiesa mariana era la stessa chiesa del Castello; 
              possiamo attestare che si trattava realmente di una chiesa dedicata alla 
              Madonna; è difficile però stabilire se la pietà verso 
              Maria, che si esercitava nel tempietto, assumeva Io stesso fenomeno che 
              si registra nei Santuari mariani.
 Ciò nonostante il vivo interessamento del Consiglio della Comunità 
              per il restauro della chiesa ha accolto "una voce" dei membri, 
              rivela come l'edificio sacro stesse a cuore ai tolfetani, che forse nelle 
              vicende belliche che avevano coinvolto la città avevano invocato 
              la Madonna venerata nel piccolo tempio e vi si erano affettivamente legati.
 La data del restauro segna la rinascita della chiesa della Rocca, grazie 
              all'intervento del comune e al patronato acquisito sull'edificio dalla 
              Confraternita del SS. mo Nome di Dio che si costituiva proprio intorno 
              al 1567: un motivo in più per riconoscere in questo anno un punto 
              cronologico fondamentale.
 
 b) Rapporto tra Santuario, eremita e Confraternita
 
 Nei verbali delle congregazioni della Confraternita e in quelli delle visite pastorali più volte si trova l'espressione che la 
              compagnia ab immemorabili o da sempre o fin dalla sua fondazione ha ritenuto 
              il ius patronatus sulla Chiesa della Rocca (68 ).
 Se la fondazione risale al 1567, ciò equivale a dire, che fin dall'anno 
              del restauro totale della chiesa del castello, la Confraternita si è 
              interessata della sua cura.
 Possiamo ipotizzare infatti che la comunità, forse sollecitata 
              dalla stessa Confraternita, da poco costituitasi, abbia pensato di affidare 
              la chiesa mariana a un sodalizio, affinché non ricadesse nello 
              stato di abbandono in cui versava prima del restauro; oppure che la Confraternita 
              del Nome di Dio, dovendo ristrutturare la chiesa di S. Giovanni affidatagli 
              nel 1568, in un primo tempo per celebrare le sue funzioni si sia servita 
              della chiesa della Madonna della Rocca accettandone poi il patronato e 
              la custodia.
 Sta di fatto che tutta la documentazione che abbiamo, pur non informandoci 
              dei motivi per cui la chiesa della Rocca passò alla Confraternita 
              dell'Ospedale, dà per scontati i diritti della Confraternita sul 
              piccolo santuario fin dagli inizi.
 Nei registri di amministrazione si trovano elencate tutte le spese sostenute 
              dalla Compagnia per la manutenzione della chiesa.
 Ad esempio: nel 1632 si accomoda il tetto; nel 1642 si sostituisce la 
              porta della cella e la finestra; il 19 gennaio 1642 si paga Marchidrino 
              picconiero per aggiustare la strada e il territorio intorno alla chiesa 
              per una processione; nel 1667 si fanno restaurare ancora 
              i tetti da mastro Giuseppe muratore; vi sono poi elencate spese per chiodi, 
              canali, limarelle, pianelle, legna...e altre cose necessarie per il culto 
              (69 ).
 Alla Rocca la Confraternita faceva celebrare determinate funzioni e sante 
              Messe da sacerdoti invitati di volta in volta: non ci risulta che vi sia 
              stato un cappellano stabile per la chiesa.
 All'inizio non troviamo nessuna celebrazione solenne in onore della Madonna; 
              viene invece sottolineata la solenne adorazione della S. Croce. Nel 1642 
              viene celebrata nel mese ( 70 ) di aprile; 
              in tale ricorrenza venivano raccolte delle elemosine che sono puntualmente 
              annotate ( vedi ad esempio nel 1632 ) Solo in un secondo momento si parla 
              di celebrazione di messe nelle principali feste di Maria SS. ma per un 
              legato di otto messe lette (sic) stabilito da una certa Caterina Allegri 
              (71 ).
 L'onere di assolvere al legato spettava alla Compagnia nei giorni 2 febbraio 
              ( Purificazione di Maria ) 25 marzo ( Annunciazione ) , 2 luglio ( Visitazione 
              ) , 5 agosto (Dedicazione di S. Maria Maggiore o popolarmente Madonna 
              della Neve) , 15 agosto ( Assunzione ), 8 settembre ( Natività 
              di Maria ), 21 novembre ( Presentazione di Maria al Tempio 
              ), 8 dicembre ( Immacolata ).
 All'obbligo della celebrazione di queste messe, il cui elenco abbiamo 
              ricavato da un promemoria del 1756 (72 ), la compagnia è rimasta sempre fedele, lo attestano concordemente 
              le Visite Pastorali e ciò è riscontrabile nei registri di 
              amministrazione (73 ).
 Altre messe venivano fatte celebrare ex devotione dai .l. 1640; Archivio 
              ECA, Tolfa. fedeli.
 Comunque, le celebrazioni più solenni della Confraternita venivano 
              effettuate nella Chiesa di S. Giovanni.
 Una celebrazione molto sentita era quella della Circoncisione, in occasione 
              della quale i Confratelli facevano una raccolta straordinaria della questua 
              che devolvevano a totale beneficio per la riuscita della festa.
 Nella seconda metà del Seicento assunsero importanza per la Chiesa 
              della Rocca la celebrazione della festa dell'Assunzione, alla quale veniva 
              annessa l'indulgenza plenaria, e la festa di S. Bartolomeo ( 74 ).
 Nella Chiesa della Rocca e successivamente nella Chiesa di S, Giovanni 
              la Compagnia dell'Ospedale ospitava l'Università dei Calzolai sotto 
              l'invocazione dei Santi Crispino e Crispiniano, loro protettori (75) 
              .
 Ai due santi era dedicata una cappellina sul lato sinistro della chiesa, 
              soppressa poi per decreto di Visita Pastorale e trasformata in magazzino 
              di legna ( 76 ).
 Un altro altare collocato in una cappellina sul lato sinistro era dedicato 
              a san Antonio di Padova; anche questa cappellina fu soppressa e trasformata 
              in seguito in sacrestia.
 Così successivamente la Chiesa della Rocca si presentava con un 
              unico altare: quello dedicato alla Madonna.
 La Confraternita, o Corporazione dei Calzolai, privata del suo altare 
              della Rocca, viene ospitata sempre dalla Compagnia del Nome di Dio nella 
              Chiesa di S. Giovanni, e ad essa verrà concesso uno dei sei altari 
              laterali esistenti in detta Chiesa (77 ).
 Davanti all'autorità ecclesiastica la Compagnia rispondeva della 
              cura degli arredi sacri della chiesetta e custodiva gli ex - voto (in 
              argento, oro o altro materiale ) offerti alla Madonna (78) 
              .
 Una particolare sorveglianza esercitava sull'eremita che viveva stabilmente 
              in alcune stanze annesse alla Chiesa della Rocca.
 La nomina di questo laico custode spettava direttamente alla Confraternita.
 L'eremita della Rocca non almeno agli inizi affiliato a un qualche Ordine 
              Mendicante, di certo vestiva un abito eremitico, ma molto generico.
 Solo nell'Ottocento abbiamo per certo che l'eremita Benedetti e forse 
              anche il Catalini, erano iscritti al Terz'Ordine dei 
              Servi di Maria; del Benedetti abbiamo l'attestato del Priore di Cibona, 
              nel Catalini scorgiamo degli usi devozionali propri della tradizione Servita 
              (famiglia religiosa molto diffusa nel territorio ), come ad esempio l'erezione 
              della Via Matris (79).
 Le prime notizie di un eremita alla Rocca le troviamo fin nella prima 
              metà del Seicento; ma è probabile che fin dagli inizi del 
              patronato, la Confraternita abbia collocato un eremita a custodia della 
              chiesetta.
 La Confraternita che si interessava della sussistenza 
              dell'eremita anche in caso di malattia e di anzianità, provvedeva 
              ad esso l'occorrente per la questua del grano e del vino (le botti, la 
              barlozza..), lo forniva di vestiario, tonaca nera, cappellone, calzature, 
              legna (80 ).
 Dava ad esso un sussidio particolare se in caso di tempo cattivo non avesse 
              potuto effettuare la questua; oltre la questua del grano e del vino poteva 
              chiedere elemosine in giorno di domenica (81) 
              .
 La Compagnia vigilava sulla condotta dell'eremita, lo indirizzava a pratiche 
              di devozione e di vita spirituale, sorvegliava in particolare che l'eremita 
              si attenesse alle norme del Concilio Romano e cioè:
 1) che portasse un abito non identico a quello dei religiosi;
 2) che rendesse conto delle elemosine al Vescovo diocesano (e alla Confraternita 
              );
 3) che si recasse alle funzioni delle feste di precetto in parrocchia;
 4) che si confessasse e comunicasse in tutte le feste solenni;
 5) che recitasse alcune orazioni tra cui il Rosario e le litanie;
 6) che non tenesse alcun libro senza prima averlo mostrato al
 Parroco e averne avuta licenza
 7) che non ammettesse nessuno a pernottare presso il 
              romitorio senza licenza del parroco;
 8) soprattutto non ammettesse " sotto qualsivoglia pretesto o licenza 
              alcuna donna di qualsivoglia condizione in qualunque tempo " (82).
 La Confraternita esigeva il rendiconto amministrativo delle questue dell'eremita, 
              dalle quali ritirava una parte che devolveva a beneficio delle opere assistenziali 
              dell'Ospedale (83) .
 Evidentemente la situazione era sfuggita di mano agli amministratori se 
              nella Congregazione del 17 novembre 1837, dopo i soliti preamboli e l'elenco 
              dei partecipanti, venne annotato che l'eremita della Rocca, sig. Luigi 
              Fatica, aveva prestato 25 scudi a tal Giovanni Andrea Urbani nonché 
              " due rubbia di grano concio " ( circa cinque quintali ) a tal 
              Michele Fronti, come risulta da dichiarazioni sottoscritte dagli interessati 
              stessi.
 Ricordiamo che la Confraternita, e quindi l'Ospedale, viveva di proprie 
              rendite e di elemosine e che fra quest'ultime c'era anche quella ottenuta 
              dall'eremita della Rocca.
 Certamente questa fu la delibera più delicata che abbiano dovuto 
              prendere i Confratelli riuniti. Essa, dopo aver ricordato che, quando 
              Luigi Fatica fu deputato (nominato) Eremita della Rocca, era così 
              misero che l'Ospedale gli aveva dovuto dare un vestito decente, così 
              prosegue: "...questo ven. Ospedale sempre ha avuto il diritto di 
              patronato sulla Chiesa sempre la manutenzione della chiesa e locale medesimo 
              non solo per quel che riguarda i restauri ma ancora i suoi arredi" 
              come risulta dai registri della Confraternita ( congregazione del 29 dicembre 
              1799 e del 28
 dicembre 1806) "nonché il provvedimento dei mezzi di sussistenza, 
              tanto nello stato di salute quanto in caso di infermità del medesimo 
              eremita, ed a cui ( Confraternita) perciò appartiene il diritto 
              di nominare ( l'eremita) sempre esercitato come risulta dai registri della 
              Congregazione " (congregazione del 30 settembre 1795 e del 28 dicembre 
              1796).
 Pertanto, quanto sopra riportato e il seguito della delibera stessa si 
              possono così riassumere:
 - l'eremita della Rocca dipendeva dalla Confraternita del SS. mo Nome 
              di Dio o di S. Giovanni come più brevemente era chiamata;
 - compiti dell'eremita erano la sorveglianza e la manutenzione della Chiesa 
              della Rocca, alle quali avrebbe dovuto provvedere con le questue domenicali 
              e con la " cerca " del grano e del vino che doveva fare nelle 
              opportune stagioni;
 - questo eremita da parecchi anni, sembra quattordici, buono o cattivo 
              che fosse il raccolto, versava all'amministrazione dell'Ospedale solo 
              due rubbie di grano ( circa cinque quintali ).
 Pertanto si cominciò a dubitare della lealtà e dell'onestà 
              dell'eremita, anche perché lungo tutto questo tempo non aveva speso 
              un soldo per la manutenzione della chiesa,né per rinnovare gli 
              arredi, cosa sempre fatta dai precedenti eremiti.
 Esposto quanto sopra e dopo lunga discussione la Congregazione così 
              decise:
 1 ) l'eremita dovrà presentare un rendiconto mensile di qualunque 
              elemosina ricaverà;
 2) il Priore lascerà all'eremita il sufficiente per vivere e il 
              restante lo verserà all'Ospedale;
 3 ) gli scudi 25 saranno restituiti dal sig. Urbani al Priore dell'Ospedale 
              che li impiegherà per la Chiesa della Rocca, così pure i 
              due rubbia di grano e qualsiasi altra somma che fosse eventualmente recuperata;
 4 ) si darà all'eremita copia delle regole stabilite dal Concilio 
              Romano per tutti gli eremiti, regole integralmente trascritte nel verbale.
 Infine venne precisato che la Congregazione aveva stabilito quanto sopra:
 - per togliere dubbi ai fedeli che si rivolgevano con elemosine alla Madonna 
              della Rocca:
 - perché era scandaloso che gli eremiti negoziassero i denari delle 
              elemosine.
 La Congregazione desiderava anche troncare le chiacchiere sull'eremita 
              che già nel 1832 aveva prestato scudi 8 ad un certo Fortunato Martini 
              ed essa decise infine di dare lettura di quanto stabilito all'eremita 
              in presenza del Segretario, del Vicario, dell'Arciprete e del Priore dell'Ospedale.
 Dopo aver ricordato alcuni lavori eseguiti nella Chiesa della Rocca e 
              nel romitorio, la Congregazione venne chiusa con la solita formula.
 La Confraternita infatti manteneva " propriis expensis " l'Ospedale 
              di S. Giovanni, dove i fratelli prestavano gratuitamente il loro servizio.
 Una particolare forma assistenziale svolgeva con l'assegnazione 
              di numerose doti alle zitelle erogando in loro favore il reddito di alcuni 
              lasciti; a ciò aggiungeva l'assegnazione di un sussidio a famiglie 
              di ebrei o eretici convertiti e battezzati nella chiesa di S. Giovanni 
              (84).
 Concludiamo questo punto, richiamando al fatto che la presenza di un eremita 
              presso una chiesa, denota, oltre alla necessità di una ordinaria 
              custodia - manutenzione, anche l'indizio che il tempio, nel nostro caso 
              dedicato alla Madonna, è un centro di particolare pietà 
              per il popolo e custodisce insigni memorie religiose.
 Non possediamo nessuna notizia che dimostri una presenza eremitica prima 
              del 1567; numerose sono invece le testimonianze sui numerosi eremiti che 
              si sono avvicendati alla Madonna della Rocca dopo che la chiesa passò 
              sotto la cura della Confraternita del SS. mo Nome di Dio e suo Ospedale.
 
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