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Walter Bianchi "L'Interpretazione comparativa della lingua Etrusca"
 

 

VALTER BIANCHI
L'INTERPRETAZIONE COMPARATIVA
DELLA LINGUA ETRUSCA
CON SAGGI INTERPRETATIVI DI ISCRIZIONI DI DEDICA
ED APPENDICE COMPRENDENTE I SAGGI D'INTERPRETAZIONE
DEI MAGGIORI TESTI

INTRODUZIONE

Metodo combinatorio e metodo etimologico

Nel 1875, come è noto, W.Deecke,in "Corssen und die sprache - Eine kritik", demoliva il più rilevante tentativo di comparazione etimologica della lingua etrusca con il latino e le lingue italiche effettuato dal Corssen con il saggio "Uber die spracher der Etrusker" (M. Pallottino,"Etruscologia" Hoepli, Milano, p. 351).
" Il significativo episodio critico”, afferma il Pallottino,(op. cit. p.351) "doveva concretizzarsi in un nuovo indirizzo scientifico. "Lo stesso Deecke", prosegue il predetto Autore," ed altri studiosi, come G. Pauli, G. Herbig, A. Torp, abbandonarono del tutto le comparazio­ni esterne e si limitarono allo studio dei testi etruschi in se e nei loro reciproci rapporti. Il metodo induttivo interno o "com­binatorio" era nato."
Da allora in poi il metodo etimologico (o comparativo) consistente nella comparazione globale dell'Etrusco con lignue ritenute affi­ni a tale idioma , venne adottato quasi esclusivamente da studio­si estranei alla "scienza ufficiale" (cfr. ad es. A. Trombetti - "La lingua etrusca", Rinascimento, Firenze, 1928.
Un'idea dell'applicazione pratica del metodo combinatorio può aver­si in sede d'esame delle parole iniziali dell'epitaffio di Arante Xurcles (C.I.I. 2070,in M. Pallottino,op. cit.p.403): "ARNTH XURCLES LARTHAL CLAN RAMTHAS NEUTHIAL...!, ove la parola CLAN, situata come è tra LARTHAL( noto genitivo del nome personale maschile LARTH, ricorrente in altre scritte)e RAMTHAS NEUTHIAL (rispettivamente ge­nitivo del nome femminile RAMTHA- presente in altre epigrafi e gen­tilizio annesso al prenome) non può che corrispondere al concetto di "figlio".
Simili applicazioni del metodo combinatorio sono da ritenere ineccepibili ai fini dell'acquisizione di alcuni significati. Nella lingua etrusca significati di questo tipo,sicuri,acquisiti col metodo combinatorio,sono,oltre a CLAN = figlio, SEC = figlia, PUIA = moglie, AVIL = anno, RI = "vita", TURUCE = dette, offrì, attribuì, nonché  "C" = "que" latino in fine di parola.
Oltre a tali significati, da ritenere concettualmente certi (e di facile acquisizione come SEC e PUIA su lapidi fune­rarie di donne ed AVILS vicino al numero XXXIV od altri numeri) il metodo combinatorio non sembra aver conseguito altri risultati apprezzabili e controllabili. Infatti qua­si tutte le altre – pochissime - parole diverse dai facilissi­mi nomi di Dei (es. APLU = Apollo) da alcuni nomi di persone e di città, trovano ed in modo impreciso - spiegazione al di fuori del metodo combinatorio(e di altri metodi) in virtù di glosse (parole interpretate) tramandateci da Greci e da Romani (ad es. i nomi dei mesi) oppure di brevi scritte bilin­gui etrusco-latine ( es.ZIKU  Scribonius, per cui il tema ZIK corrisponde -concettualmente- al latino "scribere -co­me si vedrà - morfologicamente, al tema "dic" del latino "dicere", dato che la "Z" etrusca "vale" la "d" assente nell'alfa­beto dei Ràseni).
Agli scarsi, ma sicuri, risultati conseguibili (e conseguiti) -come si è visto sopra- per via combinatoria, negli ultimi decenni si è creduto di poterne aggiungere altri i quali, per essere privi di idonea controllabilità, sono in realtà da ritenere puramente congetturali.
Così, ad esempio, l'Etruscologia oggi prevalente ritiene che la lunga iscrizione della "Tegola di Capua"(la seconda per lunghezza dopo il "Liber linteus Zagrabiensis") contenga una elencazione di Divinità, di offerte alle stesse e di regole rituali (confrontare tale interpretazione con quella etimologica esposta nell'appendice al presente lavoro).
In merito all'analisi che della predetta scritta venne effet­tuata dal Prof. M. Pallottino ( "Sulla lettura e sul contenuto della grande iscrizione di Capua", in "Studi Etruschi" 1948-49, p.159, segg.) occorre dire che vanno sicuramente condivise sia la traslitterazione che la suddivisione delle parole effettua­te dal predetto Autore, salvo quanto concerne l'espressione E.L.FA. Il Pallottino ritiene infatti che E.L.FA sia un vo­cabolo e che per tale motivo, la punteggiatura (abbondantissima) della scritta non segni disgiunzione tra parole, bensì tra sillabe. Allo scrivente, invece, risulta, dall'analisi eti­mologica, che E.L.FA è la "sigla" dell'espressione latina "ex linea fabri" = come il filo del fabbro (cfr. "alba linea" = filo del fabbro, in Aulo Gellio: si tratta del filo bianco che il fabbro usava e poi toglieva a lavoro "delineato" (espressione questa sintomatica e tuttora in uso). L'espressione era usa­ta in senso figurato e vale "alla buona", "senza formalità.”
Dall'interpretazione comparativa (col latino) della scritta predetta (cfr. Appendice) risulta infatti che l'autore della medesima, trovandosi sul tetto della propria casa per sfuggire ai Sanniti (nel 423 A.C., cfr. Livio, IV, 37, trad. M. Scandola, Rizzoli) si dice   costretto a scrivere sopra una tegola per mancanza dell'occorrente per scrivere.
Ma E.L.FA (= "ex Linea fabri" = "senza formalità") figura anche alla colonna X del "Liber linteus Zagrabiensis" ove l'autore (cfr. Appendice) afferma che il "Velta" (evidentemente il Supremo Sacerdote di Voltumna, il "Deus Etruriae princeps" secondo Varrone) "ha sancito di smetterla di condurre alla sepoltura allo stesso modo, SENZA FORMALITÀ (E.L.F.A) qualunque anima da compiangere (= salma da onorare) e quella di chi era cinto della clamide".
Pertanto l'identico significato di E.L.FA nei due contesti, in aggiunta alle altre corrispondenze etimologiche riscon­trabili nelle due interpretazioni pedisseque riportate nel­l'appendice al presente lavoro, pur tenuto conto di singoli, inevitabili errori nel contesto, attestando corrispondenza lessico-morfologica rispetto alla lingua latina, fa fede, nel contempo, d'un contenuto completamente diverso da quello che alle due iscrizioni viene attribuito dall'Etruscologia. Ma le due citate ripetizioni di E.L.FA sono solo uno tra le tante dalle quali può rilevarsi che il significato attribuito ad un vocabolo nel corso dei saggi interpretativi che seguono, viene confermato esatto dalla logica dei singoli discorsi ottenuti attribuendo lo stesso significato tutte le volte che il vocabolo stesso si ripete nelle varie scritte. Quanto si è rilevato per E.L.FA, infatti, può essere rilevato in ordine ad una serie lunghissima di vocaboli e relativa­mente ad un numero maggiore di ripetizioni.
A titolo d'esempio, nelle pagine successive vengono elencati i soli vocaboli che recano per iniziali le prime due lette­re dell'alfabeto etrusco, con l'indicazione della pagina del presente lavoro in cui sono reperibili vocabolo e relativo significato. Risultanze interpretative del tipo di quelle accennate inducono a far ritenere inattendibili le analisi interpre­tative combinatorie che in ordine ai predetti testi sono state effettuate dall'Etruscologia.
Così, ad esempio, nella "Tegola di Capua" è da ritenere che dei vocaboli SURI, LETHAMSUL, UNIAL, APHES, CALUS, LARUNS, interpretati dal Pallottino quali nomi di divinità ("Sulla lettura e sul contenuto della grande iscrizione di Capua", ST. ETR. XX, p. 169) solo UNIAL ( =  lat. "Junionale" = Junonis) abbia tale natura. Infatti (cfr. interpretazione in Appen­dice); SURI = lat. "seris" (ablat. plur.) = ritardatari, ove "U" =  lat. "oe" = "e"; LETHAM-SUL (ove A = U come VELIANAS = VELIUNAS nelle lamine di Pvrgi)  "Lethum solvo” = scel­go la morte; APHES = lat. "Aevis"; CALUS = lat. "calor"
ove S = "r" come in lat. "asa" per "ara" ed U = "o" voca­le assente in Etrusco); LARUNS = lat. "latronibus" (sincope dei morfemi medi).
Sempre nella "Tegola di Capua" la più volte ripetuta frase "LETHAM-SUL CI TERTIRIA CIM CLEVA ACAS-RI" viene interpre­tata dall'Etruscologia "al (dio) Letham tre (CI) TARTIRIA e poi tre (CIM) CLEVA si debbono offrire-o simili (ACASRI)" (M. Pallottino, "Etruscologia" cit. p. 409), mentre significa: "Lethum solvo civitate tardi-rea (quam) sim collega agens vitam (rem)" = "Scelgo la morte con la cittadinanza rea del ritardo ( nello sgombero di Capua: v. interpret. in Appen.) piuttosto che sia uno che da schiavo (o da mantenuto: CLEVA da "collevare"= mantenere) conduce la vita".
In questa, come nelle altre scritte, il vocabolo CI viene tradotto "tre" dall'Etruscologia e "civitas" (indeclin.) dallo scrivente. Il motivo della divergenza interpretativa è oggetto di trattazione specifica nelle pagine seguenti, nel capitolo dedicato all'interpretazione delle parole scritte sui celebri "Dadi di Tuscania".
Lasciato agli studiosi dilettanti il metodo comparati­vo dopo che il Corssen citato (comparazione col latino) ed A. Trombetti \(comparazione con lingue extra italiche: cfr. "La lingua etrusca", Rinascimento, Firenze, 1928) ebbero tentato senza successo il confronto globale dello Etrusco con altra lingua nota; conscia, d'altra parte dell'insufficienza del metodo combinatorio (per l'ovvio esaurirsi dei termini "combinabili"), l'Etruscologia cercò altre vie interpretative.
Tra queste si è affermato, in questi ultimi tempi, il me­todo detto “bilinguistico".
In base a tale metodo, "partendo dal presupposto che la civiltà etrusca è strettamente collegata con quella greca ed italica - come dimostra altrimenti lo studio della religione, dell'arte, dei costumi ecc.- e che le affinità culturali si riflettono anche nell'analogia dei modi d'espressione,delle formule sacrificali, votive, funerarie, si giunge alla conclusione che in molti casi un testo etrusco potrà essere confrontato con un testo greco, latino, italico di contenuto corrispondente ed in­terpretato, sulla base di questo confronto, quasi come se si trattasse d'una bilingue".(M. Pallottino, "Etruscologia", cit. p. 378).
Si dirà in seguito che l'Etruscologia considera “ una delle prime scoperte sull'Etrusco" (ved. appresso il capitolo dedicato ai vocaboli MI e MINI) l'individuazione del "pro­nome personale "MI" (presunto "io").
Tale "scoperta" si ricollega, in realtà, alla prima appli­cazione pratica del metodo bilinguistico effettuata dal prof. M. Pallottino il quale ritenne di aver provato l'equivalenza MI = ECO = Ego " accostando tra loro le formule di due iscrizioni vascolari trovate nel territo­rio Falisco, una in Etrusco: MI QUTUM LEMAUSNAS... e l'al­tra in falisco (cioè praticamente in latino arcaico) : ECO QUTO EUOTENOSIO..." io sono il gotto di Euòteno (nome del possessore) con espressioni di contenuto assolu­tamente  identico in due lingue diverse". (M. Pallottino, "Etruscologia" cit. p. 378, 379).
Il predetto Autore infatti, (op. cit. p. 78-379)ritenendo provata l'identità di contenuto tra le due formule
espressive MI QUTUM ed ECO QUTO e traducendo col lati­no classico "Ego" il latino arcaico ECO, ha equiparato quest'ultimo al MI della frase etrusca pensando con ciò di aver raggiunto la prova del carattere pronominale "io" dello stesso MI. Quest'ultimo vocabolo è di particola­rissimo rilievo dato che figura in moltissime frasi di dedica(vedere appresso la parte specifica).
Al riguardo, però non può non rilevarsi che la pur chiara
equipollenza strutturale QUTUM-QUTO, mentre attesta, sia pure a livello parziale e sintomatico, l'identità struttu­rale globale tra la lingua etrusca e la lingua latina arcaica, non sembra però attestare, nella specie, un'identità di contenuti tra le due formule espressive.
Infatti le parole MI QUTUM LEMAUSNAS sono solo una porzio­ne della T. L. E. 28 "MI QUTUM LEMAUSNAS RENAZU ZINACE" le cui prime tre parole, stralciate dal resto, non sembrano sufficienti a far presumere l'esistenza d'una identità di formule espressive tra la stessa T.L.E. 28 e la citata frase latino-falisca; onde sfornita di valida prova appare l'equiparazione MI = ECO = "Ego" e priva di atten­dibilità, per conseguenza, si rivela la teoria relativa al valore pronominale di MI.
Nell'interpretazione etimologica contenuta nel presente lavoro (v. appresso parte specifica) il contenuto della T. L. E. 28 appare infatti completamente diverso da quello della frase falisca. Quest'ultima, peraltro, salvo anali­si più approfondite non pare che possa significare "Io sono il gotto di Euoteno", bensì "Oeco quieto aevo teno­rio" = pranzo tranquillo, vita più lunga.
Ma l'inattendibilità del valore pronominale attribuito
a MI dall'Etruscologia, oltre che da quanto sommariamente esposto, appare chiara anche e sopratutto in base

alle risultanze dell'analisi relativa ai vocaboli MI, MINI, MULU, MULUVANICE (VENICE) che viene esposta di segui­to nella parte specifica.
Le risultanze di tale analisi, peraltro, attestando che MI non significa "Io", provano a sufficienza l'infondatezza della teoria dello "oggetto parlante" in base alla quale
l'Etruscologia ritiene che gli oggetti recanti scritte che iniziano con MI - e sono moltissimi tra vasi, steli, persino tombe, ecc., "parlino" in prima persona.
Uno dei tanti esempi di “oggetto parlante" è una tomba nella quale la scritta "MI MAMARCE VELTHIENAS dovrebbe leggersi "Io (sono) di Mamarce Velthienas" (M. Cristofani, "Introduztone allo studio dell'Etrusco", L. Olschki, Firenze, p.140).

La comparazione           etrusco - latina

Presupposto fermo dell'analisi comparativa che è alla ba­se delle interpretazioni effettuate nel corso del presen­te lavoro, è la certezza dell'assoluta corrispondenza lessico - morfologica generale esistente tra l'Etrusco ed il la­tino.
La corrispondenza strutturale esistente tra l'enorme maggioranza del cognomi etruschi ed un numero cospicuo di cognomi latini è fatto da tempo notorio ed incontestato. Il Prof. M. Cristofani -con l'Etruscologia prevalente- spiega le corrispondenze in parola con il presunto avvenuto passaggio (detto dagli Etruscologi "imprestito" dei nomi stessi dal latino all'Etrusco ( M. Cristofani, op. cit. p. 122-123).
Ma si esaminino, ad esempio, le seguenti corrispondenze tra cognomi etruschi e cognomi latini elencate dal citato prof. Cristofani (p. 122-123 op. cit.).
Balbus ( balbuziente)                       PALPE
Brutus                  ( massiccio )        PRUTE
Caecus        ( cieco                 )        CEICE
Claudus ( zoppo                     )        CLUTE
Crispus ( ricciuto                    )        CRESPE
Faber           ( fabbro               )        HAPRE
Come si vede, i cognomi elencati - ma altri se ne potrebbe­ro aggiungere - traggono origine, come in tutte le lingue, da aggettivi e da nomi comuni che costituivano dei nomi­gnoli.          L'Etruscologia cerca di spiegare la sintomatica corrispondenza strutturale tra tali aggettivi e nomi COMUNI latini e gli aggettivi e nomi COMUNI etruschi a fianco dei primi elencati, supponendo che i secondi, data la vicinanza storico - geografica dei due popoli, siano passati nel corso dei secoli, dalla lingua latina alla lingua etrusca quali "imprestiti" latini in quest'ultimo idioma.
In particolare il Cristofani (op. cit. p. 122) ritiene che i vocaboli in questione passarono "all'Etrusco solo come se­gni d'identificazione" (cioè come cognomi) "senza portarsi dietro quel significato che probabilmente, nello stesso uso onomastico latino, avevano perso da tempo".
Al riguardo occorre rilevare che la soluzione del proble­ma relativo al carattere ( cognominale o no) dei predetti vocaboli all'atto del loro passaggio dal latino all'Etrus­co, ha come presupposto la soluzione del pregiudiziale problema relativo all'accertamento dell'effettivo passaggio dei vocaboli stessi dall'una all'altra delle due lingue. Infatti, in mancanza di diversi dati di fatto, si può corret­tamente ritenere -sulla base dell'evidenza ed astraendo dalle congetture di cui sopra circa la supposta perdita del significato originario del termine- che il cognome etrusco PALPE corrisponde al cognome latino "Balbus" così come l'aggettivo latino "balbus" (balbuziente) corrisponde all'aggettivo etrusco PALPE. Così dicasi per gli altri vocaboli.
Peraltro, dato per scontato l'avvenuto imprestito, i nomi sopra elencati poterono passare dal latino all'Etrusco o prima o dopo la loro trasformazione in cognomi.
Nella prima ipotesi, avuto riguardo anche alla datazio­ne delle scritte, dovrebbe ammettersi una trasformazione in cognomi di nomi comuni e di aggettivi verificatasi contemporaneamente in due lingue diverse di due popoli diversi. L'improbabilità di tale ipotesi rende necessario esaminare l'eventualità d'un passaggio dal latino allo etrusco di tali vocaboli in epoca successiva alla loro trasformazione in cognomi.
Ma quanto ardua appare l'ipotesi relativa alla trasmigrazione di cognomi da una lingua all'altra, da un popolo all'altro in epoca arcaica, ove si tenga presente che il cognome -appellativo prestigioso per le Gentes più illustri- era vanto plurisecolare per i membri d'una stessa stirpe! Infatti, se è da ritenere possibile che cognomi latini passassero nell'Etrusco dopo la conquista romana dell'Etru­ria, quanto appare più difficile ammettere tale fatto in tempi remoti, anteriori alla conquista stessa!
Ma, a parte i cognomi, anche i prenomi che originano anche essi dai nomignoli pongono lo stesso problema: il preno­me THEFARIE (= Tiberius) che figura nelle due coeve lamine d'oro di Pyrgi  datate al VI secolo A.C. non poteva certo essere passato dal latino, a contraddistinguere il supremo Magistrato dell'etrusca Cere, nell'epoca in cui il territo­rio romano, nella direzione dell'Etruria Marittima, non ol­trepassava la vetta del Gianicolo!
La stessa cosa dicasi del prenome MAMURCE (= MAMARCE = "Ma- mercus Marcus) di cui alla R.E.E. 1972, 89, reperita a Castelluccio La Foce e datata dal citato Cristofani al 630 a.C. ossia all'epoca dei re etruschi di Roma (cfr. M. Cristofani, "Atti del colloquio sull'Etrusco Arcaico, Fi­renze, 1974, L. Olschki, p. 109).
Per tali motivi, poiché, inoltre, le corrispondenze sopra riscontrate sono solo piccola parte di quelle esistenti, dovendosi escludere l'ipotesi d'un prestito dal latino, non resta che ritenere i nomi ed aggettivi sopra elencati appartenenti originariamente alla lingua etrusca e che pertanto, attesa l'identità strutturale degli stessi nelle due lingue, queste non possono non avere moltissima parte del loro lessico in comune.
Tale circostanza, d'altra parte, implica necessariamente una identità morfologica se ed in quanto l'identità del lessi­co riguardi tutte quelle parti del discorso che sono neces­sarie alla costituzione delle varie proposizioni.
Su tali presupposti si deve ritenere basata la legittimità  della comparazione tra la lingua etrusca e la lingua lati­na in sede di analisi interpretativa della lingua etrusca. L'esistenza effettiva di tali presupposti è poi confermata o meno, in sede interpretativa, dall'emergere d'un discorso che l'evidenza costituita dal susseguirsi, nello stesso testo, d'una serie di proposizioni "latine" sintatticamente corrette, possa far ritenere sostanzialmente autentico per l'ovvia impossibilità d'una produzione dello stesso ad opera del caso.
Tra i testi etruschi pervenutici quello più idoneo, per estensione (oltre 1300 parole leggibili) e ripetizioni di formu­le espressive, a fornire gli estremi di tale evidenza, è senza dubbio il "Liber linteus Zagrabiensis" alla cui interpre­tazione ( cfr. Appendice) si rinvia.
Ma l'autenticità del discorso ottenuto può essere riscontra­ta, oltre che mediante il vaglio etimologico, anche sulla ba­se di altro tipo di evidenza.
Cosi, ad esempio, nella R.E.E. 1972, 1 (da M. Cristofani, "Intro­duzione allo studio dell'Etrusco" cit. p. 135) è la grafia stessa della scritta -figurante sopra un "Thymiaterion" di bucchero (Cristof. op. cit. p.135) a fornire la prova "visiva" dell'autenticità del discorso etimologico mediante la posizione ed i caratteri (più minuti) dell'ultima parola della iscrizione (cfr. l'analisi seguente):
 La "scriptio continua" -volgente da sinistra a destra‑va divisa e traslitterata come segue (così anche M. Cristofani op. cit. p. 135):
MI  ZINAKU  LARTHUZALE Kuleniiesi (così nell’originale)
Il Prof. M. Cristsfani ("Introduzione allo studio dell'Etrus­co cit., pag. 135, L. Olecki, Firenze) interpreta tale scritta:
“MI ZINAKU        LARTHUZALE
Io fatto(?) per Larthuza Kulente "
ove , secondo il citato Autore (cfr. il relativo commenta a pag. 135 op. cit.) MI equivale ad "io"; ZINAKU considerato opposto a ZINACE (figurante in altra scritta) viene inter­pretato (in forma dubitativa) "fatto"; LARTHUZALE equivarrebbe al diminutivo LARTHUZA del "raro" prenome LARTHUS con l'aggiunta del morfema LE " tipico della flessione del nomi di persona terminanti in dentale e sibilante" "Kuleniiesi, interpretati quale gentilizio, presenterebbe "l'aggiunta del suffisso NA combinato con quello d'origine italica IE" (per maggiori dettagli cfr. il commento ci­tato a pag. 135 op. cit.).
Nell'analisi che precede, l'interpretazione pronominale e gentilizia di "LARTHUZALE Kuleiinesí" sembra trovare spie­gazione soprattutto nell'interpretazione pronominale di MI ("io”) interpretaziene che lo scrivente non condivide per i motivi esposti nella successiva parte specifica alla quale si rinvia.
Ma, pur prescindendo dal valore da attribuire a MI, l'interpretazione che precede non appare attendibile in base alle risultanze della seguente comparazione della frase in esame con la lingua latina:
MI         ZINAKU   LAR THU ZALE     Kuleniiesi Mente dignato lare ito duale. Cellinitis.
"Ricordando il degno marito.  Per gli unguenti.
 Al riguardo si tenga presente quanto segue:
1) La scritta figura sopra un vaso ("thymiaterion": cifr.
Cristofani, op. cit., p. 135) reperito in una tomba
2) la parola "Kuleniiesi" (= lat. collinitis) in quanto venne scritta in alto e con grafia più minuta ris­petto alle parole precedenti, deve essere considerata logicamente esclusa dal precedente contesto e –per esclusione di altra logica relazione- riferita allo oggetto dedicato, con particolare riguardo all'uso cui l'oggetto stesso era destinato, uso che, del resto, appare chiarito dalla qualità dell'oggetto stesso.
Per quanto concerne MI  "mente" si rinvia al successi­vo capitolo dedicato all'interpretazione dei vocaboli MI e MINI.
Circa LARTHUZALE = Lar ito-duale, si rinvia al successivo paragrafo relativo all'analisi del tema LAR, alla analisi interpretativa della stessa R.E.E. 1972, 1, riportata nella parte specifica, nonché all'analisi interpre­tativa del "Cippo di Perugia"( prima riga della rela­tiva interpretazione esposta in Appendice).
Tenendo presente quanto sopra esposto, nonché i principi interpretativi di cui alle successive esposizioni analitiche, i saggi di cui al presente lavoro sono stati svolti, vocabolo per vocabolo, seguendo lo stesso ordine di successione che figura nel testo etrusco (traduzione let­terale pedissequa) in modo da consentire l'autonomo emergere della sintassi originale.
Quest'ultima è risultata identica a quella latina. .
La versione d'ogni parola è stata eseguita in latino ed in italiano ma, per la versione latina, è stato usato soltanto il vocabolo che, per tema e struttura, e quindi per significato, è stato ritenuto corrispondente a quello

etrusco( traduzione etimologica).
Cosi, ad esempio, nel "Liber linteus" la più volte ripetu­ta frase "KIS CISUM PUT TUL THANSUR HATHR THI REPINTHI" appare tradotta in latino "Quis civium potest tolerare damnosiora patriae sibi repetundis? "(per THI = sibi                                  v. a p. 143). L'Etruscologia oggi prevalente ignora del tutto l'argomento dei testi etruschi, salvo le brevi epigrafi funerarie o di altro genere contenenti per lo più nomi personali, termini di parentela, relativi alla divisione del tempo
e alla durata della vita. Tuttavia, specie a causa della interpretazione pronominale del vocabolo MI (v. parte specifica) e dell'interpretazione numerale delle parole scritte sui "Dadi di Tuscania" (cfr. il capitolo seguente) le interpretazioni di tali brevi frasi, proposte dall'Etruscologia, sono da ritenere esatte limitatamente ai vocaboli di cui sopra.
L'Etruscologia afferma però di conoscere almeno il conte­nuto generale dei maggiori testi etruschi.
Tale affermazione non è condivisa dallo scrivente.
Alla luce del "discorso" ottenuto in sede d'interpretazione (cfr. Appendice) risulta infatti allo scrivente stesso che, al contrario di quanto ritiene l'Etruscologia:

1) Il "Cippo di Perugia "non è un atto giuridico come riten­gono gli Etruscologi, ma il ricordo del funerale di Stato di AFUNA VELSINA;
2) La "Tegola di Capua" non è come ritenuto dai predetti, un rituale religioso, bensì un documento storico prezio­sissimo della battaglia di Capua del 424 A.C., scritto da un Capo Etrusco prima di morire sul tetto della sua casa (sopra una tegola, appunto) ove si era rifugiato per sfuggire agli invasori Sanniti;
3) La lamina di Magliano, contrariamente a quanto ritiene l'Etruscologia, non contiene rituali ma solo auguri ad un amico per il suo XXX compleanno;
4) Il Laris Pulenas della nota scritta era un operatore economico di Tarquinia e non un Aruspice: dalla stessa scritta risulta il nome della città di Gravisca(CRAPICCES = Graviscis) nonché la denominazione di "Pisana"

spettante nell'antichità alla Maremma Laziale,

5)
    Le lamine di Pyrgi non riguardano la dedica d'un tempio bensì prescrizioni espiatorie (la maggiore) e di etichetta (la minore);
    6) Il "Liber linteus Zagrabiensis", infine oltre 1300 paro­le leggibili -massimo testo etrusco pervenutoci- non ha una " enumerazione di prescrizioni relative a cerimonie, in parte di carattere pubblico, regolate da un calendario" ( M. Pallottino, "Etruscologia" cit. p. 411) ma tratta di pro­blemi politici della popolazione di Vèlsina fuggita a Volterra dopo che la predetta città Capitale della Confederazione Etrusca, era stata conquistata dai Romani.

    Corrispondenze fonemiche

    Il vocabolo etrusco AMA, insieme alla sua forma flessiva AME, compare ripetutamente in varie iscrizioni etrusche riportate ed interpretate nelle pagine seguenti mediante comparazione degli elementi strutturali etruschi con gli elementi struttu­rali della lingua latina.
    Nelle frasi in cui figura, il vocabolo viene interpretato co­me segue:
    AMA = lat. "anima"
    AME = lat.  "animae"
    Nei testi interpretati nel corso del presente lavoro, le due forme flessive del vocabolo figurano nelle frasi che di se­guito vengono elencate. Ciascuna frase è preceduta dall'indi­cazione dell'iscrizione di cui fa parte e della pagina del presente lavoro in cui può essere reperita.
    Ciascuna frase etrusca (traslitterata) è seguita dall'interpre­tazione etimologica pedissequa e dalla traduzione italiana.

    1) Cippo di Perugia pag. 143

    Ipa AMA hen naper XII Velthinaturas Aras'..."
    Ipsa ANIMA hinc nuper XII Vèlsinae tributis Aruspicibus.."
    La stessa anima (= la salma) (*) da qui (luogo del Cippo) in precedenza, da 12 Aruspici residenti in Vèlsina, è stata accompagnata..."
    In questa frase AMA = anima;

    2) Liber linteus Zagrabiensis pag. 206

    Ipa math-cva AMA trinum hetrn aclkhn eis cemnac ikh Vèlta"
    Ipsa materia qua ANIMA trinum (vinum(**) videtur agglutinandum eis geminaque,dicto Vèlta.
    Circa la stessa materia dell'anima (= salma (*) il vino di tre anni pare mescolabile da essi ( i Volterrani: cfr. la traduzione in Appendice) con (qualità) simili, avendolo consentito il Vèlta (forse il supremo Sacerdote: cfr. appendice).
    In questa frase AMA = anima.
    (*) IPA AMA = Ipsa anima = "salma".
    (**) Per le libagioni nelle cerimonie funebri era prescrit­to il vino di tre anni( cfr. Appendice, p. 201).

    3) Liber linteus Zagrabiensis - pag. 207

    "...thimitle unuth hutheri ipa thucu petna AMA nac hintu cal Velthe sancve".
    ".."dimittibile unite foderi ipa duci poenitenda. anima nacca cincto clamide, Velta sancivit."
    "...di smetterla di essere condotta ad essere sepolta allo stesso modo qualunque anima da compiangere ( = sal­ma da onorare) con quella stessa del cinto di clamide, il Velta ha sancito.
    In questa frase AMA = anima (nomin. sing.); Ipa = ipsa;

    4) Cippo di Perugia -pag.143- I riga- forma flessiva AME;

          Eulat tanna larezul AME vakher lautn Vèlthinas...."
    Efflata Dubena Lare duale ANIMAE ("almae) vector (est) "labens"   Vèlsinae..."
    "Spirata del Signore la consorte, dell'anima (= della salma) è trasportatrice la discendenza di Vèlsina..."
    In questa frase AME = "animae";

    5) Liber linteus Zagrabiensis pag. 196 - forma fless.AME;

          "...zeluth mura etnam thacac urli nekhse acil AME..."
    "...delibato moribus etiam daca quae "oscillis" neganda (sunt) agiliter
    "...al corrotto nei costumi anche le mele da scarto che si usano nelle "Oscillae" (feste di Bacco in cui si fa­ceva l'altalena) dovranno negarsi tra breve per l'anima.."
    In questa frase AME = anima;

    6) Liber linteus Zagrabiensis pag. 198 - forma fless.  AME;  

         “...husina vinum paveis-m acilth AME..."
    "...fusi nae vinum "paciscendi m(odo) agiliter ANIMAE.."
    "...come quando (nae) avete versato il vino per dar pace rapidamente ad un'anima..."

    7) Liber linteus Zagrabiensis- pag. 199 - forma fless. AME;

        "... vinum acilth AME mula.."
        “ …vinum agiliter ANIMAE moliendae..."
    "... il vino per ristorare prontamente l'anima.."

    8) Liber linteus Zagrabiensis - pag. 205 - forma fless. AME;

    "Cus pethereni ciem capeni marem zalkh AME nacum ce pen flanakh"
    "Curiae petituriundis iemus capendi maeritatim "dabile" ANIMAE naccorum civitate penatum flàncaee (da "flo, as = "vociferare");
    "Tra quelli che brigheranno per andare alla Curia, fare­mo in modo (ciemus) di scegliere (capendi) secondo il me­rito attribuibile alla personalità ("anima") di ciascuno di essi (naccorum) secondo la fama goduta ("flancace") nella città d'origine (CE - PEN = civitate penatum);
    In tale frase AME = animae;

    9) Liber linteus Zagrabiensis - pag. 205 - forma fless. AME "

        Arus AME acnesem ipa setumati..."
    " Aruspicibus ANIMAE agnoscendum (est); ipsa seductum actis"
    " Agli Aruspici dell'anima ( = della personalità) spetta di conoscere (= di giudicare) in base alla stessa (personalità) dovendo (voi) essere condotti ad essere discriminati..."
    In questa frase AME = animae;
    Ciò premesso, occorre rilevare che, attribuendo ad AMA (flessivo AME) il significato di "anima" IN TUTTE LE NOVE FRASI CHE PRECEDONO,  in sede di traduzione si ottengono nove discorsi che hanno senso compiuto sia considerando ciascuna frase isolata­mente, sia - sintomaticamente- considerando ciascuna frase in relazione ad ognuna delle altre ed all'intero contesto delle due scritte a cui le frasi stesse appartengono (Cippo di Peru­gia e Liber linteus Zagrabiensis).

    E infatti facile constatare che in sette frasi su nove e precisamente nelle prime sette, i discorsi ottenuti in sede in­terpretativa vertono tutti sulla stessa materia proprio "Ipa math-cva AMA" = ipsa materia qua anima (cfr. frase n. 2) e cioè la materia delle cerimonie funebri.
    L'emergere di tale uniformità d'argomento (in due scritte di­verse: la prima frase è del "Cippo di Perugia", le altre sei del "Liber linteus") oltre a rendere indubbio il significato di "anima" assegnato ad AMA, rende altresì certo il contenuto delle frasi relative quale risulta dalle interpretazioni pedisseque dei testi, fatti salvi, come è evidente, singoli inevi­tabili errori.
    All'uniformità d'argomento riscontrata, come si è visto,nelle prime sette frasi, fanno eccezione le ultime due frasi sebbe­ne anche qui il significato AMA = "anima" appaia con cristal­lina evidenza.
    In ambedue tali frasi (n. 8 e n. 9, tratte entrambe dal "Liber") nelle quali AMA, pur non equivalendo a "salma" equivale certamente ad "anima" - si parla infatti di problemi politici
    sorti a seguito dell'emigrazione a Volterra degli abitanti di Vèlsina, "capitale" della confederazione etrusca (cfr. Appendice).
    E peraltro da aggiungere che ogni incertezza circa l'autenti­cità del predetto significato viene ad essere eliminata ove si considerino le corrispondenze flessive: AMA = "anima” nelle frasi 1), 2) e 3) ad ANIE  =  "animae" nelle frasi 4), 5), 6), 7), 8) e 9) ed ove si consideri ancora che AME (= animae in queste ultime frasi rappresenta –COME IN LATINO- sia il genitivo che il dativo singolari della prima declinazione (cfr. sopra le interpretazioni delle frasi da 4) a 9)).

    I vocaboli IPA ed ARA

    Ma se gli elementi che precedono forniscono, tra l'altro, la cer­tezza che AME, corrispondendo in pieno al latino "animae", cos­tituisce, a seconda dei casi, il genitivo o il dativo singolari di AMA, la natura di nominativo dello stesso AMA appare attestata, non soltanto ex contrario dall'accertata natura geni­tivale e dativale di AME, ma anche dal vocabolo IPA che nelle frasi 1), 2) e 3) si accompagna e concorda con AMA mentre è assente nelle successive cinque frasi 4), 5), 6), 7), 8) - nelle quali figura invece AME. - e non concorda, pur essendo presen­te, nella frase n.9).
    L'intero complesso delle circostanze direlazione tra IPA ed AMA e di non relazione tra lo stesso IPA ed AME, attesta con sufficiente chiarezza che sia IPA che AMA sono due no­minativi singolari femminili in nulla diversi (se non par­zialmente nelle grafia) dai nominativi singolari femminili della prima declinazione latina.
    Per ciò che concerne in particolar modo IPA che, come si è visto sopra, è stato tradotto con "ipsa") appare superfluo aggiungere che il vocabolo (vedere le frasi n.1), n. 2) e n. 3) si ripete in ciascuna delle prime tre frasi e che pertanto tale ripetizione comporta le stesse conseguenze interpretative che sono state già tratte a proposito delle ripetizioni, in tutte le nove frasi esaminate, del vocabolo AMA o della sua forma flessiva AME.
    Ad ulteriore conferma del significato di "ipsa"e del valo­re di nominativo singolare (della prima decl. latina) attribuito ad IPA, basti citare una frase del "Liber linteus" con la relativa interpretazione (cfr. Appendice, pag. 206) in cui figurano due forme flessive MASCHILI dello stesso vocabolo:
    " IPEI thuta Cnl khasri hekhz sul
    "IPSI (in) ducta Consuli quaesiri hexequiis solvendum (est)
    Allo stesso Console in carica spetta di risolvere se fare un quesito (al Vèlta, ved. appresso) circa le esequie
    scvetu cathnis s'canin Veltha IPE
    scito (in) cudendis secandine Velta IPSE.
    avendo il potere discrezionale (scito) di stralciar(ne) tra le regole da eliminare (tagliare) il Velta stesso (Supremo Sacerdote, con ogni probabilità).
    Tra le nove frasi sopra elencate, contenenti i vocaboli IPA ed AMA,  la prima, tratta dal "Cippo di Perugia" (cfr. Appendice) presenta particolare interesse in quanto, oltre a contenere IPA ed AMA, con le conseguenze interpretative sopra esposte, contiene anche un altro vocabolo, ARAS, che presenta, a sua volta, particolare interesse interpretativo.
    Infatti ARAS che -come si è visto nelle frasi di cui sopra- è stato tradotto "Aruspicibus", oltre a contri­buire -presenza di Sacerdoti- all'acquisizione logica del significato CONCETTUALE "la salma", assegnato nel­la frase n.1) alle parole IPA AMA ( = ipsa anima) assume la stessa importanza interpretativa già riscon­trata in ordine alla ripetizione nelle scritte di questi due vocaboli, dato che anche ARAS figura ripetutamente in varie scritte e frasi della stessa iscri­zione.
    E da premettere, al riguardo, che il vocabolo ARAS del­la citata frase n. 1)  -tratta dal "Cippo di Perugia"- è sostanzialmente identico al vocabolo ARUS che figu­ra nella frase n.9) -tratta dal 'Liber linteus"-. L'identità in questione è completa in quanto, nella lingua etrusca, in molti casi, la A è foneticamente equi­pollente alla U : lo attestano, tra l'altro, i vocaboli
    VELIANAS e VELIUNAS che nelle due coeve lamine di Pyr­gi, indicano il gentilizio di THEFARIE (= Tiberio) su­premo magistrato di Cere, onde VELIANAS e VELIUNAS, indi­cando il cognome d'un'unica persona, rendono inconfutabile l'equipollenza tra la A e la U etrusche.
    Per la stessa ragione il NAPER che compare più volte nel Cippo di Perugia, lungi dall'indicare una misura di superficie, come ritenuto dall'Etruscologia per il fatto di essere preceduto, una volta, dal numero XII, va interpretato incontestabilmente "Nuper" (cfr. Appendice).
    Per tali motivi ARAS di cui alla più volte citata frase n.1) e tradotto con "Aruspicibus", corrisponde ad ARUS (frase n.9) parimenti tradotto con "Aruspicibus".
    Ma è da ritenere certo che ARAS (US) vale "Aruspicibus"?
    Al fine di poter rispondere a tale domanda, è necessario accertare se sia applicabile al vocabolo predetto tutte le volte che il vocabolo stesso figura nelle scritte: occor­re cioè applicare ad ARAS (US) lo stesso procedimento usato in precedenza ai fini del controllo del significato di "Anima" assegnato ad ANA e del significato di "Ipsa" attribuito ad IPA.
    Pertanto, come già si è fatto in ordine a questi due vocaboli, occorre elencare le frasi nelle quali compare ARAS (US) in una con ARA ed AR sue forme flessive, con la relativa comparazione col latino, con la traduzione italiana e con l'indicazione della pagina del presente lavoro nella quale le frasi stesse possono essere reperite:

    a) Cippo di Perugia - pag. 143 (già analizzata, v. prec. n. 1)

    " Ipa ama hen naper XII Velthinaturas ARAS "
    " Ipsa anima hinc nuper XII Vèlsinae tributis ARUSPICIBUS "
    La salma, da qui, poco prima, da 12 Aruspici addetti  a Vèlsina..."
    In questa frase ARAS = Aruspicibus (ablat. plur. lat.);

    b) Tegola di Capua - pag. 169

    "Uniathi turza eskhathce ci isum Uniathi ARA
    "Junone torrenda escussa est civitas! Jussum (est) a "Junonate" ARUSPICE
    "Da Giunone, bruciandola, è stata scacciata (scossa) la citta­dinanza, lo si è ordinato dall'Aruspice di Giunone!

    c) Liber Linteus- pag. 199                                                                  

    " Vacl AR fiere ri sacnisa "
    "Vacabile ARUSPICI fluere vitam ("rem") saginariam"
    " Essendo impossibile all'Aruspice incrementare la vita da mantenuti..."
    In questa frase AR = Aruspici ( dativo sing. lat.);

    d) Liber Linteus- pag. 205/1

    " Vacl AR ratum khuru pethereni thucu.."
    " Vacabile ARUSPICI ratum (sit) quorum petituriundis duci..."
    " Altrimenti all'Aruspice spetti di giudicare di quelli che debbono essere scelti quali candidati.."
    In questa frase AR = Aruspici (dat. sing. lat.);

    e) Liber Linteus - pag. 205/2

    " ARUS ame acnesem ipa sethumati ( ARUS, AME, IPA: v. sopra) " ARUSPICIBUS animae agnoscendum(est)seductum-actis"
    " Agli Aruspici dell'anima (= della personalità) spetta di
        conoscere (= di giudicare), in base alla stessa dovendo
    essere condotti ad essere discriminati.."
    In questa frase ARUS m ARUSPICIBUS( dat. plur. lat.);

    f) Liber Linteus pag. 183-184

    " Cletram s'renkhve in s'canin cealkh
    " Culturum (est) sicurandive in (colam) secundandine in civitate allecto"
    " Si deve cercare invece di assicurarsi di assecondare l'abitante (= il non cittadino) in sede d'inserimento nella cittadinanza",
    " Vacl ARA nunthene sathas nakhve "
    " vacabile ARUSPICE nuntiandi satas naccae vice"
    " per evitare che dall'Aruspice siano dichiarate le quote seminate in sostituzione di   chiunque (ai fini della assegnazione della classe);
    In questa frase ARA = (ab) Aruspice (ablat. sing. lat.);

    g) Liber Linteus pag. 197

    " Vacl ARA thuni sacnicleri..."
    " Vacabile ARUSPICE tonderi saginandi colente rem (vitam).."
    " Mancandosi, da parte dell'Aruspice di tagliar fuori chi vive andando in cerca di mantenimento...

    In questa frase ARA =  (ab) Aruspice (ablat. sing. lat.);

    h) " Vacl ARA thui ..."

    " Vacabile ARUSPICE tueri..."
    " Potendo fare a meno di essere assistito dall'Aruspice.."
    In questa frase ARA = (ab) Aruspice (ablat. sing. lat.);

    Liber Linteus- pag. 207
    " Vacl ARAS thui uceti ce pen.."
    " Vacabile ARUSPICIBUS tueri occisi civitate penatum.."
    " Non avendo potuto dagli Aruspici essere assistiti gli uccisi nella città dei   Penati (= città natale : è la "capitale d'Etruria" messa a sacco dai Romani; v.
    Appendice);
    In questa frase (a parte VACL, CE PEN e THUI, già incon­trati prima) ARAS = Aruspicibus (ablat. plur. lat.);
    l) Liber Linteus - pag. 212
    " ...thucu hamphe thes rinus thui ARAS.."
    ...duci campo dese renutis tueri ARUSPICIBUS.."  .
    ..per essere stato ridotto il campo un deserto, avendo (noi) sdegnato di essere assistiti dagli Aruspici.."
    In questa frase oltre a THUCU e THUI già incontrati) ARAS = Aruspicibus (ablat. plur. lat.).
    Anche in ordine all'elencazione delle frasi contenenti il vocabolo ARA ( AR, ARAS, US) occorre fare le stesse considerazioni già fatte a proposito dell'elencazione delle frasi nelle quali figura il vocabolo AMA.
    Tra le varie considerazioni possibili, preminente è quella relativa all'uniformità della materia trattata nelle varie frasi contenenti il vocabolo oggetto dell'analisi.
    Mentre nelle frasi in cui figura AMA la "materia" era quel­la relativa alle cerimonie funebri (in sette delle nove fra­si considerate) e quella politica (nelle altre due frasi della serie) nelle frasi in cui figura ARA (con o senza AMA) l'argomento trattato è di carattere politico-religioso. Valga comunque, a proposito delle ripetizioni nelle scritte, del vocabolo ARA, quanto si è dettò sopra circa le ripeti­zioni di AMA e di IPA: ciò ai fini della constatazione della attendibilità sia del singolo vocabolo che dell'intera frase.
    Lo stesso discorso va evidentemente fatto per ciò che riguarda gli altri vocaboli delle frasi sopra elencate che, nelle frasi stesse figurano più d'una volta. Tra tali voci, che non sono state analizzate in modo specifico, sono da annoverare:
    CE - PEN = Civitate Penati= - frasi n. 8 ed i);
    VACL         = "Vacabile"                     - frasi c), d), e), f), g), h), i);
    THUCU  = duci                           - frasi ") e  d);
    THUI            = tueri                               - frasi n. 4), i), l);
    Anche in merito a tali vocaboli, che vengono elencati a titolo di parziale esemplificazione, valgano le stesse considerazioni che sono state già fatte in ordine ad AMA, IPA ed ARA.
    Elencazioni dello stesso tipo, con le connesse deduzioni interpretative, possono essere effettuate in ordine ad una serie lunghissima di parole facenti parte delle iscrizioni che formano oggetto di interpretazione nelle pagine che seguono.
    Ma, poiché in questa sede non può essere espletata una vera e propria indagine statistica al riguardo, basterà fornire, quale campione indicativo delle ripetizioni, nelle scritte, dei vocaboli e dei significati agli stessi attribuiti da chi scrive, l'elenco dei soli vocaboli aventi per iniziali le prime due lettere dell'alfabeto etrusco e cioè la lettera A e la lettera C (la B essendo, come è noto, pressoché inesistente). A fianco di ciascun vocabolo è indica­ta  la pagina del presente lavoro in cui il vocabolo ed il relati­vo significato figurano.

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