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c) Agostino Chigi e gli Agostiniani.

Altro importante punto di riferimento nella vita di Agostino Chigi furono gli agostiniani che, legati da sempre alla famiglia del mecenate, ebbero un'importante ruolo nella storia della chiesa della Sughera. A loro fu infatti affidata la custodia dell'immagine della Madonna nonché la cura spirituale dei lavoratori delle cave d'allume.
Sin dall'apertura del complesso estrattivo infatti, si perpetuò la consuetudine di scegliere proprio tra gli agostiniani il parroco dei minatori. Prima che per la chiesa della Sughera, gli agostiniani furono chiamati ad officiare le funzioni religiose nella cappella dei minatori de La Bianca.
La famiglia Chigi, nei suoi vari rami, era intimamente legata all'Ordine Agostiniano fin da XIII secolo, cui aveva dato beati, benefattori e mecenati. 1 "Beato Chisio da S. Miniato di Toscana...Beato Giovanni e Beata Angela, ma ancorchè sia stato decorato con titolo di Beato anco il proprio Cognome per questo Beato Ghisio...". Cfr. E. BENTIVOGLIO, Raffaello e i Chigi nella chiesa agostiniana di S. Maria del Popolo, Roma 1984, p. 69.
Lo stesso nome di Agostino, non sembrerebbe un caso: così si chiamavano il nonno del "magnifico", e suo figlio. Agostino Chigi inoltre sposò Francesca Ardeasca proprio il 28 agosto 1519, giorno in cui ricorre la festa di S. Agostino.
Per la chiesa della Sughera gli agostiniani furono scelti a tutela dell'immagine della Madonna. Anche presso S. Maria del Popolo, dove i Chigi hanno una cappella, è l'Ordine agostiniano ad amministrare la chiesa.
Esaminando più approfonditamente questi rapporti, si ricava un ritratto di Agostino Chigi che va molto al di là della semplice simpatia per quest'ordine religioso. I Chigi infatti, già intorno alla metà del XV secolo, possedevano anche un'altra cappella presso la chiesa agostiniana della SS. Trinità di Viterbo: "I signori Chisi di Viterbo fecero fare nella detta chiesa (della Trinità) un bell'altare di stucco tutto indorato, con un bellissimo quadro del Martirio di una S. Agata... il quale altare stette in questa forma per molti anni...e perché pareva a quelli...che detto altare fosse fatto con poco decoro, essendo di stucco e né di pietra, come si è detto, si sono risoluti nel present'anno 1624 di buttarlo a terra, e fanno venire un altare, compito di Roma di pietre mistie fine, assai nobile, e di non poca spesa, con aver tirato indietro l'Altare, e fatta una cappella sfondata con il medesimo quadro". 2 . Ibidem, p. 52. Anche l'altare- tabernacolo della Sughera è costruito in pietra locale distinguendosi dalle costruzioni chigiane dove per lo più si impiegava il marmo.
Alla stessa Chiesa era molto legato anche Egidio da Viterbo 3 Nelle sue disposizioni testamentarie vi è un lascito a favore della chiesa della SS. Trinità di 100 scudi. Cfr. G. SIGNORELLI, Il Card. Egidio da Viterbo agostiniano, umanista e riformatore 1459-1532, Firenze 1929, p. 258. agostiniano della Congregazione di Lecceto di Siena che fu nominato generale dell'Ordine il 23 maggio 1507 avendo già avuto la stessa proposta l'anno prima.
Per il fatto che Agostino Chigi fosse legato agli agostiniani nonché coetaneo di Egidio (il primo era nato nel 1465, il secondo nel 1469), non è da escludere che i due si conoscessero.
Cosa rilevante è che i Chigi ottennero la concessione per la costruzione della cappella di S. Maria del Popolo circa sei mesi dopo l'elezione di questo Generale e, poiché gli Agostiniani erano i"protettori" della chiesa, sicuramente fu Egidio da Viterbo a dare il consenso.
La famiglia Chigi aveva una particolare predilezione per gli agostiniani della Congregazione di S. Salvatore in Lecceto presso Siena alla quale Egidio si era aggregato accrescendone il lustro, rinvigorendola con l'esempio della pietà, della dottrina e dell'attività 4 "Egidio ritrovava in Lecceto oltre alla quiete dello spirito, molto giovamento alla salute del corpo". Ibidem, p. 10.
adoperandosi inoltre per far si che a questa fosse unito il Convento della SS. Trinità di Viterbo nel quale si erano infiltrati alcuni religiosi solo di nome. Suo intento era rialzare il prestigio dell'Ordine agostiniano. D'altra parte Giulio II lo aveva scelto proprio per questo scopo concedendogli inoltre la facoltà di poter invocare l'intervento dei pubblici ufficiali affinché i suoi ordini fossero strettamente eseguiti.
In questo periodo, infatti, gli agostiniani, un po' come tutti gli ordini mendicanti, avevano subito una forte laicizzazione soprattutto per l'inserimento di conventuali privi di vocazione e spesso senza alcun interesse per le cose religiose. La situazione perdurava già dal secolo precedente: "I conventi de' regolari, in confronto a quanti erano nel passato, sull'inizio del secolo XV, si trovano diminuiti. Le pestilenze avevano reso quasi deserti i chiostri e lo scisma compiva l'opera sua disgregatrice. Alla regola spesso subentrava la licenza e la discordia penetrava laddove avrebbe dovuto regnare sovrana la pace". 5 M. SIGNORELLI, Il Santuario della Madonna della Quercia Viterbo, Viterbo 1967, p. 53. Questa anomala situazione creava certo non pochi problemi a coloro che avevano scelto la vita religiosa per fede e soprattutto per la volontà di servire la Chiesa secondo i principi del Vangelo. Egidio da Viterbo, rappresentando chiaramente la parte integra dell'Ordine, pervenutone alla direzione, rivolse tutte le sue cure a migliorarlo e a riformarlo. La riforma dei costumi prenderà avvio appunto dal convento di Lecceto al quale, nel tempo, faranno riferimento un gran numero di conventi tra cui, oltre che S. Maria della Trinità di Viterbo, anche S. Maria del Popolo di Roma. 6 ll Chigi era probabilmente a conoscenza del rinnovamento voluto da Egidio da Viterbo avendo una cappella in ognuna di queste due chiese. Egidio intendeva ricostituire in tutta la sua pienezza l'unità dell'istituzione agostiniana distrutta al tempo del grande scisma del Papato che aveva diviso in più fazioni i regolari. Già dal 1494, il convento dei Domenicani di S. Maria della Quercia, che fino ad allora non era stato sottoposto ad alcuna provincia dell'Ordine, fu aggregato alla Provincia lombarda. 7 C. PINZI, Memorie e documenti inediti sulla Basilica di S. Maria della Quercia di Viterbo, in "Archivio storico dell'Arte", fasc. VII- VIII, 3 (1890), ristampa Viterbo 1969, p. 76. Torna su
Qualche anno dopo padre Egidio si servì di monaci lombardi e, assegnando a loro la gestione della chiesa di S. Maria del Popolo, estromise da Roma quella parte di frati agostiniani corrotti che facevano riferimento alla chiesa della SS. Trinità (di Roma).
Tra l'altro, dopo l'elezione di Paolo II, in concomitanza con l'esodo dei toscani alla morte di Pio II, si ritrovano a Roma numerosi lombardi anche tra gli artisti ai quali furono strettamente legati gli agostiniani. 8 Tra gli artisti del nord spicca la figura di Andrea Bregno a capo di una scuola che ha lasciato molte opere scultoree in costruzioni romane di fine quattrocento come nella chiesa di S. Maria della Quercia a Viterbo, a Roma in S. Maria della Pace, in S. Pietro in Montorio, in 5. Agostino... Cfr. E. BENTIVOGLIO- S. VALTIERI, S. Maria del Popolo a Roma, Roma 1976, p. 19.
Il rinnovamento voluto da Egidio fu completo ed è probabile che anche la chiesa della Sughera di Tolfa abbia risentito di questo benefico impulso.
Agostino Chigi infatti, quando la chiesa poté accogliere un religioso nel 1506, si rivolse al convento della vicina chiesa della SS.
Trinità affinché gli fosse mandato uno di quei religiosi dell'Ordine eremitano di S. Agostino. 9 La chiesa della SS. Trinità si trova vicino all'odierna Allumiere. Una diffusa leggenda popolare, riportata anche negli scritti di antichi autori, vuole che S. Agostino, nel 388, prima di imbarcarsi per l'Africa, fosse ospite in quest'eremo dove incontrò il bambino che voleva versare l'acqua del mare in una fossa.. Cfr. E. BRUNORI, S. Agostino alla Fontanella, in Società Tarquiniense di Arte e Storia, bollettino 22 (1993), pp. 211 e seg. FotoLa scelta cadde su padre Lazzaro di Pavia, 10 MIGNANTI, Santuari cit., p. 54 e 72. lombardo quindi e probabilmente appartenente alla parte dell'ordine riformata da Egidio da Viterbo. Ora questa deduzione potrebbe anche corrispondere a verità se, come indica il Mignanti, Egidio da Viterbo, conosceva questo santuario vicino Tolfa. 11 Egidio da Viterbo, generale dell'Ordine eremitano, in una lettera diretta ai PP. Di Lecceto così si esprime: "Extant in monte Pisano, Extant ad Centumcellas vestigia piane insignia, extant in universo Tusciae solo loca quae ille (S. Agostino) incoluit et monachis incolenda dedit". Cfr. MIGNANTI, Santuari cit., p. 21. Un altro documento datato 22 aprile 1522, quindi posteriore alla morte del "Magnifico", rafforza questa ipotesi. 12 E. BRUNORI, Quando la Lumiera era alla Bianca, in "Notiziario" 7 (1985), pp. 31-32..
Si tratta dell'atto di cessione di un territorio limitrofo al"cappellone chigiano" dove sarà edificata una nuova cappella con un altare intitolato a S. Antonio Abate. La costruzione viene affidata agli agostiniani del vicino convento della Sughera e al loro priore frate Agostino. Alla fine del documento viè un'appendice con la "Confirmatione del P. Generale": Gabriel Venetus. 13 AGA, Dd 14 Registrum Gabrieli Veneti 1521 1525, f. 93 v. Appendice al II.
Premesso che fu Egidio da Viterbo a promuovere il rinnovamento dell'Ordine agostiniano, bisogna anche rilevare come
egli, divenuto cardinale, prima di rinunciare alla direzione degli Agostiniani, volle assicurarsi che la sua opera fosse continuata da un correligionario che godesse la sua piena fiducia. 14 SIGNORELLI, Il Card.cit., p. 68.
Fu prescelto Gabriele di Volta (Gabriele Veneto) 15 Ibidem, p. 38. suo coetaneo, intimo e devoto amico, eletto supremo reggitore dell'ordine il 23 gennaio 1518. Nel documento del 1522 inoltre si legge che il terreno fu concesso e donato a "...egregiis viris Magistro Andrea Cristofaro ...de partibus Lombardie in lumeriis Monteronconi capo magistro cave, et Magistro Alberto Johannis... de dictis partibus Lombardie..." mostrando come il rinnovamento voluto dall'inizio per la chiesa della Sughera e attuato attraverso la Provincia lombarda, probabilmente continuasse ancora sotto la direzione di quest'altro agostiniano.
In sostanza si può affermare che la Comunità di Tolfa viene inscritta nel contesto di rinnovamento di cui la Provincia lombarda si era fatta portavoce. Quando nel 1523 Egidio da Viterbo è nominato vescovo delle diocesi di Nepi e di Sutri cui apparteneva la comunità di Tolfa, sicuramente, per il rapporto che lo legava al Magnifico, fece in modo che il desiderio del Chigi di portare a compimento la chiesa della Sughera fosse esaudito.
Le due lapidi poste nelle facce interne dell'arco d'ingresso al cappellone recano la data del 1523 ed onorano la memoria di colui che aveva voluto l'edificazione del santuario ricordandone la grandezza d'animo, le ricchezze ma soprattutto la capacità di trarre massimi profitti dal commercio dell'allume. 16 Le due lapidi tradotte dal Mignanti così si esprimono: " A Dio Ottimo Massimo-Agostino Chigi, Senese, grande d'animo, chiaro per ingegno, ricco di beni, grandemente accetto a papi, principi e primari cittadini del suo tempo, mosso da singolare devozione verso la Pia Madre, in questo luogo, che con lieto auspicio prese nome dal sughero, innalzò questa chiesa che vedi alla Vergine, assiepata di voti, (e che) la protezione dei figli Lorenzo ed Agostino postumo rese (più) adorna". La seconda lapide collocata di fronte alla precedente: "...Mentre in questi monti a nessuno prima fu dato trar guadagno dall'industria dell'allume, il grande Agostino Chigi, avendolo con l'acuto ingegno estratto in gran copia e dato in vendita all'intero mondo cristiano, si procacciò fama grandissima, fidente nell'aiuto di così potente Creatura celeste, alla quale, in conformità dei voti felicemente esauditi, innalzò questa chiesa denominata dal sughero, e dopo aver edificato sulla via Settimiana un sontuoso palazzo, e presso la porta Flaminia una cappella di marmo pario, in memoria, in Roma, ove condusse con probità splendida vita, si addormentò. L'anno di nostra Salute 1523". Cfr. MIGNANTI, Santuari cit., pp. 55-56.

d) La chiesa di S. Maria della Sughera a Tolfa e quella di S. Maria della Quercia a Viterbo: analogie di due santuari coevi.

Per quanto concerne la chiesa della Sughera, va premesso che non si conoscono né l'architetto che la progettò, né gli esecutori materiali dell'opera. Come pure è sconosciuto l'autore del quadro anche se esistono buone possibilità, come ritengono gli studiosi dall'esame di una incisione in rame eseguita nel 1637, che possa essere della scuola del Francia (Francesco Raibolini 1460 circa 1517) massimo esponente di un classicismo convenzionale ispirato da Perugino.
In via ipotetica si può anche ritenere che il dipinto fosse della bottega di Antonio del Massaro detto il Pastura (1450-1517) assai attivo in questi anni a Viterbo, a Corneto e anche a Tolfa dove probabilmente dipinse il SS. Salvatore nella chiesa collegiata di S. Egidio Abate. Torna su
L'affermazione troverebbe riscontro nella Madonna di palazzo Chigi a Viterbo sempre attribuita al Pastura. 1 A. SCRIATTOLI, Viterbo nei suoi monumenti, Roma 1915-20, ristampa anastatica Viterbo 1988.
Oggi però non è più possibile ammirare l'originale dell'opera; la preziosa tavola fu infatti asportata al termine di una sanguinosa occupazione del paese di Tolfa nel 1799 da parte delle truppe francesi.
Al posto dell'originale perduto è nell'altare maggiore un'altra raffigurazione della Madonna con il Bambino. Qui però non si può parlare di copia tanto è diverso l'atteggiamento delle due figure rispetto a quella che invece, in un'incisione seicentesca, risulta la copia più vicino all'originale. Nel vano dietro il tabernacolo, cui si accede da una
porticina, si vede il tronco del sughero con un'altra rappresentazione della Madonna.
Ancora in via del tutto ipotetica, si può pensare che la Madonna della Sughera fosse una raffigurazione di quella viterbese della Quercia assai venerata da qualche decennio in tutta la Tuscia. 2 P. MORRA, 480 anni fa, p. 2.
Prospero Morra sostiene che Agostino Chigi, l'ideatore e finanziatore della chiesa, possa essere stato ispirato dalla storia della Madonna viterbese, avendo trascorso parte della sua giovinezza a Viterbo dove i Chigi gestivano un banco già dal 1438 più tardi condotto dal fratello Francesco che in quella città sposerà Battista Gatti, di antica e potente famiglia viterbese legata ai Colonna. 3 E. BENTIVOGLIO, Raffaello e i Ghigi, Roma 1984., p. 47, nota. 4.
Incerto è il tempo in cui il Chigi rimase a Viterbo e presso Montefiascone dove conduceva una ferriera, tuttavia intorno al 1487 il padre lo mandò a Roma per completare il suo apprendistato presso il banco di Ambrogio Spanocchi. 4 DANTE, Dizionario cit., p. 735.
Per quanto invece riguarda la storia delle origini del tempio della Quercia essa è conosciuta e narrata dal cronista viterbese Niccolò della Tuccia il quale tra l'altro fu partecipe dei preparativi che ne precedettero la costruzione: " Anno Domini 1467. Era nel tenimento di Viterbo, intra le vigne della contrada detta Mandriale, una devota figura della beata Vergine pinta in una tegula, quale fece pingere un bon omo chiamato Battista chiavaro, da un pittore mastro Martello detto Monetto. Esso Battista portò e conficcò questa tegula in una quercia, nella strada pubblica per andare a Bagnaia...Stette così in quella quercia tal figura circa cinquanta anni. Forse dui o tre anni passati, certe donne Viterbesi gli portavano gran divozione. Nel 1467, di Luglio, multiplicò tanto la divozione, che tutto il popolo di Viterbo e tutto il Patrimonio corse a quella figura, mostrando Iddio infiniti miracoli per amor della sua dolcissima madre. Per la qual cosa, prima fu fatta una Cappella di tavole, e tanto moltiplicavano le elemosine, che non aveva fine. Onde fu ordinato per i signori Priori della città, far edificare una Chiesa a onore della gloriosissima Vergine Maria, per l'infiniti miracoli ed elemosine...E li sidicevano ogni giorno messe assai, e facevansi in quel tempo predicazioni. Era a quel tempo a Viterbo la moria, e tutti castelli e terre d'attorno schivavano nostre conversazioni...Quando fur palesati detti miracoli, ristrinse la moria e non morì più persona...Lunedì, li 24 (agosto 1467) venne in casa de signori Priori prete Domenico di messer Giovanni Manescalco. Erano cinque fratelli, padroni d'un pezzo di terra dirimpetto alla suddetta Madonna; e donorno alla Comunità di Viterbo tanto di quel terreno, che si potesse edificare la chiesa in detto loco... Il martedì seguente...noi Priori andammo a detto loco, e pigliammo possesso di detta donazione ...". 5 C. PINZI, Memorie e documenti inediti sulla Basilica di S. Maria della Quercia di Viterbo, in Archivio storico dell'arte, fasc. 7-8 (Roma 1890), ristampa Viterbo 1%9, pp. 17-18.
Il cronista descrive molti dettagli sul ritrovamento e fornisce inoltre anche il nome dell'artista dell'opera senza tuttavia dare su di questo ulteriori notizie. Il Pinzi rileva come, secondo la sciagurata usanza di molti cronisti italiani; 6 Ibidem, p. 20. il cronista di Tolfa invece non fornisce neanche il nome dell'artista che dipinse la Madonna della Sughera. ciò che interessava era il dipinto e non le notizie sull'autore.
Ho riportato la narrazione di Niccolò della Tuccia per evidenziare come il percorso che dal ritrovamento della Sacra Immagine porta all'edificazione del santuario di S. Maria della Quercia, sia analogo a quello della chiesa della Sughera alcuni decenni dopo e, in considerazione del fatto che Agostino Chigi  appaltatore delle cave di allume, avesse notevoli legami con la città di Viterbo, l'analogia potrebbe non essere senza significato.
Tale avvenimento allora potrebbe aver sollecitato nel Chigi l'idea di un nuovo luogo di culto ad imitazione di quello più famoso della Quercia da costruirsi nei boschi di Tolfa dove ancora non esisteva un edificio religioso di tale rilevanza.
Imprenditore geniale Agostino Chigi univa in sé, come molti uomini del Rinascimento, l'amore per le cose sacre e quello per le cose profane. La decisione di innalzare una chiesa alla Madonna nasce dalla compenetrazione di questi due aspetti; da una parte "il Magnifico" percepiva la forte religiosità popolare legata all'aspetto miracoloso della Sacra Effigie, dall'altra era certo che la realizzazione dell'opera lo avrebbe ancor più legato alla Camera Apostolica fonte dei suoi ingenti introiti finanziari.

e) La chiesa della Sughera: presunti costruttori.

L'autorevole Mignanti così si esprime: "Compiuti i necessari preparativi, ottenuti gli occorrenti permessi, raccolti i materiali, il Chigi intraprese la costruzione della nuova chiesa. Un valente architetto da lui inviato sul luogo per tracciare i disegni della chiesa e dell'attiguo convento ideò un ampio ottagono di palmi 303, alto in proporzione" ed ancora "...una tradizione locale vorrebbe che sia stato il Bramante...Altri hanno proposto come il Chigi amasse servirsi di Sebastiano Serlio e di Baldassarre Peruzzi...". 1 MIGNANTI, Santuari cit., p. 53.
Nonostante le affinità architettoniche ed artistiche della Chiesa della Sughera con le opere di questi famosi artisti, l'indagine storica da me condotta, mi induce però a pensare che probabilmente l'idea e l'impronta è la loro, ma gli esecutori materiali vanno ricercati in altri artisti o costruttori. E' infatti possibile ritenere che le soluzioni artistiche proposte dai maggiori artisti nei primi anni del Cinquecento, avessero tanto permeato l'ambiente romano da stimolare altri artisti minori alla loro imitazione.
Prima però di entrare nei dettagli della Chiesa della Sughera, è necessario far precedere alla documentazione che la riguarda una serie di documenti e considerazioni atti a dimostrare come Agostino Chigi, al di là del rapporto finanziario, abbia avuto un legame molto più profondo con la città di Viterbo, legame secondo il mio parere da ricercare soprattutto nel rapporto che ebbe con i personaggi che ruotavano intorno alla fabbrica della Quercia.
Il Pinzi riporta che il banco dei Chigi di cui risulta essere cointeressato lo stesso Agostino, 2 "Franciscus Mariani de Chiisis, frater ac procurator in Viterbio Domini Augustini de Chisiis", concede per sé e per il fratello un mutuo a Domenico Cordelli viterbese. Cfr. C. PINZI, Memorie e documenti inediti cit., p. 86. si trovava implicato in una "considerevole serie di interessi, di cauzioni e di pagamenti pella fabbrica di S. Maria della Quercia". 3 Ibidem, p. 85.
Nel documento relativo alla detta fabbrica del 4 luglio 1504 è detto: "Pagati duc. 13 di carlini, e quali rendemmo agli heredi di Mariano Chigi in Viterbo, e quali pagarono per noi a M. Ludovico legnajuolo, et a...fornaciaro per ordine de soprastanti et di me". 4 Ibidem, p. 85.
Fu a Viterbo che il "Magnifico" scelse molti dei suoi collaboratori a dimostrazione di come questa famiglia fosse parte integrante di quella realtà. Questa affermazione trova riscontro nel grande rapporto di amicizia che legò Agostino a Cornelio Benigni viterbese che: "Protetto da Agostino Chigi, fu uno dei proti della stamperia aperta da quel mecenate..." 5 G. SIGNORELLI, Il Card. Egidio da Viterbo, Firenze 1929.p. 45. che certamente riconosceva in tale iniziativa oltre al puro fatto culturale, un ulteriore mezzo per far risaltare la propria magnificenza.
Il Benigni era anche suo cancelliere presente in tutti gli atti amministrativi più importanti 6 E. BENTIVOGLIO, Raffaello e i Ghigi nella chiesa agostiniana di S. Maria del Popolo, Roma 1984, p. 45. amato da Leone X così da Egidio da Viterbo come risulta da una lettera emessa dal pontefice e scritta dal Bembo. 7 " Egidio Viterbiensi Augustinianorum eremitani Magistro. Cum mihí Cornelio Benignus tuus, quem ego valde diligo: scio enim et te ab illo mirabiliter amari, et illum abs te...est enim optimis et perelegantibus et moris et lítterís..." Cfr. BENTIVOGLIO, Raffaello cit., p. 50, nota 18. Tanto era l'attaccamento tra il mecenate ed il "dipendente" che il Chigi "memor beneficij accepti, ac servitiorum per plures dies, menses et annos impensorum", gli donò due case e il Benigni, da parte sua, morto Agostino, "nulla solatio egit". 8 Ibidem, p 45. "nessuna cosa poté esser (gli) di conforto".
Quindi fu proprio a Viterbo che Agostino scelse molti dei suoi collaboratori, tra questi probabilmente conosceva anche Bernardino di Giovan Francesco da Viterbo attivo come scultore e decoratore nel cantiere della Quercia. Artefice di buona mano, come si può vedere dal portale principale della chiesa, è probabile che sia entrato in contatto con i Chigi per mezzo del Banco viterbese delegato al pagamento delle maestranze di cantiere.
La conoscenza di Bernardino è ulteriormente attestata nel 1522, quando Agostino era già morto e questo stesso artista fu chiamato dagli eredi a completare il complesso lavoro di marmi nella cappella chigiana di S. Maria del Popolo 9 Bernardino compare anche nei lavori bramanteschi in S. Pietro, e a Viterbo operò nella facciata di S. Maria della Quercia che ricorda, o cronologicamente precede, il progetto bramantesco per la facciata di Loreto. Cfr. E. BENTIVOGLIO- S. VALTIERI, S. Maria del Popolo cit., Roma 1976, p. 120, nota 3. compreso il compimento della tomba del Magnifico. 10 C. PINZI, Memorie cit., p. 87. Tanto dovette crescere la sua reputazione che Sigismondo, fratello di Agostino, si farà da lui raccomandare nel 1525 11 E. BENTIVOGLIO, Raffaello cit., p. 52. per essere ascritto al patriziato viterbese, cosa che gli avrebbe permesso di usufruire di privilegi locali per la conservazione e l'ampliamento delle sue attività commerciali. Ai fini della costruzione della chiesa della Sughera, trovo documentato che Bernardino viterbese realizzò per Agostino, a partire dal 10 giugno 1508, la chiesa (nel documento si parla di Tribuna) 12. La notizia è riportata in varie fonti bibliografiche: Cfr. E. BENTIVOGLIO, Raffaello cit., p. 51. Cfr. N. MANNINO, Il Santuario di S. Maria della Sughera a Tolfa, in "Quaderni dell'istituto di storia dell'architettura" restauro e conservazione dei beni architettonici, nuova serie, fasc. 23, 1994, Roma 1996. Cfr. DANTE, Dizionario cit., p. 741. La riproduzione del documento originale è riportata in appendice III. di S. Maria della Sughera.
A questo contratto è allegato uno schizzo che rappresenta la lanterna a coronamento della cupola ottagona la qual cosa potrebbe far ritenere Bernardino non soltanto l'esecutore materiale dell'opera, ma anche forse l'ideatore.
Quel che è certo è che Bernardino compare nei lavori bramanteschi in S. Pietro, ed a Viterbo operò nella chiesa di S. Giovanni Battista (iniziata nel 1513) e nella facciata di S. Maria della Quercia che ricorda, e cronologicamente precede, il progetto di Bramante per la facciata di Loreto 13 E BENTIVOGLIO- S. VALTIERI, S. Maria del Popolo cit., p. 120, nota 3. a dimostrazione di come questo conoscesse le opere del maestro.
Fatta questa premessa, è necessario passare ora all'analisi del documento. 14 ASS, Fondo notarile ante cosimiano, filza 963, inserto 90, anno 1508. Riproduzione dall'originale in appendice III A Bernardino di Viterbo e a Giovanni Battista si chiede di realizzare: "...cupolam seu tribunam ecclesie Sante Marie dela Sughera intra (?) lumeriis tolfetane diocesis". Torna su
Agli artefici viene inoltre chiesto di:
...alsare lo muro ritto sopra la cornice dentro nela tribuna palmj quatro
- Item tutta la cupola dala cornice in su alta palmj quarantacinque
- Item si debba lassare uno voto in cima ala cupola palmi dieci
- Item debba essere grosso il muro massiccio data cornice in su palmi nove et alto palmi secte
- Item che tutti li filonj (filarj o pilonj) dle pietre se strenghino (?) dinanze e retro
- Item che si dia (?) cappella di buona calcina (?)
- Item che siano obligati fare la lanterna secondo il disegnio 15 Il disegno della lanterna, come ho già detto risulta allegato all'atto.
- Item che la lanterna sia alta palmi dicioto in circa
- Item che decti M.ri panni Baptista et Bernardino siano obligati (?) decta cupola a tutte loro spese, cioè calcina rena pietre ...
- Item che tutte le travi (?) che di legniame occorressiono in decta cupola le debino metere (?) a loro spese..
- Item che lo decto lavoro sia in tucta perfetione...

Questo era il lavoro da svolgere dagli incaricati mentre ad Agostino spettava il compito di far condurre tutto il legname per i ponti e per la cupola a proprie spese e pagare per il suddetto lavoro la somma di seicento "ducati di carlini".
Dall'importante documento inoltre si può dedurre che il Chigi fosse piuttosto turbato dalla lungaggine dei lavori tanto da imporre ai due appaltatori la consegna per il mese di marzo dell'anno successivo dandogli un anticipo di cinquanta ducati ed il resto a lavoro ultimato.
Tutto questo sia perché i lavori della Sughera erano in ritardo, sia perché, se questo Bernardino da Viterbo è lo stesso artefice del cantiere della Quercia, era occupato evidentemente in altri numerosi incarichi.
In data 14 ottobre 1508 infatti, il Maestro è ancora impegnato nei lavori di S. Maria della Quercia: "Fu allogata a Bernardino di Giovanni da Viterbo et a Charlo et Mariotto et a Domenico de Jachopo da Firenzuola, tutti scharpellini, la facciata della Chiesa chol frontone, per prezzo di ducati 440 di charlini in tutto... (Appresso, annotato d'altra mano, si legge) el quale lavoro fu fornito el mese di settembre 1509". 16 PINZI, Memorie cit., p. 90.
I due documenti allora mostrano come i contratti fossero all'incirca contemporanei. Questo potrebbe far pensare che Bernardino ed il suo socio avessero già portato a termine il lavoro della Sughera.
Altra cosa che ritengo importante sottolineare è che nel manoscritto del 10 giugno, tra i firmatari, che forse potrebbero essere considerati i responsabili- direttori, compaiono "Danese de Viterbio" e"Antonio de Bonconsignis" o "Boninsegnis" che probabilmente non erano nuovi ad Agostino Chigi.
Danese de Viterbio infatti nel 1480, pervenuto alla direzione dei lavori in S. Maria della Quercia, del duomo e del palazzo del governatore a Viterbo, 17 Ibidem, p. 28. aveva già collaborato con Bernardino attivo alla Quercia già dal 1504. 18 Ibidem, p. 36.
Il Pinzi ci informa infatti di come questo fosse spesso prescelto ad arbitraggi di opere murarie e di come a lui "commetteansi lavori di cotanta mole" 19 Ibidem, p. 31-32. e, quel che è più notevole tutte le costruzioni di maggior rilievo della sua città.
Per quanto riguarda invece "Antonio de Boninsegnis" o"Bonconsignis", trovo che nel 1498 il banco di Viterbo era retto da Francesco, figlio di Mariano Chigi, e da un tale "Antonius de Boninsegnis, institor Mariani de Ghisiis et sociorum in Viterbio". 20 Ibidem p. 86. Nel 1512 riguardo a questo si dice "Domino Antonio de Boninsegnis de Bancho Chisio" 21 Ibidem, p. 121. a sottolineare come questo facesse parte integrante della realtà del banco.
Ora anche se è difficile stabilire che possa trattarsi della stessa persona, tuttavia ciò confermerebbe la mia tesi secondo la quale Agostino per essere certo della riuscita nell'edificazione del santuario di Tolfa, si affidò a persone che, conosciute tramite il banco viterbese, avevano già realizzato una costruzione di tale rilevanza artistica.
Le affinità tra il santuario tolfetano e quello viterbese fortificano ancor più questa ipotesi. Il sacello- altare di Tolfa somiglia infatti a quello viterbese tanto da far supporre un preciso riferimento a questo per l'edicola della Sughera. 22 MANNINO, Santa Maria della Sughera a Tolfa. L'architettura di un santuario mariano, in Studi Tulpharum, volume I, Tolfa 1997, pp. 63-66.
In conclusione, da queste prime considerazioni si potrebbe arrivare a supporre che Agostino Chigi fosse a conoscenza del ritrovamento dell'immagine sulla quercia così come dell'importanza che il santuario avesse assunto nella vita di quella popolazione contribuendo ad innalzare la fama di Viterbo.
Quel che allora, secondo il mio parere va sottolineato è sì il fatto che la chiesa di Tolfa, ideata con un ritrovamento simile, percorre tutte le tappe già espletate nel cantiere della Quercia, ma soprattutto è importante il fatto che Agostino Chigi, conoscendo anche gli artisti esecutori di quel santuario, volle in parte impiegarli per la chiesa della Sughera.
A Tolfa il fine del Chigi è duplice: da una parte incrementare le sue risorse finanziare, dall'altra, con l'edificazione del santuario, andare incontro alle esigenze cultuali della popolazione in particolare dei minatori.
Da subito il popolo tolfetano si rivolse alla benevolenza della Madonna soprattutto durante le gravi calamità che sconvolsero la vita dei tolfetani. Nel 1524, quando in tutta Italia iniziò a serpeggiare la peste, anche Tolfa ne fu invasa. Nella più totale disperazione il clero, il popolo, le autorità civili, ricorsero all'intercessione della Madonna della
Sughera perché il flagello cessasse. La preghiera fu esaudita ed il morbo scomparve. 23 MIGNANTI, Santuari cit., pp. 78-79.
Oltre che in queste calamità i tolfetani si rivolsero alla Madonna per benedire camice di persone inferme, ai malati si faceva bere l'acqua intrisa di un frammento del sughero del ritrovamento.
Agostino Chigi si prese il compito di innalzare il tempio della Vergine impegnandosi ad ottenere dalla Camera Apostolica l'area nella quale si trovava il bosco non solo per edificare la chiesa, ma anche il convento che potesse ospitare una famiglia di religiosi cui fosse affidata la custodia dell'immagine miracolosa.

CAPITOLO III
PROFILO STORICO DELLA CHIESA DELLA SUGHERA
a) L'edificazione del santuario (1501- 1524)

Dopo aver descritto le vicende del ritrovamento dell'Immagine miracolosa, dopo aver messo in luce i rapporti di Agostino Chigi con Viterbo e con gli agostiniani, passerò ora ad illustrare i documenti specifici della chiesa della Sughera con l'intento di delineare un profilo storico. Torna su
Quando il dipinto della Madonna fu ritrovato sopra l'albero di un sughero, Agostino Chigi, consapevole dell'avvenimento religioso e sociale, chiese alla Reverenda Camera Apostolica la concessione del terreno per potervi costruire una cappella provvisoria, in previsione dell'edificazione di un grande santuario.
Dall'analisi dell'insieme dei documenti risulta evidente come la proprietà del terreno spettasse alla Camera Apostolica, infatti a questo organismo Agostino Chigi si rivolse, con l'impegno di sostenere tutte le spese necessarie alla costruzione ed alle riparazioni successive.
Nello stesso tempo però tra gli agostiniani ed il Chigi venne concordato che alla sua morte i lavori di manutenzione della chiesa e tutto ciò che le concerneva sarebbero passati a carico dell'Ordine. 1 CUGNONI, 187, p.138, nota 170.
Inizialmente, essendo molti i pellegrini a visitare il santuario si rese necessario che qualcuno si occupasse delle abbondanti elemosine che venivano lasciate alla provvisoria cappella della Madonna. Si decise di affidare l'incarico ai fortunati scopritori e cioè a Costantino Celli 2 La famiglia Celli è una delle più antiche di Tolfa, il suo primo rappresentante è documentato nel XIII secolo ed è specificato esattamente nel XIV secolo quando è documentato un Giacomo Celli di Tolfa Nuova "Cancelliere" di Giovanni di Vico. La presenza più consistente di Celli si ritroverà nel XVI secolo tra cui un Sebastiano Celli priore dell'ospedale di S. Giovanni di Tolfa . Notizie fornitemi dallo studioso di storia locale Giuseppe Cola. ed a Bernardino Roso i quali assolsero il compito loro affidato fino all'arrivo dei padri agostiniani. 3 MIGNANTI, Santuari cit., pp. 52-53.
I primi documenti che permettono di conoscere le fasi iniziali della costruzione del cappellone della chiesa della Sughera risalgono al 1504. Si tratta del carteggio intercorso tra Agostino Chigi ed il notaio Basilio Quirici di Antonio da Siena che curava l'attività finanziaria delle fabbriche di allume per conto del Chigi. La corrispondenza si sviluppa in tre lettere: la prima del 20 novembre; la seconda del 22 novembre; la terza del 15 dicembre del 1504. 4 MANNINO,. Santa Maria della Sughera cit., p. 41, in ASS, 937 LODI, fondo notarile ante cosimiano, lettere degli anni 1504-1505.
Con la prima il Chigi sollecita l'inizio della cappella, con la seconda manda il modello della cappella stessa, con la terza si stabilisce l'importo della spesa tenendo conto della presenza del materiale esistente sul posto. I documenti si riferiscono alla fine del 1504 e quindi si presume che gli effettivi lavori siano stati avviati l'anno seguente Riporta il Mignanti che nel 1506, mentre i lavori del cappellone erano ormai stati avviati, Agostino Chigi decise di chiamare per la custodia dell'immagine della Madonna un agostiniano dall'eremo della Trinità nei pressi di Allumiere. 5 F. M. MIGNANTI, Santuari cit., p. 53.Venne scelto padre Lazzaro da Pavia che inizialmente dimorò presso un locale attiguo alla tribuna ottagonale del convento che si stava costruendo.
Come ho già detto, l'autore del progetto iniziale della chiesa e del convento è sconosciuto, tuttavia, per quanto il nome del Bramante non compaia in nessun documento, è pur vero che il cappellone ottagonale a pianta centrale non è estraneo all'arte bramantesca ed al suo linguaggio innovativo che iniziava a diffondersi proprio in quegli anni. 6 MANNINO, Santa Maria della Sughera cit., pp. 122-123.
Secondo il Mignanti inoltre questa struttura ottagonale doveva essere preceduta da un pronao 7 Ibidem, p. 53. della cui esistenza non si hanno finora notizie certe ma che fu forse demolito quando, intorno al 1560, si iniziò la costruzione della prima navata.
Le ricerche sulla paternità della chiesa della Sughera potrebbero orientarsi su artisti della cerchia bramantesca con l'esclusione di un diretto coinvolgimento di Bramante stesso impegnato, in questo periodo, dagli incarichi affidategli da Giulio II L'attribuzione si fa allora più difficile poiché Agostino Chigi aveva numerosi contatti con gli artisti del tempo i quali erano spesso chiamati a realizzare le sue opere di mecenatismo.
Nei "Commentarii" molti risultano i maestri della sua cerchia: " ...hi sunt Raphael Sanctius Urbinas, Johannes Barilius (Giovanni Barili intagliatore senese), Julius Romanus, Johannes Utinensis (Giovanni da Udine), Johannes Franciscus cognomento Il Fattore (G. Fr. Penni), Laurentius Florentinus Sculptor vulgo Lorenzetto, Hieronymus Eugubinus (Gerolamo Genga), Bernardinus Viterbiensis, Antonius a Sancto Marino... Balthassar Peruzzius Senensis". 8 CUGNONI, 1878, pp. 60- 61..
E' interessante osservare come nel 1508 (10 giugno), dal documento che ho già citato riguardante Bernardino di Giovan Francesco da Viterbo, risulta che gli si chiede di realizzare la cupola a copertura della cappella dove era prevista anche la costruzione di una lanterna.
Sempre al 1508 (3 e 5 luglio) risalgono le quietanze di pagamenti a maestro Giacomo Carbone da Fiesole detto "lapicida e marmoraio" per l'avvenuta esecuzione di otto cimase per la cupola della Sughera a dimostrazione di come probabilmente i due esecutori lavorassero insieme. 9 MANNINO, Santa Maria della Sughera cit., p. 43.
Oltre a questi lavori e queste quietanze, non si conoscono ulteriori e specifici documenti riguardanti la fabbrica della chiesa. Altri documenti risalgono all'anno 1519, anno del testamento di Agostino Chigi.
Nell'atto testamentario, stipulato il 28 agosto, nel giorno del suo matrimonio con Francesca Ordeasca, si parla infatti nuovamente della chiesa della Sughera: "et voluit quod Capella Sanctae Mariae Sugara sita prope alumerias Tulphae Sutrinae Diocesis similiter (ugualmente alla cappella descritta sopra) perficiatur intus et foris ipsius Testatoris expensis". 10 La cappella descritta cui si fa riferimento è quella di S. M. della Pace di proprietà dei Chigi. CUGNONI, 4 (1881), pp. 197 e seg. Il Chigi quindi, in esecuzione a quanto già concordato con gli agostiniani, obbliga gli esecutori testamentari a rispettare quanto stabilito liquidando le spese per i lavori eseguiti "intus et foris" la chiesa della Sughera.
Il documento inoltre dimostra che, a quella data, la chiesa della Sughera era ancora incompiuta e quanto ad Agostino stesse a cuore che fosse terminata. Il mercante senese morì infatti nella notte fra il 10 e l'11 aprile 1520 e quindi non poté vedere l'opera ultimata; lo testimonia un altro documento: il 5 ottobre 1520 11 MONTENOVESI, Agostino Chigi cit., pp. 14-15. infatti, in merito alle discordie nate tra gli eredi diretti e Francesco Tommasi socio del Chigi, compare tra i testimoni un tal "Alessandro fiorentino magister super fabbrica Sanctae Mariae de la Suvera Tulfae veteris". 12 Ibidem, p. 15.
Allora quando fu terminata la tribuna della chiesa? Le date che vengono proposte sono due: o il 1523 secondo quanto è riportato sulle due lapidi ai lati dell'ingresso del cappellone, 13 Una di queste due lapidi appare scalfita ed il Mignanti sottolinea come l'episodio sia probabilmente da attribuirsi ad un atto di ostilità contro la memoria del Chigi o contro la sua famiglia. L'autore inoltre attribuisce lo sfregio ad una famiglia di Siena. Cfr. MIGNANTI, Santuari cit., pp. 54- 57. Tra le famiglie di Siena una in particolare aveva avuto numerosi contatti con Agostino Chigi: gli Spanocchi. Questi, collaboratori ma anche antagonisti dei Chigi, nell'anno 1526 risultavano loro creditori. L'aspra disputa che però divise le due famiglie si deve far risalire a qualche anno prima poiché, alla morte di Antonio Spanocchi, l'amico più stretto di Agostino, con il quale per anni aveva collaborato, il Chigi si trovò ad operare sempre più da solo anche se gli Spanocchi rimasero sempre soci e fruitori degli utili dell'impresa. La lite culminò nel 1515 quando questi invocarono l'intervento del braccio secolare contro i vecchi amici: la decisione fu presa a favore degli Spanocchi ed i Chigi invocarono l'intervento di Siena per confiscare i loro beni. Cfr. CUGNONI, 1878, p. 211. ed anche come ci testimonia una relazione dei padri agostiniani risalente al 1650 dove si dice "fu fondata ed eretta la chiesa l'anno 1523", 14 AGA„ li 4, Relazioni economiche dei conventi della Provincia di Napoli, Puglia, tomo II, ff. 366 r e 367 r e v (La relazione è del 1650). Riproduzione del documento originale è in appendice IV. oppure il 1524 secondo la data apposta sul lato superiore del tabernacolo Terminata l'opera principale il 22 aprile 1522, su richiesta dei dirigenti delle fabbriche di allume di Monteroncone gli agostiniani concessero un terreno adiacente al cappellone per edificare una cappellina simile a quella più grande, intitolata a S. Antonio Abate, per permettere ai lavoratori dell'allume 15 La concessione ai cavatori di allume avvenne nel 1574 con decreto di Mons. Donato Stampa Vescovo di Sutri. Cfr. MIGNANTI, Santuari cit., p. 73. di edificare la loro parrocchia. 16 Vedi appendice II.
In seguito la stessa fu concessa ai Cavallari di Ussita che si occupavano principalmente del trasporto dell'allume. Questa nuova cappella fu terminata nel 1623 17 MANNINO, Il Santuario cit., p. 29, nota 17. e rimase al Sodalizio dei Cavallari fino al 1752, anno nel quale, essendo stata creata la parrocchia delle Allumiere, fu donata ai PP. Agostiniani. 18 MIGNANTI, Santuari cit., p. 75.
Proseguendo nella storia della chiesa, il Mignanti 19 Ibidem, p. 58. dice essere certo che chiunque sia stato l'architetto del cappellone ottagonale, abbia pure dato il disegno del tabernacolo o macchina d'altare dove venne custodito l'albero del ritrovamento.
Questo tabernacolo, ancora oggi, possiede una doppia funzione: il lato anteriore, con la presenza dell'effigie della Madonna, esprime il momento della preghiera, della cerimonia religiosa; il lato posteriore, con l'albero del ritrovamento, rappresenta il luogo davanti al quale sfilare in processione per rendere omaggio alla testimonianza dell'evento sovrannaturale. 20 MANNINO, Il Santuario cit., p. 32, nota 38.
Riguardo a questa costruzione però così come per il progetto del cappellone, la documentazione nuovamente presenta numerose lacune..
Nell'analisi della struttura con decorazione a grottesche, troviamo però attuata una realizzazione artistica tipica dei primi anni del Cinquecento. La consuetudine di dipingere animali con forte accentuazione fantastica era ricorrente nella pittura romana antica e, dopo che nel 1480 era stata scoperta la Domus Aurea, le pitture in essa contenute, erano state riprese da numerosi artisti. Narra il Vasari che, indottovi da Giovanni da Udine, Raffaello visitasse le rovine dell'antica Roma rimanendone particolarmente colpito. 21 D. GALLAVOTTI CAVALLERO, La decorazione a grottesche nella prima metà del '500, in "Oltre Raffaello", Roma 1984, p. 48.
Più tardi questi motivi furono ripresi da Baldassarre Peruzzi il cui campionario decorativo ricalcato su quello della Domus Aurea, tappezza il soffitto di un corridoio del primo piano della dimora Chigi alla Farnesina. 22 I critici però, per l'esecuzione materiale, non concordano sul nome del senese. Cfr. D. GALLAVOTTI-. CAVALLERO, La decorazione a grottesche cit., p. 49. Torna su
Gli intagli del tabernacolo della chiesa della Sughera realizzati su pietra concia locale legata da materiale resinoso rappresentano uccelli, candelabri, sfingi, delfini, lampade, maschere, fiori, frutti... Il Mignanti attribuisce l'opera a Baldassarre Perizi che, artista della cerchia del Chigi, non era nuovo a questo tipo di decorazioni.
Analogie stilistiche dell'opera si possono altresì riscontrare nell'edicola di Andrea Bregno in S. Maria della Quercia a Viterbo e nel portale della stessa chiesa opera di Bernardino da Viterbo, probabilmente lo stesso artista che compare nel contratto del 1508 per la chiesa della Sughera.
E' inoltre necessario dire che, secondo l'affermazione del Mignanti, due ali di muro collegavano questo sacello ai lati della tribuna e che contenevano dipinti con i miracoli attribuiti alla Madonna della Sughera. 23 MIGNANTI, Santuari cit., pp. 60 e seg. Il fatto che l'edicola sia elegantemente decorata a grottesche solo sulla parte anteriore e sia invece scompartita in riquadri dipinti sommariamente sui fianchi potrebbe far veramente pensare all'esistenza di questi muri divisori. 24 MANNINO, Santa Maria della Sughera cit., p. 66. Foto

b) Dalla "cappella Chigi" alla navata (1552- 1561)

Dopo i lavori di compimento del cappellone, non si sa più nulla sulla chiesa fino al 25 luglio 1552 anno in cui, nelle deliberazioni del Consiglio comunale di Tolfa 1 ASCT, Consigli 1552-1561, vol. 7, f. 23 r.. Vedi appendice V. si discute del fatto che nella chiesa della Sughera era stato commesso un omicidio (nel documento si parla di"caedes") e si macchiò il pavimento di sangue. La chiesa fu chiusa poiché non si poteva più celebrare la messa fino a che non fosse nuovamente consacrata. Infatti poco dopo la chiesa venne ribenedetta. 2 Il Mignanti afferma che l'allora vescovo di Sutri, Mons. Pietro Antonio de Angelis si occupò della riapertura. Nel desiderio di reperire quest'atto, le mie ricerche si sono indirizzate all'archivio di Sutri, ma del documento non ho trovato traccia. E' pur vero che l'archivio sta ora subendo una risistemazione a cura dell'archivista dott. Claudio Canonici il quale mi ha sostenuto nelle ricerche.
Un altro fatto che potrebbe avere causato più gravi conseguenzeè stato il sacco del 1557. Di questo atto vandalico si fa menzione nel documento del 1650 3 Vedi appendice IV. "...l'anno 1557 da Francesi e Guasconi fu dato il sacco
e brugiarono le s.cre (le sacre scritture) ". Anche in un altro documento del 1778 4 AGA, Notitie della religione agostiniana e della Provincia Romana di S. M.ro Tomaso Bonasoli figlio del convento di Anagni nel 1780, ff. 51-57. Riproduzione del documento originale in appendice VI.: "...nel 1557 fu dato il Sacco al Paese dai Francesi e Guasconi che bruciarono anche le scritture...".
Consultando tutti gli studiosi di storia locale, trovo che nessuno si è occupato nei dettagli di questa notizia. 5 I libri di storia narrano che il pontefice Paolo IV, in un periodo in cui il "nepotismo" era la consuetudine, aveva creato segretario di Stato il nipote Carlo Carafa. Fu lui ad acuire la tensione del papa con Ferdinando I e Filippo II e, prendendo spunto dalla cattura di due galere francesi nel porto di Civitavecchia da parte di Carlo Sforza, legato all'imperatore, fece credere allo zio che si stava organizzando una congiura contro di lui. Paolo IV d'altra parte si rivolgeva ai francesi ed agli spagnoli soprattutto per opportunità perché: "sono barbari tutti e due -diceva- e saria bene che stessero a casa loro..." Il 15 dicembre 1555 il papa firmava un trattato di alleanza militare con la Francia ma, nel momento in cui la Spagna entrò nello stato della Chiesa, l'esercito franco - pontificio non ottenne i successi sperati. Grazie alla mediazione di Venezia si arrivò poi ad un trattato di pace nel 1557. Questa storia però, generica, non ci dice nulla sulle vicende dei Monti della Tolfa che pure stando ai documenti subirono questo sacco proprio nell'anno della pace di Cave. Cfr. C. RENDINA, I Papi, storia e segreti, Roma 1987, p. 643, 644 Sta di fatto che la documentazione della chiesa e soprattutto l'archivio degli agostiniani, che annotavano con cura tutti gli eventi, sono andati perduti a causa di questo fatto. Da questo momento si comincia a parlare di crepe che si affacciavano sul cappellone.
Anche nell'archivio del comune di Tolfa ho analizzato le deliberazioni dal 10 gennaio al 16 dicembre 1557 (i consigli di tutto l'anno risultano 23), ma la comunità è impegnata in problemi di vita quotidiana con tasse da riscuotere e terreni da affittare senza che ci sia il . benché minimo accenno all'evento. Insomma appare un disinteresse generalizzato. 6 Riguardo al sacco compaiono notizie anche nella documentazione di S. Maria del Popolo poiché nell'anno 1556 si dice "Assedio degli Spagnuoli" ed ancora che in questa occasione furono demoliti chiesa e convento. Cfr. E. BENTIVOGLIO- S. VALTIERI, S. Maria del Popolo cit., p. 206.
Intanto sul cappellone le crepe diventavano sempre più vistose e l'anno seguente, come testimonia un documento datato 17 gennaio 1558, 7 ASCT, "Consigli 1552-1561", vol. 7, f. 17 v. Vedi appendice VII. alla riunione del Consiglio Segreto il Camerario evidenziò la necessità di porre qualche rimedio alla cupola di S. Maria della Sughera affinché non si rovinasse ulteriormente. Pochi mesi dopo (seduta del 3 luglio 1558), 8 Ibidem, f. 82 v. Vedi appendice VIII. lo stesso consiglio dona alla Sughera dieci ducati di carlini per la fabbrica della chiesa. Probabilmente in questo documento la "fabbrica" cui si fa riferimento è quella riguardante l'operazione di rimozione della cupola plumbea.
Finalmente il 5 marzo 1559, 9 Ibidem, f. 90 v. Vedi appendice IX. il problema della cupola che doveva essere ormai pericolante viene risolto poiché nella seduta consiliare "Venit littera a Generale Santi Augusti super reparatione cupule Sancte Marie de Subera". Si decretò che Paolo Borgonovo, Guglielmo Forsano e Bernardino de Rossi presiedessero ai lavori di riparazione.
Veniva rimossa quella cupola plumbea menzionata in una memoria anonima e senza data, probabile copia seicentesca del documento originale in cui è detto: "Agostino Chigi fabbricò la chiesa detta la Sughera presso Tolfa con una tribuna magnifica il cui ambito si estende a palmi 309 adornata di pietre lavorate e coperta tutta di piombo il quale pesò libbre 666899.:98..." 10 MANNINO, S.Maria della Sughera cit., p. 141.
Della cupola plumbea pure dà testimonianza padre Zenobi Simoni da Pescia, uno dei primi eremiti giunti a monte Senario a Cibona nel 1637. Si tratta di una lettera inviata a Papa Alessandro VII (Chigi) riguardante alcune notizie su Agostino suo antenato. L'eremita dice di aver trovato in uno dei muri della chiesa della Sughera un chiodo di bronzo ed aggiunge "si crede che fusse di quelli maggiori fissi nel tetto della Tribuna coperta di piombo...". 11 BALDINI, Nel nome di Maria cit., p. 5.
Per quel che riguarda le coperture di piombo, bisogna aggiungere che anche in S. Maria del Popolo venne attuato questo progetto con la differenza che l'elemento doveva dar lustro alla chiesa soprattutto per il fatto che le lastre di piombo all'interno dovevano essere rivestite di mosaici. 12 Fabbriche romane del primo Cinquecento, in "Fondazione Marco Besso", Roma 1984, p. 111.
Per la chiesa di Tolfa invece non si ha notizia di decorazioni musive e, se pure il Mignanti descrive con minuzia molte opere della chiesa oggi non più visibili, pure non accenna ad alcuna decorazione per la cupola. In ogni caso furono eseguiti i seguenti lavori: la cupola plumbea della cappella Chigi fu rimossa; furono murate le finestre e tolta la lanterna già prevista nella concessione dell'appalto del 1508 a Bernardino di Giovan Francesco da Viterbo.
Ma la decisione più importante fu quella di ampliare il complesso religioso. Con il ricavato dalla vendita del piombo, si unì al cappellone un'ampia chiesa con una navata capace di contenere la gran folla di fedeli che accorreva a venerare la Vergine. 13 MIGNANTI, Santari cit., p. 61. A questo punto la situazione progettuale del complesso religioso era così costituita: il cappellone Chigi, la cappellina di S. Antonio, la navata ed una parte del convento.
Nel descrivere i lavori della navata, il Mignanti nuovamente accenna al pronao antistante la chiesa, evidentemente abbattuto per unire i muri della navata al cappellone ottagonale. 14 Ibidem, p. 67.
Nella navata furono eretti dieci altari quattro da ciascun lato e due di prospetto alla porta d'ingresso. Il primo altare presso la porta a sinistra di chi entrava era dedicato al SS. Crocifisso; il secondo, a S. Lucia Vergine e Madre ed era qui che le fanciulle del paese celebravano la ricorrenza della festa della Santa; il terzo era intitolato a S. Tommaso da Villanova, arcivescovo di Valenza patronato della famiglia Pelagi; il quarto era intitolato a S. Giobbe patronato del comune; il Quinto, di prospetto alla porta d'ingresso, era in onore della Madonna SS. Della Cintura. Torna su
Dalla parte opposta, si vedeva dapprima l'altare di S. Nicola da Tolentino, veniva poi quello di S. Antonio Abate nella sua cappella ottagonale che era patronato della società dei cavallari di Ussita addetti al trasporto dell'allume; seguiva quello dedicato a S. Caterina Vergine e Madre dedicato alla famiglia Gatti; poi quello di S. Carlo Borromeo arcivescovo di Milano, ed infine, vicino alla porta, quello dei SS. Innocenti. 15 Ibidem, p. 67.
I problemi statici della cupola avevano inoltre reso necessari lavori di consolidamento, al lato nord si era dovuto addossare esternamente un rinfianco a scarpa che una data scolpita su di un concio di pietra fa risalire al 1560. 16 La data è ancora oggi visibile sul lato destro rispetto all'entrata della chiesa.
In un verbale dei consigli del Comune dell'11 giugno 1561, 17 ASCT, Consigli e proventi, vol. 7, f. 115 r. Vedi appendice X. si fa riferimento alla cappella del Chigi e quindi al cappellone ottagonale. Si propose che i frati del convento della Sughera fossero obbligati ad impiegare i loro beni per la fabbrica e la riparazione della cappella di Agostino Chigi poiché, mancando gli eredi di quello, era esclusivamente compito loro "cappellam dotare et defendere"a conferma dei patti stabiliti tra il Chigi e gli agostiniani..

d) Gli agostiniani nei Monti della Tolfa

Prima di arrivare alla completa decadenza dell'intero complesso religioso culminata nell'insurrezione dei tolfetani contro i francesi nel 1799 che comportò la perdita della prodigiosa immagine della Madonna ritrovata sull'albero di sughero, mi sembra opportuno cercare di ricostruire quale ruolo abbiano svolto gli Agostiniani nella vita di Tolfa e soprattutto da dove provenissero le rendite necessarie al loro sostentamento.
E' bene osservare che gli agostiniani ebbero una vita non certamente agiata, basata sostanzialmente sulle elemosine dei fedeli e sulle rendite del proprio fondo. Col passare del tempo essi acquisirono una serie di lasciti e donazioni di beni dai quali ottennero delle altre rendite. Tuttavia .per loro risultò sempre molto difficile gestire dal punto di vista economico il complesso religioso che necessitava spesso di interventi di restauro.
Bisogna premettere che accanto all'industria alluminifera, era esercitata a Tolfa anche l'agricoltura alla quale i tolfetani sono stati sempre molto legati rappresentando la loro maggiore forma di sussistenza.
Nel 1535, la Comunità disponeva di: 110 rubbia di vigneti; 600 capi di bestiame vaccino; 913 capre; 100 cavalli; 1900 capi di bestiame suino; circa 100 pecore; 34 aratri; 16 bufali e 26 vacche da latte. 1 BIANCHI, Storia dei Tolfetani cit., p. 275.
Nello stesso anno risulta che Tolfa contava circa 264 fuochi corrispondenti ad un numero complessivo di 1570 persone divisi in circa 1320 residenti e possidenti terrieri o di bestiame e circa 250 "forestieri". 2 MIGNANTI, Santuari cit., p. 35. F. Tron nello stesso anno dice invece che Tolfa contava 234 fuochi, 30 forestieri ed altre persone che non rientravano nella tassazione. In un secondo computo del 1656 si contavano 2881 persone. Cfr. F. TRON, I Monti della Tolfa nel Medioevo. Preliminari di ricerca storico- topografica, Roma 1982, p. 78.
Risulta oggi alquanto difficile valutare quale fosse dagli inizi del '500 l'estensione del territorio appartenente ai padri agostiniani della chiesa della Sughera. La questione è ancora più complessa se pensiamo che solo dopo il 1700 una commissione aveva provveduto ad un razionale riordino dei terreni, 3 BIANCHI, Storia dei Tolfetani cit., p. 313.mentre i catasti prima di questa data risultano del tutto approssimativi.
Unico riferimento che ho ritrovato riguardo alle proprietà della Sughera, risale ai primi del XVII secolo. Nell'archivio comunale infatti, nel volume con titolo "Catastro della Com.tà della Tolfa" e con data 1601, 4 ASCT, Catastro del sacro eremo di Cibona, vol. 22, f. 22 r. Vedi appendice XI. si trovano interessanti notizie sulla localizzazione del podere della chiesa.
Nel frontespizio del volume una graziosa figura inscritta in un cerchio porta l'iscrizione "Del Sacro Eremo di Cibona". Nel documento si trova la consuetudine di delimitare i confini delle terre segnandoli sul terreno oppure sugli alberi quando soprattutto non esisteva una recinzione che li delimitasse. 5 Spesso, sul territorio dei monti della Tolfa, si trovano dei cippi trachitici a delimitare territorio. Alcuni dí questi presentano scolpite delle lettere più ín particolare la "S" e la "M" per indicare il "Servizio Minerario" e quindi le zone delle miniere. Cfr. G. COLA- A. BERARDOZZI- M. GALIMBERTI, Lo sfruttamento cit., pp. 31- 32, nota 29.
Così recita il testo: "La Madonna della Sughera some cinque misurate nelle Cacafoglie 6 Il termine forse si riferisce ad un modo di misurare i terreni o forse al nome di un terreno. e li confini sono questi, cioè nel Campo Lavorativo sotto un cerro segnato e poi (si) tira su per la Collina come Aqua pende della Lavorativa per infino a Girolamo di Franceschetto e tira per detto confino insino alla Cerqua segnata del detto Gerolamo e volta giù ad un Poggiolo ad un mollicone di Cerqua 7 Forse si fa riferimento ad un albero tagliato di quercia di cui quindi è rimasta a terra una sola parte. segnata, e dà nel fossatello della Strada di detto Campo ad una Secara".
Indubbiamente il documento è molto importante ai fini della conoscenza delle proprietà della chiesa, ma al giorno d'oggi risulta difficoltoso stabilire la precisa ubicazione per la scomparsa degli antichi toponimi.
Probabilmente il documento fa riferimento al territorio attorno alla chiesa dove è ancora oggi presente un ruscello detto "il Pisciarello" che è probabilmente il corso d'acqua citato nel documento.
Ulteriori notizie sulle proprietà della chiesa provengono dagli atti relativi ad assegnazioni di terreni in affitto, oppure ad altri relativi alle compravendite stipulate dai padri agostiniani che mostrano come il territorio di proprietà dei padri si fosse ampliato nel corso degli anni.
Al 1712 risale un contratto di cessione di un terreno posto sopra "le Prata confinante con la Lama della Mola" concesso in enfiteusi a Francesco Luciani, 8 Ho ritrovato questi documenti "nell'archivio storico dei sotterranei della chiesa di S. Egidio"; i documenti che come ho già detto non hanno una collocazione, sono riprodotto integralmente in appendice e citati come: ASCSE, data del documento e numero di appendice.
L'enfiteuta aveva l'obbligo di pagare annualmente al convento una pigione ed in più a cedere parte del raccolto. ASCSE, 20 luglio 1712 nella Tolfa. Vedi appendice XII.
al 1718 si fa menzione di due stalle alla "Costa", 9 ASCSE, 10 ottobre 1718. Vedi appendice XIII.al 1719 di 3 "rubbie" di terre poste "all'Albergante", 10 ASCSE, 28 marzo 1719. Vedi appendice XIV. al 1728 un tal Giuseppe Valentini riceve "a pigione" 4 stanze poste nella "contrada delle Botteghe", 11 Il signor "Giuseppe Valentini riceve a pigione 4 stanze ad uso di spezieria per tre anni.e si obbliga a pagare scudi cinque l'anno" ASCSE, 1° febbraio 1728 nella Tolfa. Vedi appendice XV. al 1731 si dice di una casa in "contrada la Piazza", 12 I periti deputati nel riconoscere la casa ereditata dal signor Stefano Celli, attestano di averla trovata in pessime condizioni:" la porta...è tutta sfasciata...la scala di legno che va in sala non è più abile a potervi salire per essere il legname tutto fradicio...il mattonato tanto della scala che delle due stanze è tutto rovinato e smattonato...". ASCSE, 13 novembre 1731. Vedi appendice XVI. al 1766 di un terreno in "Pian Cisterna", 13 "La signora Giannetta Borghese qui presente accettante sotto croce segnato, s'obbliga a sementare in quest'anno...un terreno spettante a questo convento...situato in Pian Cisterne...promettendo di dare al convento terratico.." ASCSE, 29 settembre 1765. Vedi appendice XVII. al 1768 di una stalla alla"Ripa". 14 Antonio Rossetti si obbliga a pagare "di annua pigione scudi uno e baiochi sessanta moneta" nelle mani di un preposto del convento. ASCSE, 30 aprile 1768. Vedi appendice XVIII. al 1768 di una vigna alla "Tolficciola", 15 La vigna, concessa al signor Tomasso Bentivoglio sarà concessa l'anno seguente ad un tal Franco Rossi avendo il primo lasciatola andare "in secco". ASCSE, 16 settembre 1768. Vedi appendice XIX. al 1782 di un prato posto nella "contrada delle Prata", 16 ASCSE, 9 giugno 1782. Vedi appendice XX. al 1783 di un terreno posto in "contrada la Sugara" 17 "Io sottoscritto perito eletto dalli RR. PP. Agostiniani di questa terra...per riconosciere, misurare e stimare un terreno ristretto, che ritengano ad Olivello li suddetti eredi Cerquafogrossa, spettante alli suddetti RR. PP. Agostiniani, posto in contrada la Sugra" ASCSE, 18 febbraio 1783. Vedi appendice XXI. e di un terreno "al Marano", 18 ASCSE, 17 luglio 1783. Vedi appendice XXII. al 1801 di una casa posta in "contrada La Lizzara". 19 "11 convento e PP. Agostiniani della Madonna SS.ma della Sughera... da, loca, da a piggione, a Francesco Moretti illitterato, qui presente, e sotto croce segnato, una casa, posta in contrada La Lizzara, spettante al suddetto Convento... con pagare di annua pigione scudi tre e baiocchi quaranta moneta...". ASCSE, 8 marzo  1797. Vedi appendice XXIII.
A differenza del documento del documento del 1601, in questi casi si possono riconoscere quasi tutti i toponimi ad eccezione delle"Albergante", oggi scomparso.
Molti dei luoghi menzionati fanno oggi parte integrante dell'abitato di Tolfa come "la Costa" ancora chiamata in questo modo, oppure "la contrada delle Botteghe" oggi via A. Caro; altri toponimi invece si riferiscono a zone agricole poco distanti dal paese come " il Marano", oppure "Pian Cisterna".
Così come la comunità, anche gli ordini religiosi e laici basavano la propria economia sull'agricoltura; avendo inoltre molti terreni di proprietà, si occupavano di concederli in locazione oppure di assegnarli"in enfiteusi" ricavando a loro volta o un affitto, oppure parte del raccolto. 20 Le principali forme contrattuali nei documenti che ho analizzato, sono fondamentalmente due: contratti di locazione e contratti di enfiteusi. il primo riguarda soprattutto, nel nostro caso, i beni immobili, il secondo invece concerne soprattutto la cessione di terreni agricoli. Una volta infatti stabilito il valore di un terreno, l'enfiteuta ha l'obbligo di migliorare il fondo concessogli nonché di pagare un canone periodico consistente il più delle volte in una definita quantità di prodotti naturali. Questi fondi solitamente si tramandavano di padre in figlio e talvolta erano affrancati dall'enfiteuta stesso. Torna su
Questi inoltre possedevano proprietà immobiliari che gli fruttavano altre rendite.
Dall'analisi dei documenti risulta che gli agostiniani avessero molte proprietà, ma è pur vero che per questi era molto difficile di volta in volta riscuoterne tributo. Tra le cause inoltre frequenti sono anche quelle relative alle discussioni di eredità, eredità che talvolta venivano lasciate al convento, ma che altre volte erano invece reclamate dagli eredi diretti. 21 Per quanto riguarda le eredità trovo al 3 ottobre 1782 che un tal Giancarlo Poleggi cedeva i suoi beni al convento della Sughera a patto però che lo stesso si occupasse che di pagare i suoi debiti. ASCSE, 3 ottobre 1780. Vedi appendice XXIV. anche
Le condizioni economiche della chiesa e del convento della Sughera risultano allora alquanto precarie se, come ho già detto, la confraternita col titolo di Beatissima Vergine, S. Agostino e S. Monica proprio per le instabili condizioni economiche, fu incorporata nel 1739 nell'altra dell'Umiltà e della Misericordia detta anche del Crocifisso e S. Giovanni Decollato. Nelle varie cause analizzate, costante è infatti il timore dell'Ordine di non riscuotere quanto richiesto.
E, poiché le cause si erano fatte tanto frequenti, in data 13 ottobre 1782 22 ASCSE, /3 settembre 1782. Vedi appendice XXV. il priore e i padri affermano che "essi avrebbero da promuovere varie cause civili...Per sfuggire il tribunale laico pregano" il vicario generale di intervenire nelle cause di qualunque titolo al fine di accelerare i tempi.

d) Le successive opere e vicende della chiesa (1552-1798)

Le precarie condizioni economiche degli agostiniani tuttavia sono riscontrabili già dalla fine del XVI secolo.
Nelle deliberazioni del consiglio comunale 1 Il Consiglio Generale era la principale istituzione cittadina e, costituito per due parti da uomini della Tolfa, si componeva del Camerlengo, di due officiali e del Consiglio Segreto. Tra i suoi compiti vi erano quelli di fissare i capitoli dei mercati e i prezzi delle derrate alimentari oltre che quelli di amministrare la giustizia. Cfr. BIANCHI, Storia dei Tolfetani cit., p. 337. di Tolfa posteriori al 1560 ho ritrovato numerose richieste dei padri per opere attinenti alla chiesa ed al convento.
Ho già evidenziato come, dopo la morte del Chigi, fosse loro il compito di provvedere ai lavori per il complesso religioso, tuttavia il fatto che l'Ordine facesse sempre più spesso richieste al Comune giustifica probabilmente il fatto che lo stesso più tardi divenisse proprietario della struttura. Già nel citato documento del 1522, 2 ASCI, Consigli e proventi 1552-1562, vol. 7, f. 7. Vedi appendice II.
riguardante la cessione di quella che poi sarà la cappella dei minatori, è ancora un padre agostiniano Gabriele Veneto a sancire l'accordo ma, nello stesso documento, trovo anche l'intervento del comune di Tolfa che, prestando il proprio consenso, già reclamava i suoi diritti sulla proprietà della chiesa.
Richieste sempre più pressanti erano già iniziate nel 1552, 3 ASCT, Consigli e proventi 1552- 1561, vol. 7, f. 31 r.. Vedi appendice V. nel documento già citato, nel quale ai padri vengono promessi "decem ducati" per la fabbrica della cisterna del convento di "dicta eclesia", ducati che probabilmente non furono dati oppure non risultarono sufficienti se in un altro documento dell'8 settembre 1553: 4 Ibidem, ff. 22 r e v. Vedi appendice XXVI. "Frater Gregorius prior Madonne de Subera postulat ab hac Comunitate Auxilium ex causa faciendi cisternam per dicto convento".
Il 26 febbraio 1558, 5 Ibidem, f. 79 r.. Vedi appendice XXVII. sono ancora necessari lavori per la chiesa: l'orologio nel torrione deve essere accomodato.
Il 23 ottobre 1560, 6 Ibidem, ff. 112 r e v. Vedi appendice XXVIII. al consiglio viene chiesto aiuto per la campana e l'orologio. Nella stessa seduta furono donati sessanta scudi per la fabbrica del campanile al quale si accedeva anche dal piano terra del convento.
Nel consiglio del 14 settembre 1582 7 ASCT, Consigli e proventi cit., vol. 15, f. 34 r.. Vedi appendice XXIX. "li reverendi Padri della Sudera supplicano alla comunità nostra darli qualche elemosina per pagare gli organi che dicono voler comprare per la loro Chiesa".
Nella seduta del 2 ottobre 1582 i padri chiedono ancora un contributo per l'organo 8 ASCT, Consigli 1581-1588, vol. 16, ff. 29 v, 30 r e v. Vedi appendice XXX. ed un salario a chi lo avrebbe suonato. Si decide di dare ai frati 40 scudi "si come si è dato alla chiesa di S.to Egidio, e quando non ci sijno danari che si gli facci qualche assignamento". Nello stesso consiglio un tal "Themocrates" propone che "alli detti frati della Madonna si gli dijno per gli organi scudi 30 delle prime fide che si faranno di bestie".
Nella seduta consiliare del 9 novembre 1603, 9 ASCT, Consigli ed Istromenti 1601-1608, vol. 24, ff. 37 v, 38 r. Vedi appendice XXXI. si fa ancora riferimento agli organi. Ai frati della Madonna si devono ancora dare 42 scudi circa per lo stagno ed il piombo dei suddetti organi. Nel consiglioè altresì espresso il desiderio che si faccia l'assegnazione per terminarli poiché saranno da ornamento alla chiesa. Al 1613 10 ASCT, Consigli Bandimenti ed Istromenti 1613-1617, vol. 31, f. 24 r.. Vedi appendice XXXII. risale una nuova richiesta di 25 scudi da parte degli agostiniani per la porta della chiesa.
Proprio a fronte di queste richieste, già prima del 1583 11 MIGNANTI, Santuari cit., p. 70 il comune eresse la cappella di S. Giobbe che è stata ed è tuttora sotto il suo patronato. Nel 1610 inoltre è lo stesso comune a provvedere ad una parte delle spese per l'edificazione della cappella di S. Nicola. 12 ASCT, Consigli e Proventi 1598 1612, vol. 21, f. 45 r. Vedi appendice XXXIII.
In ogni caso il complesso della Sughera fu acquisito dal Regio Demanio solo nel 1873, mentre le trattative per la cessione al Comune di Tolfa, iniziate nel 1875, furono definite soltanto nel 1892. Dopo questa data agli agostiniani rimase l'incarico di officiare la messa mentre il Comune provvedeva ad una donazione di 150 lire annue. Divenuta però insufficiente la cifra erogata dal Comune, l'ultimo agostiniano abbandonò la chiesa nell'agosto del 1921. 13 MANNINO, Santa Maria della Sughera cit., p. 39.
Sul finire del XVIII secolo due relazioni delle visite pastorali non apportano ulteriori novità sullo stato della chiesa e del convento 14 ADS, Fondo Vescovi, Visita Pastorale Savo Mellini 1695, f. 55 r (Appendice XXXIV); Fondo Vescovi, Visita Pastorale Savo Mellíni 1697, f. 60 r. (Appendice XXXV) tranne per il fatto che si parla dell'oratorio con la "Societas" della B. V. Maria. 15 Infatti dopo che fu eretta la chiesa, si formò una confraternita col titolo della Beatissima Vergine, S. Agostino e S. Monica. Tale sodalizio, soppresso nel 1739 ed incorporato nell'altro di Tolfa detto dell'Umiltà e Misericordia o anche del Crocifisso e di S. Giovanni Decollato, era- più noto con il nome di S. Agostino. Cfr. F. M. MIGNANTI, Santuari cit., p. 83.
Per quel che riguarda il secolo successivo, da documenti inediti reperiti presso le catacombe di S. Egidio, ho trovato le spese per altri lavori. Un tal Costantino Marazzi che nel 1765, intentando una causa contro il reverendo padre della Sughera, richiede il pagamento della prestazione riguardante oltre che opere per la chiesa ed il convento, anche per le proprietà degli agostiniani. Per quanto riguarda le opere attinenti alla chiesa trovo la riparazione di una "scalinata al altaro della madonna che era di santo agostino in grada" 16 ASCSE, "Costo dei lavori fatti a reverende padre della Sudera nell'anno 1765". Vedi appendice XXXVI. per un importo di 20 scudi.
Un anno dopo è sempre lo stesso artigiano a reclamare che gli vengano pagati altri lavori per un totale di scudi 4.45. 17 ASCSE, "Lavori fatti per la Madonna della Sudera dell'anno 1766". Vedi appendice XXXVII. Per la chiesa risultano le riparazioni di due finestre nella "Cappella del Santissimo".
Una descrizione più dettagliata della situazione della chiesa e del convento è invece riportata nella relazione della Visita Apostolica del 1774. 18 ADS, Fondo Vescovi, Visita Apostolica Panphili 1774, Vescovi 173, ff. 51-57. Vedi appendice )(XXVIII. La descrizione degli altari rivela uno stato di totale abbandono: nella cappella del SS. Sacramento (intitolata poi a S. Nicola da Tolentino patronato della famiglia Bonizi), le ostie dovevano essere rinnovate più spesso, nell'altare della Beata Vergine della Cintura la tela dipinta doveva essere riparata, in quello di S. Caterina la Sacra Immagine restaurata, la statua di S. Antonio Abate fu travata indecorosa per forma e vecchiezza, la Sacra Icona dell'altare di S. Agostino doveva essere riparata, l'altare di S. Tommaso da Villanova ripulito dalle tele di ragno.
La decadenza del cenobio degli agostiniani è riscontrabile in una relazione posteriore al 1778 di Tommaso Bonasoli 19 AGA, Notitie della feligione agostiniana e della Provincia Romana di S. M.ro Tomaso Bonasoli figlio del convento di Anagni nel 1780, ff. 456-457. Vedi appendice VI. che evidenzia come le entrate del convento che nel 1652 ammontava a 1108 scudi, nel 1717, fossero diminuite a soli 500 scudi.

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