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Studio su Tolfa di Paolo Macedone
 

6. USO DELLE RISORSE E DEL SUOLO

6.1 INTRODUZIONE

La “Carta dell’uso del suolo ad orientamento agricolo e forestale”, redatta secondo gli standard del progetto Corine Land Cover, ha interessato una superficie complessiva di 11.634 ha, leggermente più ampia della zona individuata dal confine della ZPS di 10.633, 6 ha.
Ad un primo inquadramento generale emerge chiaramente che i caratteri del territorio sono in primo luogo contrassegnati dalla grande diffusione delle formazioni naturali e seminaturali che coprono la gran parte del territorio. Come è possibile osservare dal grafico riportato in figura 1, che riassume i principali usi del suolo, nella zona indagata le formazioni boscate e gli ambienti seminaturali interessano circa il 78% della superficie, per un’estensione complessiva di circa 9.000 ha. La restante parte del territorio è quasi interamente occupata dalle colture agrarie, che con circa 2.300 ha ricoprono il 21% della superficie. Gli altri usi del suolo, come si vedrà di seguito in dettaglio, rivestono un interesse molto limitato anche perché posti generalmente ai margini della ZPS.

Figura 1 Ripartizione della superfcie secondo il 1° livello della classificazione Corine Land Cover

Le zone urbane di tipo residenziale sono quelle interessate da edifici adibiti in prevalenza ad abitazione, ed occupano una superficie di 101,6 ha, ossia meno dell’1% rispetto all’area totale del comprensorio. Tra le zone urbanizzate le più diffuse sono quelle a tessuto discontinuo ed in particolare aziende agricole, casali, cascine e masserie e case sparse che si estendono rispettivamente per 40,4 ha e 31,6 ha. Le zone urbanizzate a tessuto urbano continuo rappresentano solo il 5,5% della superficie con 5,6 ha, sono per lo più dislocate al di fuori del confine della ZPS, nella fascia prospiciente l’abitato di Santa Marinella.
Le zone industriali, commerciali ed infrastrutturali sono anch’esse piuttosto esigue, 52,7 ha di cui ben 31,9 ha sono rappresentati dall’autostrada A12, che corre parallela alla costa per circa 10 Km.

6.3 TERRITORI AGRICOLI (ha 2.391)
Seminativi semplici si sviluppano per 1785,6 ha e rappresentano così oltre il 15% del totale; queste

Figura 2: Ripartizione dei territori agricoli nei diversi usi del suolo

 

colture erbacee (prevalentemente grano e frumento), soggette all’avvicendamento, sono distribuite su tutta l’area del comprensorio anche se è possibile osservarne una maggiore diffusione nella zona pianeggiante posta ai piedi delle colline e prossima alla costa, dove vaste superfici coltivate sono intervallate a boschi e macchie; internamente, invece, i seminativi sono raggruppati in due grandi complessi localizzati a Nord del Monte Cucchetto e nella valle Cardosa.
Nelle colture orto-floro-vivaistiche sono stati inclusi tutti i terreni coltivati al di fuori del normale avvicendamento, ed adibiti ad orti, a serre e vivai. Vi sono rientrate tutte le colture effettuate in ambienti artificiali (serre tunnel ecc.) che garantiscono speciali condizioni di clima. Si riscontrano esclusivamente nella zona sud dell’area di indagine in prossimità della costa, ove è più diretta l’azione mitigante del mare.
Le colture permanenti sono poco diffuse in tutto il territorio in esame e sono rappresentate quasi esclusivamente da oliveti coltivati in piccoli appezzamenti sulle prime pendici collinari che si affacciano al mare; frutteti e vigneti hanno un’importanza del tutto marginale, la loro diffusione è limitata a pochi impianti di modeste dimensioni.
I prati e i prato-pascoli avvicendati sono ubicati nella parte centrale ed interna con appezzamenti continui di alcune decine di ettari. Sono state incluse in questa categoria tutte le colture foraggiere avvicendate (erbai), che occupano il terreno al massimo per un’annata agraria, i prati costituiti da coltivazioni foraggiere erbacee in avvicendamento per più annate agrarie consecutive ed i pascoli regolarmente sfalciati e sottoposti a pratiche agronomiche regolari. È questo un tipo di coltura strettamente connesso alle aziende agrarie con orientamento zootecnico, più diffuse nel settore centrosettentrionale dell’area d’indagine.
Le aree agricole eterogenee, coprono una superficie complessiva di 249 ha; sono concentrate a Nord di Santa Marinella dove piccoli campi coltivati si alternano a tratti boscati segnando il passaggio tra la zona più intensamente coltivata a quella in cui prevalgono le formazioni naturali e seminaturali.

 

 

Figura 3: Ripartizione dei territori boscati e degli ambienti seminaturali nei diversi tipi di formazioni

 

6.4 TERRITORI BOSCATI ED AMBIENTI SEMINATURALI

Le superfici forestali sono costituite esclusivamente da formazioni a prevalenza di latifoglie e coprono buona parte dell’area centrale e settentrionale del comprensorio, rappresentando, così, anche in termini di estensione, la forma di uso del suolo: più estesa è la cerreta termoigrofila mediterranea, che copre 4111,5 ha di territorio, pari a circa il 77% della superficie forestale totale. Questa formazione, presente nelle fasce altimetriche maggiori, e su suoli profondi e freschi, è distribuita principalmente nella parte orientale del comprensorio (Macchia del Quartaccio, Monteianni, Riserva Pozzo di Ferro, M. Acqua Tosta), in quella più settentrionale (M. La Roccaccia, M. Graziola) e ad Ovest nella zona del M. Cucco. Il piano arboreo è composto da cerro associato a frassino meridionale, acero campestre, acero trilobo, olmo campestre, carpino nero e nelle stazioni più fresche di fondovalle anche da carpino bianco. Nel piano arbustivo le specie più diffuse sono, invece, biancospino, ligustro, fillirea ed in qualche tratto albero di giuda e carpinello (vedere cap. 3). Si tratta prevalentemente di boschi governati a ceduo matricinato o a ceduo composto, in cui il cerro ed eventuali altre querce associate costituiscono la riserva di matricine. Anche se la copertura delle chiome è generalmente colma e la statura dei popolamenti piuttosto elevata (non di rado gli alberi più grandi superano i 20 m di altezza) la densità delle ceppaie, in particolare di quelle quercine, è spesso rada, probabilmente a causa di un eccessivo carico di pascolo praticato in questa zona sin da tempi antichissimi.
Ad un primo inquadramento, che per altro esula dalle finalità di questo lavoro, questo tipo di bosco presenta molte affinità soprattutto nella composizione dendrologica con il Fraxino oxycarpae-Quercetum cerridis Foggi e Selvi, 1997 e con l’Asparago tenuifolii-Quercetum orientali Scoppola e Filesi, 1995, descritti rispettivamente per i boschi planiziari della Val di Cecina nella Toscana occidentale e per quelli della vicina riserva di Monte Rufeno.
La seconda tipologia boschiva più diffusa è la lecceta a viburno, che ricopre una superficie complessiva di 822,2 ha, pari al 15% del totale, accorpati nella parte Sud-Est dell’Area, nelle zone di Mt. Rosso, Mt. Fagiolano e Mt. Grande. Queste formazioni consistono in soprassuoli a netta prevalenza di leccio con viburno, filliree e lentisco nel piano arbustivo, a cui più sporadicamente si associano anche l’alaterno, l’alloro e più raramente il mirto. Nella compagine arborea in corrispondenza di stazioni più fresche si riscontrano la roverella, l’orniello, l’acero trilobo ed il frassino ossifillo. Anche per i boschi a prevalenza di leccio la forma di governo adottata è quella a ceduo matricinato ma con turni di utilizzazione più lunghi rispetto alla cerreta. Questa forma di utilizzazione ha dato luogo, laddove la fertilità è molto ridotta, a boscaglie molto dense in cui spesso la fillirea diviene la specie dominante.
Tra le altre tipologie di boschi presenti predominano in termini di superficie i boschi e le boscaglie di acero campestre e acero trilobo (Acer monospessulanum), formazioni xerofile ubicate su suoli calcarei, dove, nel piano arboreo, oltre agli aceri incontriamo cerro, roverella e albero di Giuda, quest’ultimo generalmente relegato alle stazioni più calde poste a contatto con la foresta mediterranea. La distribuzione di questi boschi è più diffusa nella parte centro-settentrionale del comprensorio con superfici continue di estensione media pari a 20-30 ettari; il nucleo più grande risulta quello del versante occidentale del Poggio Lascone (circa 70 ha). Con molta probabilità la diffusione dell’acero trilobo, che sembra essere in relazione a comunità rupicole o di vetta nell’ambito della cerreta, deve essere messa in relazione con l’azione del pascolo che ha favorito nelle stazioni più difficili le specie meno esigenti e dotate di una maggiore facoltà pollonifera.
Le formazioni forestali rimanenti sono il querceto di roverella (86,9 ha) ed il pioppo-olmeto ripariale (75,6 ha). I primi sono boschi termoeliofili, governati a ceduo matricinato dominati dalla roverella con buona partecipazione di sclerofille sempreverdi negli strati arborei dominati, e nello strato arbustivo. Si tratta di piccoli nuclei ubicati prevalentemente sulla sinistra orografica del fosso di Castelsecco, tra il Poggio Alto e il mare, ove segnano la zona di transizione tra foresta caducifoglia e vegetazione sempreverde. Con ogni probabilità (come dimostra l’esiguità e la frammentarietà di queste formazioni) si tratta di un tipo di cenosi forestale secondaria costituitasi in seguito alla degradazione della lecceta, che la roverella tende a colonizzare.
I secondi, invece, consistono in formazioni ripariali di specie igrofile (pioppo bianco, pioppo nero, ontano nero e salice) localizzate lungo i principali rii (F.so Marangone, F.so Castelsecco e Rio Fiume). I popolamenti più interessanti si riscontrano soprattutto lungo il corso inferiore del fosso Marangone e del Rio Fiume, in corrispondenza degli aspetti più termofili di questa formazione che vede, oltre ad una più cospicua partecipazione del frassino ossifillo, la presenza di frammenti di vegetazione a tamerice africana (Tamarix africana).

Le zone caratterizzate da vegetazione arbustiva ed erbacea coprono circa un terzo della superficie totale del comprensorio meridionale dei Monti della Tolfa; si tratta sia di terreni incolti e praterie secondarie con arbusti e cespugli decidui, semidecidui o sempreverdi sia di cespuglieti ed arbusteti veri e propri.
Le praterie aride calcaree sono diffuse soprattutto sul lato occidentale della zona d’indagine, vasti appezzamenti di queste formazioni si riscontrano nelle località di Prato Cipolloso, Maggiorana, Valle Cardosa. Si tratta di praterie xeriche pseudosteppiche, discontinue, costituite prevalentemente da terofite, insediatesi in seguito alla distruzione della vegetazione forestale. Sovente sono in fase di colonizzazione da parte delle specie dei pruneti e dei ginestreti che colonizzano indifferentemente i pascoli ottenuti sia dalla distruzione della foresta mediterranea sia di alcuni aspetti della foresta di caducifoglie.
I pruneti, con 1719,2 ha di superficie pari al 15% del totale, sono una formazione molto estesa e probabilmente, per quanto precedentemente accennato, anche in espansione. Sono costituiti prevalentemente da prugnolo, biancospino, pero mandorlino e talvolta anche da Paliurus. Queste specie, che sovente si trovano associate, possono talora dar luogo anche a piccoli popolamenti monospecifici. Sono localizzati prevalentemente nella parte centrale ed interna della zona d’indagine, sia sotto forma di piccole superfici frammentate e discontinue, sia formando vasti complessi continui ed uniformi che possono raggiungere anche i 200-250 ha di superficie.
La distribuzione dei ginestreti è invece circoscritta a pochi nuclei ubicati in stazioni più xeriche rispetto alle precedenti dei pruneti e generalmente ubicate al margine di aree pascolate o al bordo delle radure dei querceti più termofili. Occupano una superficie di circa 77 ettari pari a poco meno dell’1% del totale.
Nella zona d’indagine la macchia a fillirea e lentisco è diffusa quasi esclusivamente nel settore sud- occidentale. In particolare sui primi rilievi a nord di S. Marinella si riscontra la quasi totalità dei 403,5 ha di macchia rilevati nell’intero territorio studiato. Se per quanto riguarda pruneti e ginestreti si trattava prevalentemente di arbusteti di invasioni, in questo caso si tratta per lo più di macchie secondarie residuali che derivano dalla degradazione della foresta mediterranea. Sono formazioni a prevalenza di fillirea e lentisco a cui sovente si associano l’albero di Giuda il viburno e nelle stazioni più calde l’alaterno, l’olivo selvatico, e la ginestra spinosa.

6.5 CORPI IDRICI (ha 11)

Sono stati classificati come torrenti soltanto i corsi d’acqua di una certa dimensione, più grandi dell’unità minima cartografabile, come il tratto finale del Rio Fiume ed una piccola porzione di mare inclusa nel perimetro della ZPS.

Tabella 1 Ripartizione della superficie nelle diverse classi di uso del suolo (codice Corine)

11 Zone urbanizzate di tipo residenziale  
111 Zone residenziali a tessuto continuo 5,6  
112 Zone residenziali a tessuto discontinuo e rado  
1121 Case sparse 31,6
1122 Borghi e villaggi 24,0
1123 Aziende agricole e annessi, casali, cascine e masserie 40,4
12 Zone industriali, commerciali ed infrastrutturali  
121 Aree industriali, commerciali e dei servizi pubblici e privati 18,0
122 Reti stradali, ferroviarie, opere d’arte e infrastrutture tecniche  
1221 Linee ferroviarie e spazi associati  
12212 Ferrovie a due binari 1,7
1222 Viabilità stradale e sue pertinenze  
12221 Autostrade, caselli e raccordi autostradali 31,9
12222 Strade statali 1,1
13 Zone estrattive  
131 Aree estrattive 4,4
14 Zone verdi  
142 Aree ricreative e sportive 6,0
21 Seminativi  
211 Seminativi in aree non irrigue  
2111 Colture intensive  
21113 Colture orto-floro-vivaistiche 73,1
21121 Seminativi semplici 1785,6
22 Colture permanenti  
221 Vigneti 5,0
222 Frutteti 3,5
223 Oliveti.
52,5
23 Prati stabili (foraggiere artificiali)  
231 Prati e prati-pascoli avvicendati 221,7
24 Zone agricole eterogenee  
241 Colture temporanee associate a colture permanenti. 8,0
242 Sistemi colturali e particellari complessi. 80,6
243 Aree prevalentemente occupate da colture agrarie con presenza di spazi naturali importanti. 154,5
244 Aree agroforestali 6,5
31 Zone boscate con identificazione del grado di copertura  
311 Boschi di latifoglie  
3111 Bosco di Leccio  
31111 Lecceta a Viburno 822,2
3112 Bosco di querce caducifoglie  
31122 Querceto di Roverella 86,9
31124 Cerreta termoigrofila mediterranea 4111,5
3113 Bosco di latifoglie mesofile (Acero-Frassino, Carpino nero e Ornello)  
31131 Boschi e boscaglie di Acero campestre e Acero trilobo 250,8
3116 Bosco di specie igrofile  
31163 Pioppo olmeto ripariale 75,6
32 Zone caratterizzate da vegetazione arbustiva e erbacea  
321 Prati-pascoli naturali e praterie  
3211 Praterie aride calcaree 1520,0
322 Brughiere e cespuglieti  
3222 Arbusteti termofili
 
32222 Pruneti 1719,2
3223 Arbusteti xerofili  
32231 Ginestreto 77,3
323 Aree a vegetazione sclerofilla  
3231 Macchia  
32311 Macchia a Fillirea e Lentisco 403,5
33 Zone aperte con vegetazione rada o assente  
333 Aree con vegetazione rada 0,8
51 Acque continentali  
5112 Torrenti 8,3
52 Acque marittime  
523 Mari 2,5

7. IL TERRITORIO ADIACENTE

Il territorio adiacente alla ZPS “Comprensorio meridionale dei Monti della Tolfa” consiste essenzialmente nel più ampio comprensorio tolfetano-cerite, i cui limiti sono stati suggeriti più volte da vari Autori in maniera differente. La definizione più ampia è quella proposta da Contoli et al. (1975) secondo i quali i limiti del vasto comprensorio sono individuabili in questo modo: a nord e nordest dal bacino del fiume Mignone; ad est dalla Strada Statale Braccianese-Claudia tra Veiano e Manziana e dalla Strada Provinciale Manziana-Furbara; a sud e ad ovest dalla Strada Statale Aurelia, tra Furbara e la foce del fiume Mignone.
L’intero complesso collinare ha un’estensione di circa 70-80.000 ettari, situati tra la Maremma, che vi rientra in piccola parte, i Monti Cimini, il lago di Bracciano ed il mare, e include 13 comuni, di cui due per intero (Tolfa ed Allumiere) e gli altri dieci marginalmente: Civitavecchia, S.Marinella, Cerveteri, Manziana, Canale Monterano, Oriolo Romano, Veiano (inclusa la frazione Civitella Cesi), Barbarano, Blera, Monteromano, Tarquinia. Si estende dunque sia nella provincia di Roma sia in quella di Viterbo.
I più alti rilievi, situati più che altro nell’acrocoro centrale, lungo la linea congiungente Monte Acqua Tosta a Tolfa ed Allumiere, superano di poco i 600 m s.l.m. (Monte Urbano, 633 m), ma nel complesso il comprensorio presenta un paesaggio molto vario, soprattutto se confrontato con altre aree dell’Antiappennino centrale. Oltre alla geomorfologia collinare dolce, caratterizzante quasi l’intera ZPS con affioramenti e depositi sedimentari, le litologie affioranti nel resto del comprensorio sono molto varie e frammentate. Le vicende tettoniche hanno inoltre piegato e più volte innalzato le primitive morfologie.
Le aree a morfologia più aspra si ritrovano sui rilievi maggiori: si tratta di affioramenti di vulcaniti antiche (le trachiti) che formano innanzittutto l’acrocoro tolfetano (di cui il M. Acqua Tosta e il M. la Tolfaccia, inseriti nella ZPS, fanno parte); quindi la zona di Sasso (Monte Santo, 430 m) e quella di Canale Monterano (M. Calvario, 545 m).
Lungo l’area a est e nordest, i prodotti del vulcanesimo sabatino e di Vico formano un paesaggio tabulare, talora profondamente inciso dai corsi d’acqua con tipologia a canyons.
Si può individuare un’antica linea di costa a quota 38-48 m s.l.m., attraverso i depositi del Quaternario marino, oggi situata a varia distanza dalla costa attuale ed estendentesi massimamente in profondità all’altezza della foce del Fiume Mignone.
L’ampio comprensorio presenta anche una notevole variabilità climatica. Il minimo delle precipitazioni annue (720 mm) si riscontra nella località La Farnesiana (maremma laziale), mentre all’interno (Allumiere, stazione che rientra nel clima mediterraneo-umido) si registrano valori attarno ai 1000 mm. La fascia a bioclima mediterraneo si amplia verso nord, nelle aree più depresse; mentre il resto del comprensorio interno rientra nel bioclima temperato.
Il Fiume Mignone, che segna profondamente i confini settentrionali del comprensorio, è l’unico corso d’acqua in cui si possano rilevare segni di alluvionamento. La maggior parte dei corsi d’acqua appartiene al bacino idrografico di questo fiume. Cataudella (1977) afferma che le acque del Mignone presentano ancora un notevole grado di purezza, almeno per i primi due terzi del suo corso, conservando così ancora gran parte delle caratteristiche primitive. Nell’ultimo tratto invece l’intervento umano è più visibile: pochi anni fa fu addirittura attuato uno sconsiderato intervento di “pulitura” e arginatura con terra di riporto dell’alveo fluviale in comune di Tarquinia, con grave scovolgimento degli habitat. In generale comunque il grado di inquinamento medio è certamente tra i più bassi della regione laziale. Per il bacino del Fiume Mignone viene citata, tra l’altro, la presenza di Petromizon marinus e Lampetra planeri (Ciclostomata), di Blennius fluviatilis e di Alosa fallax nilotica (Osteicthyes).
Nell’ambito faunistico, inoltre, l’intera area adiacente alla ZPS presenta una più alta ricchezza di specie, anche grazie alla maggiore diversità ambientale e alla presenza di corridoi faunistici che collegano quest’area marginale con l’Appennino. Il lupo è stato segnalato spesso in passato, e di recente sono state di nuovo segnalate uccisioni di questo carnivoro nella zona settentrionale (Tarquinia). Della lontra sono state più volte ritrovate tracce nel passato recente lungo il corso del Fiume Mignone. Il comprensorio ospiterebbe circa 40 specie di mammiferi sulle 70 dell’Italia centrale. Per quanto riguarda l’avifauna, l’ampliamento dell’area di studio non induce un cospicuo aumento del numero di specie già presenti nella ZPS.
Per quanto riguarda il popolamento vegetale, il clima più temperato da luogo a vegetazioni più appenniniche. Oltre agli ampi boschi di querce decidue sottoposti a ceduazione (ma di particolare pregio la grande cerreta di Manziana, bosco in gran parte d’alto fusto), molto interessanti sono le cerrete a farnetto, la vegetazione ripariale ad Osmunda regalis, la presenza di faggete ripariali lungo i corsi d’acqua di fondovalle (grazie al fenomeno dell’inversione termica) e di una vera e propria faggeta appenninica sulle alture di Allumiere (circa 600 m), collegata a quella altrettanto depressa di Oriolo Romano da una miriade di stazioni a faggio a bassa quota, ma microclimaticamente ancora favorevoli, isolate all’interno di foreste di cerri, carpini, frassini e talvolta in castagneti. Questi ultimi si collegano direttamente alla faggeta di Allumiere, formando una foresta di ampie dimensioni, digradante verso le pendici rivolte a nordovest: il castagneto, qui come ovunque in Italia, è di origine naturale ma ampiamente favorito dall’uomo, che ne ha indotto la diffusione a scapito di quercete e faggete.
La faggeta di Allumiere ed i castagneti adiacenti costituiscono un Sito di Importanza Comunitaria (SIC, codice IT 6003003) di 320 ettari di superficie. Al suo inrerno sono stati riconosciuti i seguenti habitat prioritari (Allegato I):
9260 – Castagneti: copertura 45%; rappresentatività eccellente; grado di conservazione eccellente; valutazione globale eccellente.
9210 – Faggeti degli Appennini di Taxus (qui assente però) e di Ilex (molto diffuso); copertura 45%; rappresentatività buona; grado di conservazione eccellente; valutazione globale eccellente.
Nell’ambito del comprensorio tolfetano-cerite la gestione del territorio non è troppo difforme dal tipo già descritto per la ZPS, con una maggiore accentuazione però delle attività agricole. Sono inoltre presenti i centri abitati di Tolfa, Allumiere, La Bianca, Canale Monterano ed alcuni altri piccoli insediamenti (S.Severa nord, Monte Virginio, insediamenti periferici di Manziana).
La dismessa ferrovia Civitavecchia-Sutri attraversa il territorio nella sua porzione più settentrionale: il tentativo di ripristino di questa linea ferroviaria, seppure ben presto abortito, ha portato all’apertura di una via di penetrazione in una delle aree più importanti del comprensorio. Fino a pochi anni fa, questa zona era stata scelta da molte coppie di barbagianni (Tyto alba) come area di caccia e nidificazione, grazie alla presenza di numerose piccole stazioni e caselli ferroviari abbandonati. Area caratterizzata da un bassissimo disturbo ambientale dovuto alla presenza stessa dei binari e delle traversine ricoperte di vegetazione. Una volta divelte queste strutture e ripristinato il fondo con lo scopo di riattivare la ferrovia, il disturbo è aumentato enormemente soprattutto a causa delle attività di caccia e di fuoristradismo: la presenza del barbagianni è diminuita così in modo drastico.
Nel comprensorio è presente anche una Riserva Naturale Regionale: quella di Monterano, istituita con legge regionale n° 79 del 2/12/1988, e avente una superficie di 1.450 ettari, a cavallo tra i Monti della Tolfa veri e propri e l’area Sabatina.

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